giovedì 30 settembre 2010

Il prossimo libro intervista del Papa


Ratzinger e Seewald a Francoforte

Peter Seewald e Joseph RatzingerIl 31 agosto il Foglio, il Giornale e laTagespost avevano dato notizia del fatto che a Castel Gandolfo il Papa aveva ricevuto più volte il giornalista tedesco Peter Seewald. A lui Benedetto XVI aveva concesso una serie di interviste che sarebbero poi confluite in un libro (il secondo libro intervista di Ratzinger con Seewald dopo il famosissimo "Il Sale della terra").

Sempre il 31 agosto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, aveva confermato la cosa dicendo che "la pubblicazione del volume è prevista in tempi abbastanza brevi (prima della fine dell'anno in corso) in italiano e in tedesco, e se possibile anche in altre lingue". E ancora: "Com'è noto, i diritti relativi alle pubblicazioni del Santo Padre sono detenuti dalla Libreria Editrice Vaticana, che pubblicherà anche l'edizione italiana".

Oggi un comunicato della Libreria Editrice Vaticana è andato ancora oltre confermando che il volume si chiamerà "La luce del mondo". Il libro, assieme alla seconda edizione del libro "Gesù di Nazaret", verrà presentato alla 62ma edizione della Fiera del Libro di Francoforte (dal l 6 al 10 ottobre 2010).

Entrambi i volumi, tuttavia, non saranno stampati e nemmeno pubblicati per la Fiera. Se, infatti, "La luce del mondo" dovrebbe essere pronto per fine anno, la seconda parte di "Gesù di Nazaret" slitterà sicuramente al 2011.

Pubblicato su palazzoapostolico.it giovedì 30 settembre 2010

di Paolo Rodari

La nostra traduzione dell'articolo di William Oddie sulla santità di Chesterton, che come Chestertoniani italiani sottoscriviamo integralmente.


Sabato 9 ottobre, tra una settimana da questo Sabato, staremo tutti celebrando, per la prima volta, la festa del beato John Henry Newman dell'Oratorio. E' un momento molto importante, questo; ho portato tutto a casa con una cosa molto semplice domenica scorsa, alla messa all'Oratorio di Oxford: al ritorno dall'altare dopo aver ricevuto la Santa Comunione, lì sul retro della chiesa ho visto per la prima volta il nuovo Santuario di Newman dell'Oratorio, con candele votive accese e persone inginocchiate dinanzi ad esso; sembrava tutto così determinato, così naturale, e ancora prima della beatificazione di questo mese sarebbe stato quasi impensabile.

E il 9 ottobre si terrà la sua festa. Lo stesso giorno parlerò a una conferenza organizzata da un gruppo chiamato Chesterton in the Chilterns su Chesterton e Newman. La data è stata scelta per questa conferenza (per i dettagli vai al sito della Chesterton Society inglese) prima dell'annuncio della data della festa di Newman: ma la felice coincidenza mi porta a suggerire che potrebbe essere ora il tempo di iniziare seriamente a pensare a una domanda inevitabile: dopo John Henry Newman, chi sarà il prossimo? La mia risposta è che può essere solo Gilbert Keith Chesterton.

L'obiezione ovvia è che Chesterton non era affatto simile alla nostra idea di come dovrebbe apparire un santo o come dovrebbe comportarsi. Era molto dedito ai piaceri della tavola, era enormemente, a volte sfrenatamente divertente, era l'opposto di Newman sotto molti aspetti (anche se Newman ha avuto anche un brillante senso dell'umorismo). Il defunto Cardinale Emmet Carter lo ha definito nel 50° anniversario della sua morte come una di quei "santi laici", che "hanno esercitato un ruolo veramente profetico nella Chiesa e nel mondo", ma non credeva che allora sarebbe stato possibile introdurre una causa per la sua canonizzazione finale, dal momento che egli non pensava "che siamo sufficientemente emancipati da alcune idee sulla santità" - anche se poi ha cambiato idea.

L'illustre storico JJ Scarisbrick, però, pensava che la sua santità è così chiara che l'apertura della sua Causa dovrebbe infatti essere seriamente contemplata. "Sappiamo tutti", ha risposto, "che era un uomo tanto enormemente buono quanto enorme. Il punto è che lui era più di questo. C'era una speciale integrità e innocenza su di lui, una speciale devozione al bene e alla giustizia... Soprattutto, c'era quel possesso della Verità mozzafiato, intuitivo (quasi angelico) e la consapevolezza del soprannaturale che solo una persona veramente santa può godere. Questo è stato il dono eroico dell'intelligenza e comprensione - e dell'eroica profezia. Era un gigante, sia spiritualmente che fisicamente. C'è mai stato nessuno come lui nella storia cattolica? ".

Sono d'accordo; e questo è quello che io e un gruppo di illustri teologi sosterremo in un libro intitolato La Santità di GK Chesterton, da pubblicare entro la fine dell'anno. Nel frattempo, perché non andare alla conferenza di Beaconsfield, il 9 ottobre? Magari ci vediamo lì.

William Oddie sul Catholic Herald: Dopo Newman il prossimo sarà sicuramente G K Chesterton


COMMENT & BLOGS

Who next, now that Newman has been raised to our altars? It can surely only be G K Chesterton

He was nothing like our traditional idea of what a saint is like: but his time has come

By WILLIAM ODDIE on Wednesday, 29 September 2010

Who next, now that Newman has been raised to our altars? It can surely only be G K Chesterton

GK Chesterton: 'a giant, spiritually as well as physically' (Photo: PA)

On Saturday October 9, a week this Saturday, we will all be celebrating, for the first time, the feast of the Blessed John Henry Newman of the Oratory. It is a very momentous time, this; it was all brought home to me by a very simple thing last Sunday at Mass at the Oxford Oratory: as I came from the altar after receiving Holy Communion, there at the back of Church I saw for the first time the Oratory's new Newman shrine, with votive candles burning and people kneeling before it; it all seemed so established, so natural, and yet before the beatification this month it would have been almost unthinkable.

And on October 9, we will keep his feast. On the same day, I shall be speaking at a conference organised by a group called Chesterton in the Chilterns on Chesterton and Newman. The date was chosen for this conference (for details go to the Chesterton Society website) before the announcement of the date of Newman's feast day: but the happy coincidence leads me to suggest that it might now be time seriously to start thinking about an unavoidable question: after John Henry Newman, who next? My answer is that it can only be Gilbert Keith Chesterton.  

The obvious objection to this is that Chesterton was nothing like our idea of how a saint should look or behave. He was greatly given to the pleasures of the table; he was enormously, sometimes riotously funny; he was the opposite of Newman in so many respects (though Newman also had a brilliant sense of humour). The late Cardinal Emmet Carter described him on the 50th anniversary of his death as one of those "holy lay persons" who "have exercised a truly prophetic role within the Church and the world", but he did not then believe that it would be possible to introduce a Cause for his ultimate canonisation, since he did "not think that we are sufficiently emancipated from certain concepts of sanctity" – though later he change his mind.

The distinguished historian J J Scarisbrick, however, thought that his sanctity was so clear that the opening of his Cause should indeed be seriously contemplated. "We all know," he responded, "that he was an enormously good man as well as an enormous one. My point is that he was more than that. There was a special integrity and blamelessness about him, a special devotion to the good and to justice … Above all, there was that breathtaking, intuitive (almost angelic) possession of the Truth and awareness of the supernatural which only a truly holy person can enjoy. This was the gift of heroic intelligence and understanding – and of heroic prophecy. He was a giant, spiritually as well as physically. Has there ever been anyone quite like him in Catholic history?"

I agree; and this is what I and a distinguished group of theologians will be arguing in a book entitled The Holiness of G K Chesterton, to be published before the end of the year. Meanwhile, why not go to the Beaconsfield conference on October 9? Maybe I'll see you there.

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martedì 28 settembre 2010

IL CASO/ Come farà la povera Lily May a chiamare "padre" Elizabeth?


 

di Gianfranco Amato - da Il Sussidiario di lunedì 27 settembre 2010

 

Nel 1837, l'anno in cui salì al trono la regina Vittoria, furono introdotte, in tutto il Regno Unito, ferree disposizioni sulla compilazione dei certificati di nascita. Persino il tipo di inchiostro indelebile da utilizzare fu oggetto di specifiche disposizioni. La certezza circa le proprie origini non rivestiva un'importanza solamente giuridica ma anche sociale. Allo Stato spettava il compito di certificare paternità e maternità dei sudditi britannici.

Questa centenaria tradizione si è interrotta il 18 aprile 2010 quando per la prima volta in Gran Bretagna un certificato di nascita ha indicato due donne come genitori di una bambina. Si tratta di Natalie Woods, madre biologica di Lily May, e della sua partner omosessuale Elizabeth Knowles, che nella coppia rivestirebbe il ruolo di "padre", al posto dell'anonimo donatore di sperma che ha consentito la fecondazione.

Ovviamente l'evento è stato definito dagli attivisti gay una «tappa fondamentale» nell'evoluzione del concetto di famiglia, non più legato al mero aspetto biologico.

Come tutto ciò sia potuto accadere è presto detto. Lo scorso primo aprile è entrata in vigore in Gran Bretagna quella parte della legge sulla fecondazione in vitro e l'embriologia del 2008 che consente il rilascio di certificati di nascita relativi a figli di coppie omosessuali, sostituendo i termini "padre" e "madre" con quello più neutro di "genitore".

Ora, a prescindere da ogni considerazione di carattere morale, ciò che appare sconcertante in questa vicenda, dal punto di vista giuridico, è che le autorità britanniche si prestino a manipolare la realtà, attraverso una certificazione pubblica. Un falso di Stato.

Un certificato di nascita, infatti, dovrebbe contenere dati autentici e corrispondenti alla verità circa l'origine biologica, laddove conosciuta, di un determinato individuo e non situazioni derivanti dai desideri o dalle fantasie di presunti genitori.

Ciò dovrebbe valere ancora di più in una società dominata da una diffusa cultura genetica che, proprio attraverso la fecondazione in vitro, sembra ossessionata dal desiderio di una discendenza che condivida legami di sangue e Dna.

Elisabeth Knowles non ha nessun rapporto biologico con la piccola Lily May, e dichiararla genitore in un certificato di nascita integra semplicemente un falso. Anche se un falso di Stato.

In realtà, nel riconoscere i presunti "diritti" delle due donne omosessuali, si sono violati i diritti di un terzo soggetto più debole: la figlia.

Il prologo de L'ultima messa di Padre Pio, l'ultima fatica di Gnocchi e Palmaro.



In alto: una foto scattata durante l'ultima messa celebrata da San Pio da Pietrelcina.


Qui sopra: la copertina del volume di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro


Per gentile concessione degli autori abbiamo la possibilità di mettere a disposizione dei lettori il prologo dell'interessante volume di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro dal titolo l'ultima messa di padre Pio, edito da Piemme.


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Prologo

NEL TERRITORIO DEL DIAVOLO

Dove padre Pio viene incaricato dal Cielo di una misteriosa missione in cui dovrà opporsi alle trame dell'anticristo e soffrire per amore della Chiesa


San Giovanni Rotondo, giovedì 19 marzo 2009, festa di San Giuseppe, ore 11.30. La prima nota sul blocco degli appunti è sconsolata ma precisa: "Non si doveva partire da qui". Il viaggio nel mondo di padre Pio sulle tracce della sua totalededizione alla Messa, della sua dolorosa compenetrazione con il sacrificio di Cristo comincia inciampando in un enigma.

Pur essendo arrivati nel luogo dove il frate stigmatizzato è vissuto più a lungo e dove si trovano le sue spoglie mortali, si fa sempre più forte la sensazione che il bandolo di questa matassa celeste potrebbe essere altrove. E' un'idea sorta orecchiando i discorsi di un gruppo pellegrini all'uscita della nuova chiesa dedicata al santo, il mostro liturgico edificato da Renzo Piano. Questo tripudio di cemento e di modernità, stanno dicendoalcuni di loro senza parvenza di remore,non vale un centimetro quadrato del dipinto che hanno visto ieri a Campobasso. Là sì che si aveva la percezione inequivocabile di trovarsi davanti al santo e al suo segreto. Dicono proprio così, "il santo e il suo segreto". Con tutta probabilità, stanno parlando diun'immagine che si trova nel santuario di Santa Maria del Monte, dove padre Pioarrivò nel 1905, a diciotto anni, quando non aveva ancora pronunciato i voti solenni.

"Non si doveva partire da qui": l'idea ha preso rapidamente corpo, tanto da diventare una precisa nota sul blocco degli appunti. Non ha evidente fondamento scientifico e, a prima vista, non risponde neppure ai criteri minimi del buon senso. I pellegrini si sono dileguati in un batter d'occhio e non è stato possibilechiedere un seppur minimo chiarimento. Quanto al quadro o all'affresco di cui parlavano, buio assoluto. Nella vasta letteratura sul padre, se ve ne è traccia, non deve essere così visibile. Ma, forse, è proprio per questo che bisogna partire da lì.

Se si pensava di affrontare questo viaggiocon il passo misurato dello studioso, bisogna subito cambiare prospettiva e farsi anche un po' investigatori e un po' pellegrini. Il mistero si comprende solo attraverso il mistero, sovrapponendopazientemente velatura a velatura fino quando non si palesino quelle trasparenzeche gli uomini non sono capaci diimmaginare da se stessi. Su questo terreno, non è concesso sottrarre ma aggiungere: e quanti veli bisognerà sovrapporre l'uno all'altro, prima che nella vicenda di padre Pio sia possibile anche solo intravedere per un momento le vere ragioni di ciò che appare?

Un quadro che il pittore non voleva dipingere

Campobasso, giovedì 19 marzo 2009, ore 14.30. Da San Giovanni Rotondo a qua ci sono centotrenta chilometri di strada non sempre agevole. Due ore buone in compagnia del malcelato timore di doversi scoprire tanto ingenui da aver dato retta inutilmente alle chiacchiere di un gruppetto di sconosciuti. Ma nel santuario di Santa Maria del Monte c'è il quadro. E' un raro esempio di arte contemporanea guardabile e raffigura la Vergine Mariamentre appare a un giovane fra Pioindicandogli Gesù che sale il Calvario portando la croce.

L'opera è collocata dietro l'altare dellacappellina laterale dedicata al santoricavata a destra dell'ingresso. I pellegrini di San Giovanni Rotondo avevano ragione. La precisione della scena narrata dice di un fatto realmente accaduto e, conla sua sobrietà e il suo rigore, fa da contorno e protezione a un dialogopercepibile solo ai due protagonisti. "Il santo e il suo segreto", avevano detto i nostri involontari informatori, e potrebbe persino essere il titolo del quadro.

Fu padre Pellegrino da Sant'Elia aPianisi, il frate che rimase vicino a padre Pio fino agli ultimi istanti della sua vita terrena, a volere con insistenza quasi importuna che il pittore AmedeoTrivisonno lo dipingesse. Era il 1971. "Amedeo" spiegò padre Pellegrinoall'artista "qui la Madonna è apparsa apadre Pio molte volte. Tu, che sei tanto religioso, devi dipingere un quadro per ricordare l'apparizione più importante,quella del giorno dell'Assunzione del 1905. E' l'apparizione in cui il padreaccettò di essere l'Alter Christus".

Trivisonno era artista di buona fama anche oltre i confini italiani e, quel che più conta in tale frangente, era effettivamente molto religioso. Era legato ai cappuccini, amava padre Pio, ma non se la sentiva proprio di affrontare quel lavoro. La rivelazione di padre Pellegrino lo aveva turbato. Ma tanta fu l'insistenza del frate che, a settembre, si mise al lavoro nel suo studio di Firenze e, a maggio dell'anno successivo aveva terminato L'apparizione della Madonna del Monte a Padre Pio.

La precisione della narrazione sulla tela testimonia che, parlando con l'amico artista, padre Pellegrino entrò nel dettaglio dell'evento fino al limite di quanto gli fosse consentito rivelare di quel poco che aveva intuito stando vicino a padre Pio. Non si comprenderebbe altrimenti come il pittore si sentisseturbato dal fatto che a un giovane deciso a diventare sacerdote fosse chiesto di divenire Alter Christus. La conformazione a Gesù è l'essenza di ogni chiamata al sacerdozio, ma, evidentemente, a fra Pio da Pietrelcina venne chiesto molto di più:dopo la visione dl 1903, che gli prospettava una vita in lotta perenne con il demonio, secondo il dipinto celato in questa cappella, ora gli veniva chiesta la condivisione della Croce e l'associazione al sacrificio divino fino a patire le sofferenze del Salvatore. L'unicità e la grandezza della richiesta sonotestimoniate dal fatto che il santo di Pietrelcina è il primo sacerdote nella storia della Chiesa a ricevere le stigmate, il suggello dell'adesione e della dedizione assoluta alla Passione di Cristo nella riproposizione del Calvario.Tutto questo, nel linguaggio della Chiesa cattolica può essere espresso con un solo concetto: Santa Messa.

La Messa non può mutare

Non è stata davvero una scelta avventata quella di aver prestato credito ai discorsi dei pellegrini di San Giovanni Rotondo. Quel giovane frate in contemplazione della Madonna, con le braccia aperte nell'attesa di essereinchiodate sulla croce che Cristo sta portando al Calvario, trasmette davvero la sensazione quasi fisica di trovarsi al cospetto di un evento unico. Basta guardare la scena narrata nel quadro per comprendere l'attaccamento di padre Pio alla Messa, il desiderio bruciante di stare quanto più possibile sull'altare, le celebrazioni che duravano ore e ore nello spasimo della crocifissione e nella contemplazione dell'ostia consacrata,l'urgenza di celebrare quante più Messe possibile in riparazione dell'incuria e dell'indifferenza con cui lo facevano tanti, troppi sacerdoti. E, con ancoramaggiore chiarezza, si comprende l'attaccamento del Santo all'immutabilità del rito con cui Gesù, ogni volta che un sacerdote consacra il pane e il vino, sifa presente come vittima perfetta sull'altare.

Al vecchio frate cappuccino bastarono i prodromi della riforma liturgica che sarebbe entrata in vigore nel 1969, dopo la sua morte, per averne un sacro orrore. In tutta la sua vita obbediente fino al martirio, l'unica richiesta che osò avanzare all'autorità della Chiesa fu quella di essere esentato dalle novità della riforma liturgica incombente. E lo fece nella persona del Papa che poi avrebbe promulgato il nuovo messale, PaoloVI. Non era la bizzarria di un vecchio originale confinato in un passato che non voleva passare, era il grido di un uomo di Dio che vedeva il futuro.

"La mia missione" confidò a Luigi Peroni, che fu direttore dei suoi Gruppi di preghiera, "finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa". E in altre occasioni aveva detto: "Il mondo potrebbe stare anche senza sole, ma non senza la Santa Messa". Che cosa aveva mostrato il Cielo a quel giovane frate nel giorno dell'Assunzione del 1905 e poi nelle tante visioni celesti che seguirono se i messaggi che lui consegnava all'umana comprensione erano così inquietanti?

Per quanto porsi una simile domanda sia legittimo, sarebbe temerario anche solo ipotizzare di rispondervi. Ciò che se ne può trarre senza timore di nominare Dioinvano è il sentore, seppur poveretto, dell'incommensurabilità della Messa rispetto a quanto di più grande delle povere creature possano immaginare. E ciò basta per giustificare le umiliazioni, le sofferenze, le soperchierie che padre Pio accettò durante tutta la sua vita dentro la Chiesa da parte di tanti uomini della Chiesa. Trattato da impostore e isterico a causa delle stigmate, da ladro e profittatore a causa della sua opera di carità in soccorso dei sofferenti, daplagiatore e negromante a causa delle ore trascorse in confessionale, da fanatico e integralista a causa del suo amore e della sua devozione alla santa dottrina cattolica: tutto a maggior gloria della Chiesa, immacolato Corpo Mistico di Nostro Signore Gesù Cristo, che gli dava ogni giorno il privilegio di essere fedele alla missione di salire all'altare e morireancora una volta in Croce con Gesù.

Quella Chiesa dentro le cui mura, fino alla fine dei tempi, ci sarà sempre qualcuno che tenta di oscurare il sole. Qualcuno che, come segno ultimo dell'aggressione alla sposa immacolata di Cristo, si adopererà per distruggere la Messa e impedire il Sacrificio che regge il mondo.

Il colpo da maestro del Nemico

Padre Pio se ne era accorto presto. Aveva raccolto con dolore le confidenze penosedi Cristo costretto a chiamare "macellai" i sacerdoti che celebravano indegnamente la rinnovazione della sua morte in croce. Ma, con l'andare degli anni, aveva visto che il pericolo si sarebbe fatto semprepiù incombente, sempre più concreto,sempre più diffuso. Le singole indegnità personali, per quanto numerose potessero essere, non bastavano più alla strategiadel Nemico. Le antenne spirituali delSanto captavano un disegno volto a mutare la natura stessa della Messa che, se fosse riuscito, avrebbe distolto anche i buoni sacerdoti dall'essenza del loro ministeroilludendoli di continuare a servire il Signore: zelanti ministri di Dio indotti in errore per virtù d'obbedienza con l'effetto di propagare l'infezione fino ai fedeli. Un vero e proprio colpo da maestro. Là dove non era riuscito il modernismo di inizio Novecento, che con i suoi libri e i suoi trattati era rimasto un fenomeno elitario, ce l'avrebbe fatta un neomodernismo che, grazie una nuova liturgia, fosse divenuto un fenomeno popolare. Nei disegni anticristici, la crisi della Messa avrebbe impresso una svolta epocale la crisi della Chiesa, già provata da teologie palesemente eretiche al confronto delle quali, disse nel 1966nel Contadino della Garonna un insospettabile Jacques Maritain, il modernismo era stato un raffreddore da fieno.

Non erano i timori di un povero visionario, ma la lucida prospettiva del pericolo cui la Chiesa dovrà fare fronte sino alla fine dei tempi e che, dalla metà degli Anni Sessanta del secolo scorso, si andava facendo sempre più concreto. Nel XIX secolo l'aveva ben descritta domProsper Guéranger, restauratore dell'ordine benedettino e cultore della liturgia, in un ciclo di conferenze sulla Messa tenute ai suoi monaci: "Dai termini che adopera la Chiesa comprendiamo quanto la Santa Messa s'allontani dalle devozioni private. Deve dunque venire prima di tutte, e le sue intenzioni devono essere rispettate. Così la Chiesa fa partecipe di questo grande Sacrificio tutti i suoi membri; questo fa sì che, se il Santo Sacrificio della Messa cessasse, non tarderemmo a ricadere nell'abisso di depravazione in cui si trovavano i pagani, e questa sarà l'opera dell'Anticristo. Questi metterà in pratica tutti i mezzi possibili per impedire la celebrazione della Santa Messa, affinché questo grande contrappeso sia abbattuto, e così Dio metta fine a tutte le cose, non avendo più ragione di farle sussistere".

Negli ultimi anni della sua vita, padre Pio fu segnato più duramente dalla consapevolezza che la visione di domGuéranger si stesse mostrando sempre più chiaramente attuale. Ma, quanto più la sua consapevolezza si faceva chiara, tanto più attorno a lui trovava gente pronta a oscurarla. Si parlava, in certi casi persino volentieri, dell'unicità della sua Messa, ma non se ne spiegavano le ragioni, quasi fosse un'originale variazione su un tema sempre più libero e non, invece, il canone a cui attenersi. E meno ancora si faceva cenno alla suo attaccamento al rito di sempre, una liturgia dalle radici millenarie, quasi che per lui fosse statala stessa cosa "stare appeso sulla Croce come Cristo" e vedersi ridotto al rango di presidente di un'assemblea.

Più invecchiava, più perdeva le forze, e più l'eloquenza della realtà costringevaquesto Santo votato al dolore a una sofferenza persino difficile la offrire poiché vi contemplava il pericolo per troppe anime.

Il Calvario di padre Pio e l'archivio ritrovato

Roma, sabato 30 aprile 2005, festa di San Pio V. A questo punto, bisogna fare un salto all'indietro di quattro anni perche questo viaggio, in realtà, comincia in un pomeriggio romano, a undici giorni dall'elezione di Papa Benedetto XVI. Suuna bancarella di libri usati poco lontano da San Pietro stanno in bella evidenza due grossi volumi rilegati in tela rossa. Il Calvario di padre Pio, recita il titolo in fregi dorati. L'autore, è GiuseppePagnossin, un industriale padovano. E' unfiglio spirituale del Santo di Pietrelcinache ha votato tutti i suoi averi e buona parte della sua vita alla difesa del padredalle calunnie e dalle persecuzioni. Una rapida occhiata ai due volumi mostra subito che sono una vera e propria miniera di documenti, riproduzioni fotostatiche, fotografie mai viste, oltre a una ricostruzione della vita del Santo che nessuno aveva mai raccontato in particolari così minuziosi e dettagliati. Non c'è indicazione di un editore o di un tipografo. Meglio comprarlo, non si sa mai.

Nelle cartellette dei libri in lavorazionesulla scrivania non c'è ancora nessun "Progetto padre Pio", ma quei due grossivolumi messi a riposare negli scaffalichiedono attenzione. Fino a quando prende corpo la domanda più ovvia: se Pagnossinha dato dignità di stampa a tanto materiale, doveva averne molto più, un vero e proprio archivio, ma dov'è? Il quesito si fa tanto più intrigante quando si scopre che Il Calvario di padre Pio, circolato in poche copie curate dallo stesso autore, è rimasto inedito. Questa scoperta genera una seconda domanda: se, da qualche parte c'è un archivio diPagnossin, che cosa contiene?

Un po' di fortuna, un po' di amicizie e un po' di mestiere portano rapidamente a scoprire che l'archivio è stato donato dalla famiglia dell'industriale padovanoalla Fraternità Sacerdotale San Pio X eora si trova ad Albano Laziale, residenza del superiore del Distretto italiano. Perché sia lì è presto detto: dopo la morte di padre Pio, Giuseppe Pagnossinandò in cerca di qualcuno che fosse legato alla Messa e alla dottrina cattolica di sempre come vi era legato il Santo di Pietrelcina e lo trovò in monsignor Marcel Lefebvre, il fondatore della Fraternità San Pio X. Non lo spaventarono le accuse riversate addosso al vescovo francese per la sua opposizione alle innovazioni in corso nella Chiesa a partire dagli Anni Sessanta. E neppure gli strascichi canonici della vicenda che culminarono in una scomunica latae sententiae del 1988 e revocata solo nel 2009. Anzi, come molti altri figli spirituali di padre Pio, trovò un approdo sicuro nella Tradizione, dove, a garanzia della fedeltà alla dottrina e alla Messa di sempre, vigeva una profonda devozione per San Pio X, il Papa in onoredel quale il giovane Francesco Forgione daPieterlcina prese il nome al momento di farsi religioso.

Così, giusto per essere chiaro, tra le notazioni del suo dossier, Pagnossinscrive: "Ma l'attacco di Satana, più dolorosamente, si svolge anche all'interno della Chiesa, dove proprio taluni Successori degli Apostoli contestano la tradizione, il dogma e il Papa, sulla ragione più falsa della temeraria argomentazione luterana del libero esame inteso come negazione della parola rivelata, in una dialettica che nulla più ha di ortodossa ispirazione dottrinale, ma tutto di estemporanea inventiva sovvertitrice. Si ripete il fenomeno eretico della contestazione nel seno della Chiesa di Cristo riguardo alla tradizione di verità che avvenne nel Sinedrio riguardo alla verità delle Scritture profetiche".

Il frate e l'arcivescovo

Albano Laziale, giovedì 1° ottobre 2009, festa di Santa Teresa di Gesù Bambino. C'è voluto del tempo, si sono dovuti onorare altri impegni di lavoro perché sulla scrivania facesse la sua comparsa una cartella intitolata "Progetto padre Pio". E ora siamo davanti all'archivio di Giuseppe Pagnossin. Una parete intera di libri, faldoni pieni di documenti, ricordi, ricostruzioni, fotografie e filmati: adesso bisogna metterci mano. La prima curiosità da soddisfare, data la storia di questa raccolta e dato il luogo in cui è custodita, riguarda l'incontro tra monsignor Lefebvre e padre Pio di cui si è spesso parlato senza che fosse mai menzionato nelle biografie del santo. E'citato solo Cristina Siccardi nel suo recente, documentato e coraggioso Mons. Marcel Lefebvre. Nel nome della Verità.L'evento, ritenuto ancora politicamente e teologicamente scorretto, continua a essere sbianchettato proditoriamente dalle pagine di cronaca e di storia nel timore di dare la patente di "tradizionalista" al Santo di Pietrelcina. Ma basta levarsi il paraocchi per capire quanto quell'incontrotra lui e monsignor Lefebvre fosse del tutto naturale e coerente visto l'attaccamento dei due protagonisti alla Messa e alla dottrina cattolica di sempre,e viste le incomprensione e lepersecuzioni che ne ricavarono all'interno della Chiesa stessa.

In una cartellina intestata laconicamente "Mons. Lefebvre" si trovano le foto e le testimonianze dell'incontro, tra cui un ritaglio del bollettino ufficiale della "Casa sollievo della sofferenza", l'ospedale fondato dal Santo a San Giovanni Rotondo. La nota è datata 31 marzo 1967, il giovedì dopo Pasqua: "E' venuto in visita da padre Pio monsignor Marcel Lefebvre, arcivescovo di Synnada(Frigia), superiore generale della Congregazione dello Spirito Santo, e inoltre consultore delle Congregazione di Propaganda fide. Monsignor Lefebvre ha assistito alla Messa di padre Pio e s'è quindi incontrato con lui (vedere foto). La Congregazione dello Spirito Santo ha duecentosessantaquattro anni di vita. La Casa generalizia è stata recentemente trasferita da Parigi a Roma".

Oltre alla foto pubblicata nel bollettino, che testimonia la cordialità dell'incontroin cui l'arcivescovo ha chiesto al Santo cappuccino la benedizione per l'imminente capitolo generale della congregazione degli Spiritani, nella cartellina ce n'è un'altra in cui padre Pio bacia devotamente l'anello al successore degli apostoli. "Ebbe da me la richiesta di una benedizione" racconta in una memoria monsignor Lefebvre "cui egli si sottrasse volendo invece baciare con umiltà il mio anello pastorale, e insistendo, per converso, a ottenere, lui, la mia benedizione".

Mondi lontanissimi

Il resto dell'archivio è un mare magnum in cui galleggiano piccole perle rimaste inedite. Dediche su libri e messali, brevi preghiere, riflessioni. C'è anche la versione fotostatica integrale di un trattatello mistico pubblicato in forma riveduta in appendice al quarto volume dell'epistolario del santo.

C'è sicuramente anche altro, ma ciò di cui si sta andando in cerca, letteralmente a tentoni, riguarda la Messa. L'occhio allenato nota subito il materiale già uscito in altre pubblicazioni. Pagnossinha conservato, fotografato, trascrittotutto quanto gli era possibile e, anche senza trovare nulla di nuovo, qui ce n'è a sufficienza per far luce sull'argomento che viene da chiedersi come mai nessuno abbia pensato di farlo fino ad ora.

Tra il materiale mai pubblicato, si trovano conferme saporite e consolanti diquanto padre Pio ha detto e fatto a proposito del santo Sacrificio. Come questa dedica sul frontespizio del messale di Angelina Buratti, di Venezia, datata 1958:

"Nell'assistere alla Santa messa rinnova la tua fede e medita quale vittima s'immola per te alla divina giustizia per placarla e renderla propizia.

"Non allontanarti dall'altare senza versare lagrime di dolore e di amore per Gesù Crocefisso per la tua eterna salute.

"La Vergine Addolorata ti terrà compagnia e ti sarà dolce ispirazione.

"P. Pio Capp.no".

E in un biglietto a un figlio spirituale diceva ancora:

"Nell'assistere alla S. Messa accentra tutto te stesso al tremendo mistero che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi: la Redenzione della tua amicizia e la riconciliazione con Dio.

"P. Pio Capp.no"

Un vero e proprio trattato sulla Santa Messa condensato in poche righe che ai seminaristi di oggi farebbe molto più bene di tanti tomi di teologia sacramentaria sotto i quali soffocano le loro vocazioni.Così come sarebbe di grande consolazione leggere sulle immaginette per le nuove ordinazioni qualcosa che somigli alla preghiera che padre Pio suggeriva, con un biglietto conservato da Pagnossin, in occasione della vestizione della sorella suor Pia:

"Tenui eum nec dimittum.

O Signore che nella tua bontà

mi hai eletta al sublime

onore di tua sposa

concedi a me fedeltà perpetua,

copiose effondi le tue grazie

sulle mie consorelle, sui diletti genitori

e su quanti partecipano

al mio gaudio".

Sembrano pagine giunte da mondi lontanissimi e, invece, sono frutto della comune, semplice e immutabile fedeprofessata dalla Chiesa di Cristo. Ma oggi sembra difficile comprenderlo, e propriola diffusione di questa incertezza dottrinale, che non di rado sfocia in vera e propria eresia, getta luce sulla missione riparatrice di padre Pio. Se, a causa della fedeltà alla Messa e alla dottrina di sempre, molti suoi figli spirituali sono stati rigettati da quellavasta porzione di mondo ecclesiale chenegli Anni Sessanta si era incamminata per vie nuove, non è peregrino ipotizzare che il primo sacerdote stigmatizzato della storia avesse visto in anticipo la crisi che la Chiesa ne avrebbe patito. Un evento drammatico e inedito poiché, per la prima volta, il Corpo Mistico di Cristo veniva squassato attraverso il tentativo di rivoluzionare il sacrificio offerto sull'altare.

Come dimostrano le tante piccole perle nascoste nell'archivio di Pagnossin, padre Pio, oltre a essere innanzi tutto lui stesso uomo del Sacrificio, aveva fatto dei suoi figli spirituali altrettanti alfieri della Messa. Non servivano troppi discorsi: bastavano il suo esempio e i brevi richiami inviati attraverso piccoli biglietti, dediche sui libri, moniti sui messali. In questo modo li aveva preparati a tempi difficili dei quali solo la divina sapienza ha contezza, e ne aveva fatto dei seminatori ben attenti a non dispere la buona semente di cui lui si sarebbe servito fino all'ultimo: "La mia missione finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa".

In lotta con il Nemico

Spinges (Bolzano), domenica 31 gennaio 2010, festa di San Giovanni Bosco."L'anticristo vuole distruggere la Messa. Quando l'anticristo sarà qui, la Messa non ci sarà più. Leggete Sant'Ireneo". Don Josef von Zieglauer, il parroco in pensione di questo paesino a un quarto d'ora da Bressanone, ha appena terminato di celebrare la Messa delle 6.30 nell'indescrivibile Cappella del Santo Sepolcro e, in un tedesco domestico che affila discretamente il latino liturgico,tra i banchi un fedele risponde così a chi gli chiede che cosa ne sarà del Santo Sacrificio.

Non c'è bisogno di ripasso: dopo che lo si è letto una volta, è difficile dimenticare quanto scrive Sant'Ireneo di Lione nel suotrattato Contro le eresie. La trascuratezza consiste solo nel non averlo collegato prima alla vicenda di padre Pio.Ma ora che il legame è stato allacciato si mostra in tutta la sua evidenza inquietante. "E per questo motivo" spiegaIreneo a proposito della venuta dell'anticristo "Daniele dice ancora: 'Il santuario sarà desolato: è stato offerto il peccato al posto del sacrificio e la giustizia è stata gettata a terra. Lo ha fatto e ha avuto successo'. L'angelo Gabriele (…) poi, intendendo indicare anche la durata della tirannide, durante il cui tempo saranno messi in fuga i santi che offrono a Dio un sacrificio puro, afferma: 'E a metà della settimana verranno soppressi il sacrificio e la libagione e nel tempio si verificherà l'abominio della desolazione e sino alla fine del tempo sarà dato compimento alla desolazione'. (…) le cose (…) profetizzate da Daniele riguardo alla fine dei tempi sono state comprovate dal Signore, là dove dice 'Quando vedrete l'abominio della desolazione annunciata dal profeta Daniele'".

L'abominio della desolazione profetizzato da Daniele, comprovato da Nostro Signore ed evocato da Sant'Ireneo è, inequivocabilmente, un mondo senza Messa. Peggio ancora: un mondo oscurato da una messa falsa. Non è dato sapere quali fossero i segni celesti in cui padre Pio lesse i modi e i tempi di tale evento e che rivelazioni ne avesse tratto. Certo, non possono sfuggire e non possono essere sottovalutate la forza e l'urgenza con cui difese la Messa di sempre negli ultimi anni della sua vita.

A tale proposito, è di grande e inquietante suggestione quanto domGuéranger scriveva nel XIX secolo nelle sue conferenze sul Santo Sacrificio: "NelCommunicantes, come nel Confiteor, non si menziona San Giuseppe, perché la devozione a questo Santo benedetto era riservata ai tempi ultimi". Non può sfuggire che il nome di San Giuseppe è stato inserito nel Canone sotto il pontificato di Giovanni XXIII con il decreto De S. Ioseph nomine Canone Missae inserendo del 13 novembre 1962.

Lungi dal voler dedurre anche la minima indicazione circa l'avvento dei tempi ultimi, queste considerazioni devono comunque portare a riflettere sulla missione affidata dal Cielo a padre Pio, in particolare al suo ruolo di oppositore del Nemico. Madre Eleonora FrancescaForesti, fondatrice delle Religiose Francescane Adorattrici di cui è in corso la causa di beatificazione, aveva conosciuto il Santo stigmatizzato e, nelDiario, rivela che furono le sue preghiere a preservare l'Italia dalla rivoluzione comunista nel 1920. E poi riporta quanto Gesù le disse a proposito dell'eccezionalità di quell'uomo: "L'anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. E' cielo tersissimo in cui gli Angeli riflettono il loro volto stupendosi. E' favo di miele! E' il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. E' specchio della mia anima in cui mi rifletto, come un purissimo raggio di sole, attraverso il più puro cristallo! La mia voce in lui è come l'eco riprodotta tra due monti!

"Il suo linguaggio è dolce e tagliente!... misterioso come il mio: conforta e abbatte. Ha il mio stesso imperio, perché, IO, Gesù, vivo in lui. Il suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo eloquio di un grande oratore. Io do valore a tutto ciò che amana da lui. E' il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio Spirito, come a nessun'altra creatura. E' il io perfetto imitatore, la mia Ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la mia gloria!".

Non prevalebunt

Stante come pietra fondativa di questi discorsi il "non prevalebunt" con cui Gesù ha rassicurato i suoi circa le sorti della Chiesa cattolica, è d'altra parte insegnamento divino che, dove c'è Cristo, fino alla fine dei tempi su questa terra ci sarà sempre una presenza anticristica. Di potenza e operosità diversa, ma sempre attiva. Tanto che, sella seconda Lettera ai Tessalonicesi, San Paolo non usa vaghi giri di parole quando deve parlare del figlio della perdizione, l'avversario che si innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio. "Adesso sapete ciò che lo trattiene" dice l'Apostolo nella tutt'ora splendida e cattolica versione dell'abate Giuseppe Ricciotti "in modo che egli si manifesterà solo al tempo opportuno. Già è in azione il mistero dell'iniquità; solamente v'è colui che lo trattiene ora e lo tratterrà fino a che sia tolto di mezzo".

L'apparizione dell'anticristo, dunque, incontra l'opposizione di un ostacolo e di qualcuno che lo trattiene, che in lingua greca ha nome katéchon. Secondo San Tommaso d'Aquino, l'ostacolo alla comparsa dell'Anticristo di cui parla San Paolo sta nell'unione e nella la sottomissione degli uomini alla Chiesa Romana, trasformazione dell'antico impero temporale romano, sede e centro della fede cattolica. Ma, per beneficio di Dio, accanto a questo ostacolo, vi è un custode, il katéchon, incaricato di vegliare e di custodirlo: tale custode è il Papa, Vicario di Gesù Cristo.

"Finchè il custode sarà riconosciuto, rispettato, ubbidito" spiega il sacerdote Agostino Lémann in un saggio suL'Anticristo "l'ostacolo sussisterà, la società rimarrà fedele all'impero spirituale romano e alla fede cattolica. Ma se questo custode, il Papa, viene ad essere disconosciuto, messo da parte, rigettato, con lui sparirà anche l'ostacolo e l'Anticristo sarà libero di comparire".

Legioni di intelligenze cattoliche si sono applicate all'individuazione del katéchon, tutte con argomentazioni plausibili anche se, talvolta, sono giunte a conclusioni diverse sul piano storico. Ora, sarebbe inopportuno cedere alla tentazione di inserire padre Pio nella schiera delle ipotesi. Ma riesce difficile non leggerenel quadro del disegno divino di opposizione al Nemico la sua vita di preghiera, di sacrificio, di combattimento di cui il convento di San Giovanni Rotondo è stato a lungo il teatro nascosto.

L'ultima Messa di padre Pio

San Giovanni Rotondo, 19 marzo 2010, festa di San Giuseppe. Dunque, bisognava tornare qui. E ci si ritorna con gli stessi interrogativi che Giuseppe Pagnossin si poneva al termine delle sue riflessioni:

"Dove andare, nell'ora oscura, soltanto incontro alla fede del 'non prevalebunt!', incontro alla fede di una Parola che 'non passerà' neppure quando saranno passati i Cielo e terra; incontro alla fede del sangue versato perché 'le anime non vengono date in dono: si comprano – ricorda padre Pio – e voi non ignorate quello che costarono a Gesù. Ora è sempre con la stessa moneta che bsogna pagarle'

"Chi le ha ricomprate col sangue, in quest'epoca, le anime a Satana, alla contestazione, all''emancipazione'? La cronaca documenta che tra questi'acquirenti del riscatto' c'è padre Pio da Pietrelcina: il 'grande negoziatore'.

"E' lui il 'nuovo San Francesco' auspicato da Pio XII? E' lui il 'necessario al secolo' predestinato alla 'missione grandissima' di comprare le anime in una ininterrotta agonia ('Voglio vivere morendo perché dalla morte venga la vita che non muore') che costa sangue e sofferenze? E' lui che rinnova il sillogismo di Paolo: 'Sono crocifisso con Cristo in croce, e perciò vi io: ma non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me'? E' lui che ripropone, nel momento di maggior pericolo, tutta l'ortodossia della Sapienza rivelata, il mistero salvifico della Messa, dell'Eucaristia, la potenza del Rosario, la virtù battesimale della confessione, il valore redentivodella sofferenza, la santità del sacerdozio, la rigorosa intransigenza al peccato, la sottomissione assoluta allaChiesa, l'obbedienza incondizionata al Papa, l''imitazione totale' al Cristo, per la gloria di Dio, per l'onore dell'Ordine Cappuccino?

"E' lui che dovevamo attendere nel timore dell'epoca, perché ci confortasse nell'epoca del timore, ricomponendo 'tutte le cose che contano agli occhi Tuoi': la fede nell'incredulità, la speranza nella disperazione, l'amore nell'odio invocando come Mosè la Misericordia tra Giustizia infinita di Dio e la cattiveria degli uomini?"

Era proprio necessario tornare a San Giovanni Rotondo per capire se il bandolo di questa matassa celeste scoperto un anno fa era quello giusto. Ma, a voler essere onesti, sul blocco degli appunti bisognerebbe scrivere un'altra data: "Domenica 22 settembre 1968, festa di San Maurizio". Il nostro viaggio riparte da qui, il giorno dell'ultima Messa di padre Pio.