venerdì 13 dicembre 2013

L'Imputato - L'aiuto reciproco

Questo articolo di Marco Sermarini è uscito su un numero dell'anno 2012 di Vivere!... e non vivacchiare, mensile della Compagnia dei Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati.

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Negli ultimi anni stiamo sperimentando, qui tra noi tipi loschi* ma anche più in generale nella trama di rapporti che lega molti di noi ad altre realtà, che nella vita concreta il cristianesimo ha molto, molto da dire e che esso è decisamente più conveniente e costruttivo di qualunque altra filosofia o idea sulle cose ultime che si possa trovare al mondo.
Mi riferisco a qualcosa di preciso e non in generale (che il cattolicesimo sia La Verità mi è già chiaro, e lo dico con gratitudine ed umiltà). Mi riferisco al fatto che Gesù Cristo nella vita concreta è efficace.
Mi guardo intorno e ho davanti agli occhi dei fatti: i fatti di per sé possono non dire nulla. Ne abbiamo tanti che ci scorrono e che a volte ci dicono tutto il contrario di quello che vorrebbero dire, dunque di per sé possono non essere nulla. Però mi torna alla mente una frase del mio caro amico Chesterton che diceva: 

"Ogni particolare indica qualche cosa, certo, ma in genere indica la cosa sbagliata. A me sembra che i fatti indichino in tutte le direzioni, come i mille rami di un albero. È solo la vita dell'albero che ha unità e si innalza, solo la linfa verde che sgorga, come una fontana, verso le stelle" (Gilbert Keith Chesterton, Il Club dei Mestieri Stravaganti). 

Allora proviamo a metterne insieme alcuni, di fatti, e vediamo se le fronde di questo grande albero ci fanno scorgere la Vita del grande Albero.
Il mese scorso un gruppetto dei nostri sono stati a Norcia ad aiutare i monaci benedettini a fare un lavoro di ristrutturazione interna del monastero (dovreste trovarne traccia in questo numero). Di per sé la cosa può essere archiviata come una bella cosa, segno di gentile cordialità, di buona volontà. Può suggerire il senso della solidarietà. Può dare spazio a mille riflessioni diverse. Io ci vedo questo: i monaci, come ho detto nello scorso numero e come ho detto anche di altre pattuglie di persone molto simili a noi (gli amici di Roma, gli americani che hanno fondato la Chesterton Academy...), lavorano per costruire un mondo buono fondato su Gesù Cristo. Noi pure facciamo questo. Noi e loro, assieme ed aiutandoci, non solo creiamo una cosa buona (sei nuove celle, una giornata di ritiro o di inizio dell’anno scolastico particolarmente densa e bella, o chissà che altro) o un gesto bello e gentile (come insegnava la suora all’asilo ai miei figli: bravissima!) ma viviamo secondo una regola che, estesa a tutta la nostra vita (dal lavoro alla scuola, dai figli ai vicini, dal negretto che incontriamo fuori del supermercato e ci vuole vendere calzetti o tovagliette, dai figli degli amici a quelli degli sconosciuti), cambia. Cambia cosa? Cambia tutto.
Ricordo che quando ero ragazzo e brancolavo nel buio dei dubbi, una cosa che ebbi inossidabilmente certa fu questa: avrei voluto vivere così come vivevano Gesù e i suoi amici nel Vangelo, anche se Gesù non fosse stato Dio, anche se Dio non fosse esistito. Questa possibilità o meglio speranza mi tenne desto e reattivo, pronto a dire sì e no a ciò che assomigliasse o meno a questa speranza. A distanza di tanti anni, oramai certo del mio cammino, ascolto Papa Benedetto XVI che, in memorabile discorso, consigliava ad atei ed agnostici di vivere “come se Dio esistesse”.
La forza di questa posizione non fu per me tanto il fatto che mi condusse verso un porto sicuro e poi a navigare avventurosamente in mare aperto sulla Barca di Pietro, a far parte della Sua Flotta con un piccolo barchino agile e allegro. Fu quella di fidarmi di ciò che intuivo vero e buono nella sua interezza. Non so come ma avevo intravisto, in alcuni rami del grande albero, l’esistenza dell’albero stesso tutto intero, la sua vita, la linfa vitale inesauribile ed eterna che vi scorreva e portava allegra verso le stelle come una fontana guizzante.
Il mio amico Giustozzi, al termine di una vacanza, chiuse le porte della casa che ci aveva ospitati dicendo: “articolo quarto, le famiglie si aiutino”. Sembrava una delle frasi giustozziane buttate lì con arguzia e simpatia, per fare una sintesi scherzosa ma vera di quello che ci eravamo detti. Eppure, passati mesi ed anni da quella frase, essa si dimostra sempre più vera. Il guaio di oggi è che le famiglie sono sole e implodono, scoppiano, vanno in pezzi e con esse i loro componenti, in una frammentazione che ci rende non liberi ma totalmente in balia del potere di turno, in ultima analisi del mentitore e della sua menzogna. Allora abbiamo imparato ad aiutarci tutti i giorni: bambini che vanno su e giù tra scuola, asilo, palestra, danze e sport vari, pomeriggi passati con amichetti che diventano quasi fratellini e sorelline ma ognuno disciplinatamente figlio di mamma e babbo suoi, compiti insieme da buoni amici a casa di zia Tizia o zia Caia, scambi di vestiti, mangiare due volte a settimana insieme per guardarci in faccia, condividere la vita non a parole ed aiutarci, sostenerci anche nelle vicende dolorose o difficili (quanto aiuto gratuito, di buon cuore e determinante abbiamo avuto dagli amici nella malattia di mia mamma e di mia suocera, tanto per fare due esempi semplicissimi? quanto ancora ne ricevo quando dico di essere in difficoltà qui o là, in questo o in quello? Grazie, cari amici).
Ricorderò sempre un mio amico che abitava in Friuli nel 1976, quando ci fu il famoso terremoto. Mi diceva che nel disastro in cui si trovò con la sua famiglia trovò tanto aiuto gratuito e caloroso e che questo senso di unità gli mancava molto.
Ricordo don Antonio Villa, fondatore di una bella scuola libera a Tarcento, che intervistammo per la festa** del 2010. Lui prete milanese rimase in Friuli ed è lì dal 1976 per amore di quelli che soccorse così, in un gesto gratuito ma che poteva finire passata la buriana.
Non fermiamoci al ramo, andiamo all’albero, alla linfa guizzante, alla vita. Non fermiamoci ai particolari, andiamo oltre. Che cosa ci dice, tutto questo? Che Gesù Cristo ci ha trattato e ci tratta da amici, ci ha liberato dall’estraneità reciproca, ci ha dato il compito di tessere di trame simili tutto il mondo.

Una volta si viveva così in automatico. Oggi dobbiamo tornare a lavorarci e non ci sarà governo tecnico che lo imporrà per legge (anzi...). Forse oggi si punta a dividerci e ad essere estranei. Noi abbiamo capito che il mondo è diverso quando funziona così come ho descritto sopra ed allora diamoci da fare.


* Si fa riferimento alla Compagnia dei Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati http://piergiorgiofrassati.blogspot.com e www.tipiloschi.com

** Si fa riferimento alla festa annuale che la Compagnia dedica al beato Pier Giorgio Frassati ininterrottamente dall'anno 1994.

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