domenica 9 gennaio 2011

Ecco Chestertoniana n. 8! Bravissimo colui che ce lo ha procurato...

LA PINTA E LA CROCE

Leggere Chesterton e scoprire che una bevuta in compagnia è la vera ascesi verso il "Dio di tutte le cose buone sulla terra"

 

di Edoardo Rialti

 

Invitato a una cena di gala, Chesterton si trovò accanto a una nobildonna, e lamalcapitata gli confidò orgogliosa di essere vegetariana. Chesterton annuì compitoe le propose cortesemente di accompagnarlo a vedere una certa cosa. Si alzarono e il corpulento giornalista e scrittore inglese aprì la porta della serra dei suoi ospiti e le mostrò sorridendo una gigantesca pianta carnivora, così che la signora potesserammentarsi che neppure le piante sono vegetariane. Questo genere di personedivertivano Chesterton, e al contempo lo preoccupavano. Egli era fermamente convinto che "gli uomini oggigiorno abbiano tutti quanti delle idee sbagliate su ciò che riguarda la vita umana. Pare che si aspettino ciò che la Natura non ha mai promesso, e viceversa, fanno di tutto per rovinare ciò che la Natura ha dato loro realmente". Farà pronunciare questa frase a uno dei protagonisti del suo romanzo "L'osteria volante", dedicato a quelli che riteneva essere – e siamo nel 1914 – due tra le massime minacce alla civiltà occidentale: l'islamizzazione e il salutismo.

Riguardo allo scontro tra la civiltà cristiana e musulmana durante il medioevo,Chesterton avrebbe scritto in "The new Jerusalem" (siamo negli anni Venti) un intero

capitolo dedicato a fornire un'apologia delle crociate. Anzitutto, a chi oggi rabbrividisce al solo termine "crociata" e ne parla come l'ennesima vergognosa dimostrazione dell'aggressività occidentale contro i musulmani tutti raffinatezza e tolleranza, Chesterton faceva notare che dell'islam invasore della Terrasanta costoro "parlano come se fosse venuta fuori una qualche tribù inoffensiva o un tempietto nel Tibet, mai scoperto prima che fosse invaso. Sembrano totalmente dimentichi che assai prima che i crociati avessero sognato di cavalcare alla volta di Gerusalemme, i musulmani avevano cavalcato quasi fino a Parigi". E alle scuole storiche che riducevano i viaggi e le guerre intraprese per la presa di Gerusalemme a un mero pretesto per appagare brame di potere e ricchezza materiale, Chesterton si limitava a ribattere che "questo tipo di teoria è una blasfemia contro la dignità intellettuale dell'uomo. Ed è tanto una blasfemia quanto uno stupido abbaglio, perché esce di pista per miglia e miglia in cerca d'una spiegazione bestiale laddove si trova un'ovvia spiegazione umana". Che i contemporanei non riescano più neppure a concepire che i loro antenati potessero davvero lasciare tutto e partire per liberare il sepolcro di Cristo, dimostrava soltanto lo spostamento e la riduzionedei loro orizzonti ideali. Oscar Wilde diceva che ogni giudizio critico è in realtà sempre un'autobiografia, e Chesterton si sarebbe detto d'accordo. Si era appenausciti dalla Prima guerra mondiale, con le bandiere nazionali l'una puntata contro le altre, e Chesterton osservava come fosse "assurdo che disprezziamo coloro che versarono sangue per una reliquia quando noi abbiamo versato fiumi di sangue per uno straccio". Ma la dignità della tensione crociata egli la estendeva senza remore anche ai guerrieri dell'altro schieramento: "La crociata o, per quel che conta, il jihad, è di gran lunga il genere di scontro più filosofico, non solo nella suaconcezione di porre un termine alla differenza [religiosa tra i contendenti], ma nelsuo mero atto di riconoscere tale differenza quale la più profonda che ci sia. E' ribaltare del tutto la ragione suggerire che la politica d'un uomo conti mentre la suareligione no. E' dire che egli è condizionato dalla città in cui vive, ma non dal mondo in cui vive".

Sull'"ultima crociata", la grande battaglia navale di Lepanto, egli scrisse unaballata che molti considerano tra le sue opere più belle. Hilaire Belloc non avevadubbi nel recensirla: "Le persone incapaci di notare il valore di 'Lepanto' sono mezze sorde. Lasciate pure che lo restino". E, come "La ballata del cavallo bianco", anche questa lunga poesia accompagnò e sostenne molti soldati della Prima guerra mondiale. Uno di loro, che era John Buchan, lo scrisse a Chesterton stesso, nel 1915: "L'altro giorno nelle trincee stavamo gridando a gran voce la vostra 'Lepanto'". Ma se sulle mura di Gerusalemme o nelle acque di Lepanto lo scontro era stato per la difesa della propria fede, la nuova battaglia in corso nel mondo contemporaneo avrebbe conosciuto un fronte sconosciuto ai secoli passati, il tradimento e il disprezzo dell'Europa stessa alla percezione della vita propria della cultura occidentale. Di questa nuova guerra, e della resistenza organizzata alla nuova invasione, narra appunto "L'osteria volante", nella quale secondo C. S. Lewis è possibile incontrare alcune delle creazioni artistiche di Chesterton che sono maggiormente "permanenti e senza età", soprattutto per quello che rimane forse il cattivo più memorabile di tutta la sua narrativa. Come nel "Napoleone di Notting Hill" o "La sfera e la croce", anche in questo romanzo si trova

una coppia di eroi, l'uno molto diverso dall'altro: Dalroy, un capitano irlandese dalla

forza erculea, capace di sradicare un ulivo e di comporre una canzone dopo l'altra,magari anche una canzone contro le canzoni, e Pump, un oste inglese dal voltoimpassibile, sotto cui però arde un millenario buon senso popolare, uno che le cosele ha imparate "non accademicamente, come un professore americano, ma praticamente,

come un indiano americano". Chesterton amava il detto di Stevenson per cui l'uomo irragionevole non è chi non abbia un pensiero, ma chi non abbia un pensiero da contrapporre all'altro mentre aspetta il treno alla stazione; come scrissela sua amica e biografa Maisie Ward, le coppie di protagonisti di tante sue storieincarnano questa feconda tensione polare, e la coppia Dalroy-Pump deve fronteggiare la più infeconda delle minacce: il bando di tutte le osterie in Inghilterra, per confarsi al superiore ascetismo islamico, e suggellare così la pace con la Turchia, una pace per la quale i torti irrisolti della parte avversa, come il rapimento di tante donne forzate alla poligamia, debbono essere giustificati e dimenticati in nome della tolleranza per gli altrui costumi. Dalroy è l'unico a non accettare che la battaglia sia finita e ribatte disgustato: "Oggi ho visto qualcosa che è peggiore della guerra: il suo nome è pace". Assieme a Pump, e a un cane di nome Quoddle – come il cane di Chesterton stesso – girerà l'Inghilterra conun'insegna d'osteria sulle spalle, un'enorme forma di cacio e un barilotto di rum, attorno ai quali organizza la resistenza, ridestando in chi gli si accosta, eludendo le feroci proibizioni, "quelle risate che dormono dal medioevo in qua" nell'Europa moderna. Il suo è un pellegrinaggio al contrario, in cui è la meta a visitare i pellegrini, perché, se non a Roma, almeno "tutte le strade portano a Rum". Lo studioso Joseph Pearce ha annotato come "sebbene il bando totale dell'alcol possa al giorno d'oggi sembrare un po' tirato per i capelli, bisogna ricordare che al tempo della pubblicazione del romanzo gli Stati Uniti non avevano ancora intrapreso la politica del proibizionismo. Conseguentemente 'L'osteria volante' contiene un elemento di profezia". I nemici dell'osteria sono molti, e ben organizzati: la nuova cultura islamizzante si diffonde con le prediche di Mysra Ammon, un intellettuale musulmano divorato dallo zelo di dimostrare che "la civiltà inglese era stata fondata dai turchi". Il prefisso "al" è tipicamente musulmano in parole come alAlhambra e Algeria? Ammon lo ravvisa anche nell'Albert Memorial. E persino gliodiati pub nascondono nei loro nomi un messaggio criptico: "La testa del saracenoè una corruzione della storica verità: il saraceno è in testa!", esclama trionfantenelle sue conferenze nei salotti della buona società inglese, circondato dal "freddofanatismo che si nota negli occhi delle signore le quali sono solite chiedere la parola negli incontri pubblici". Tuttavia chi lo ascolta bene non può fare a meno di notare che "ciò che egli conosceva era sempre appena il frammento di un fatto. Ciò che costantemente egli mostrava di non conoscere era la verità che si nascondeva dietro il fatto stesso". Ben diverso per statura umana è l'avversario militare di Dalroy, Oman Pascià, "il più grande dei guerrieri turchi, egualmente famoso per il suo coraggio in guerra come per la sua crudeltà in pace". Questi porta sul volto il segno della spada dell'irlandese, "ricevuto, sia detto per la verità, senza ira o vergogna, perché il Turco è sempre grande in queste cose". Altra minaccia ancora è il più celebre editorialista d'Inghilterra, Hibbs "Comunque", chiamato così per "la grande cautela che caratterizzava i suoi giudizi critici, talché tutto quello che scriveva dipendeva sempre da congiunzioni come ma, tuttavia, sebbene e simili". Egli è "l'uomo che sapeva dire sempre la parola che ci voleva in tutte lecircostanze", capace di uno "speciale talento per uno dei peggiori trucchi del giornalismo moderno: il trucco di trascurare il punto più importante di una questione e di appigliarsi a quello meno importante". Qualsivoglia posizione forte e decisa viene affogata dal suo relativismo a buon mercato. Tuttavia "divenne così diplomatico da diventare incomprensibile", e Chesterton, che è stato un giornalista per tutta la vita, offre numerosi esempi dell'evoluzione dell'Hibbs- pensiero: questi passa dal "Checché noi possiamo pensare pro o contro la vivisezione dei fanciulli poveri, il punto su cui siamo tutti d'accordo è che, a ogni modo, deve essere fatta da chirurghi esperti", al "Checché noi possiamo pensare pro o contro la vivisezione dei fanciulli poveri, nessun intelletto moderno può mettere in dubbio la decadenza del Vaticano".

Ma il vertice della piramide, verso cui convergono le conferenze di Ammon, lasciabola di Pascià, le nebbie verbali di Hibbs è Lord Ivywood, il ministro inglese, e "il più bell'uomo d'Inghilterra", dal volto pallido e perfetto e dai capelli prematuramente bianchi, del tutto indistinguibile da un monumento greco-romano, "una di quelle vecchie statue marmoree che sono  impeccabili nelle linee, ma mostrano solo ombre di grigio e bianco". Egli è il principale sostenitore dell'islamizzazione d'Europa, perché ha scovato nell'islam un credo limpidamente disincarnato e anti sacramentale, l'unico in grado di far riposare il suo disprezzo per la corporeità. E pur di portare avanti la sua guerra personale, egli non si farà scrupolo di indorare con la propria travolgente eloquenza il progressivo ridursi delle libertà personali per i cittadini comuni. Per Lewis questo ritratto era una delle conquiste più alte dell'arte di Chesterton, e chiedeva ai suoi lettori in un articolo del 1946: "Il politico dottrinario, aristocratico eppure rivoluzionario, inumano, coraggioso, eloquente, capace di volgere i peggiori tradimenti e le espressioni più abominevoli in un fraseggiare che riecheggia di dolce magnanimità – tutto questo sarebbe superato?". "La sua splendida maschera" che, come viene raccontato nel romanzo, "non mutava mai di colore o di espressione", esprime visivamente "quel suo fanatico piacere, piacere che la sua natura strana, fredda, coraggiosa, non poteva attingere né dal mangiare, né dal bere, né dalla donna". Ed ecco emergere il cuore segreto della contrapposizione. Ivywood infiamma qualunque platea lo ascolti, ma egli non è un poeta, "bensì il suo contrario, cioè un esteta", e unideologo della peggior specie per Chesterton: "Il teorico che parta da una teoria falsa e, quindi, in tutto quel che vede pretende di vederne la conferma, è il nemico più pericoloso della ragione umana". Ivywood vuole migliorare, spiritualizzare l'umanità, proprio perché non la ama, così come non ama se stesso. Mentre Chesterton già nel 1908 aveva scritto che "ciò che è prezioso e degno d'amore ai nostri occhi è l'uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo". E i risultati si vedono, dall'una e dall'altra parte.

Come nota Dalroy, i sostenitori dell'abolizione dei vecchi piaceri umani nelle loro"cappelle atee non fanno che parlare di Pace, Perfetta Pace, Fiducia in Dio, GioiaUniversale, e anime sorelle. Ma non sono per questo molto più allegri degli altri, etutto quello che fanno, è distruggere tanti buoni scherzi, tante buone storie, tantebuone canzoni e tante buone amicizie". Costoro "rinunciano solo a quelle cose che li legano agli altri uomini. Se andate a pranzo con un milionario astemio e sobrio, vedrete che non rinuncerà né agli antipasti, né alle cinque o sei portate, né al caffè, ma bensì abolirà i vini e i liquori perché anche i poveri sono ghiotti di vini e liquori".

Il segreto è che "egli non rinuncia che alle cose più semplici e più comuni: al manzo, alla birra, al sonno, perché questi piaceri gli ricordano che egli è solo un uomo".

Alla gelida "solitudine di Dio" proclamata da Ammon e Ivywood, accolta con frigido

entusiasmo da miliardari satolli di una vita di vizi, Chesterton con Dalroy e Pumpcontrappone il Dio della tradizione cristiana, "il Dio che ha inventato il buon riso",che non ha voluto restare in una distanza inaccessibile ma ha abbracciato e valorizzato persino i piccoli piaceri di ogni giorno, tanto più cari proprio perché appunto, ci ricordano che siamo solo uomini. "Ci sono poche consolazioni per noi in questo mondo, ma qualcuna c'è", e per Chesterton rinnegarle voleva dire assumersi l'empietà di rinnegare il "divino materialismo" della creazione e il suo creatore, il "Dio di tutte le cose buone che sono sulla terra", che a Cana avrebbe mutato l'acqua in vino, e non il vino in acqua. Per questo, quando gli si chiedeva perché si fosse convertito alla chiesa cattolica, Chesterton ribatteva "per amore dell'allegria, della salute e della fantasia" e che il cristiano è l'unico in grado di guardare al mistero dell'esistenza, con le sue ferite e le sue bellezze, senza scorgere alcuna contraddizione tra una pinta, una pipa e una croce. Quando morì, Giovanni Papini gli tributò l'onore di essere stato uno di coloro che avevano riportato la gioia in un cristianesimo trincerato nel moralismo. E' anche per questo che "L'osteria volante" è colmo di poesie sul piacere del bere, e del bere in compagnia, poesie che furono raccolte in un volume, dal titolo "Wine, water and songs", di enorme successo popolare, tanto da conoscere oltre quindici edizioniprima della morte di Chesterton. In una di esse il patriarca Noè, sotto il Diluvio,esprime quello che per Chesterton era una preoccupazione fondamentale: "Poco miimporta dove vada l'acqua, purché non se ne vada nel vino!". (8. continua)

 

ANNO XV NUMERO 307 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 29 DICEMBRE 2010

1 commento:

Serena ha detto...

Sono articoli bellissimi! (scusate la banalità del commento, ma non ce la faccio proprio a scrivere cose migliori dopo queste letture :-) )