lunedì 15 novembre 2010

Dal nostro amico Alessandro Canelli, tratto dal sito www.landino.it




Recentemente ha fatto scalpore la frase del professore che voleva il ritorno alla rupe tarpea per eliminare i disabili.
Ma mentre imperversava il tormentone mediatico ho vissuto una somma di piccole vicende che mi hanno toccato un po’ più da vicino.
Alla mattina per radio ascoltavo una intervista sulle cardiopatie congenite e l’intervistatore ad un certo punto chiedeva al luminare se era vero che i casi erano recentemente calati. Al che il luminare rispondeva che effettivamente erano calati per via della diagnosi prenatale e conseguente interruzione di gravidanza.
Ora, nella mia attività lavorativa, io ho avuto alle dipendenze una persona che, nata con questo tipo di patologia, era stata curata, era cresciuta e lavorava, si era sposato, fatta una famiglia, amici, relazioni a cui un incidente stradale lo aveva strappato di recente. Possibile che quella fosse una vita da gettare nella spazzatura?
Infine ad una riunione di “nostalgici” cattolico-democratici, un convenuto, non vedente e professore a sua volta, dopo avere fatto le pulci storiche alla dichiarazione del collega tifoso della rupe tarpea, confessava che sentiva crescere l’ostilità sociale e l’insofferenza nei confronti dei disabili.
Corretta o meno la collocazione storica, non possiamo nasconderci che la rupe tarpea è tra noi e ci si trova benissimo.
Vi segnalo un vecchio articolo del New York Times che affronta asetticamente il problema seguendo la vita delle famiglie con figli down a New York e come queste lottino per affermare la dignità dei propri figli in un contesto oggettivamente ostile.
http://channelman.wordpress.com/2009/03/30/nyt-genetic-testing-abortion/
PS: il titolo ovviamente si ispira a un opera di GK Chesterton di circa un secolo fa.

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