venerdì 30 gennaio 2009

Rassegna stampa del 30 Gennaio 2009

30 Gennaio 2009 - Avvenire
Matrimonio
Benedetto XVI: il matrimonio nella natura umana 83 KB

30 Gennaio 2009 - Messaggero
La solitudine di chi vive in coppia 88 KB

30 Gennaio 2009 - Sole24ore
Politiche Familiari
BONUS FAMIGLIE. I documenti richiesti 70 KB

30 Gennaio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. Il rifiuto degli infermieri 131 KB

05 Febbraio 2009 - Panorama
Eutanasia
ELUANA. 12 domande e 12 risposte 970 KB

05 Febbraio 2009 - Panorama
Eutanasia
Belpietro: se la morte ce la passa lo Stato 123 KB

30 Gennaio 2009 - Riformista
Fine Vita
Binetti all'attacco 102 KB

30 Gennaio 2009 - OsservatoreRomano
Fine Vita
Una risposta di vita contro il dolore 160 KB

30 Gennaio 2009 - Stampa
Scuola
Gelmini: basta con le gite all'estero 135 KB

30 Gennaio 2009 - Giornale
Il Corpus Domini sfratta il Gay pride 30 KB

30 Gennaio 2009 - Giornale
Messori, cattolico edonista 103 KB

giovedì 29 gennaio 2009

Dice giustamente l'amico Tex Willer: lobby scozzesi.

L'amico Tex Willer, socio della SCI, ci suggerisce questa lettura, che francamente è veramente uno degli incubi delle notti dell'Uomo Vivo.
Ci sarebbe da scrivere un bel romanzo che veda questi due bambini rendersi protagonisti di una fantastica fuga a lieto fine, lontani da certe grinfie, non senza avventure e pericoli. Potrebbe essere una buona idea per quelli che si dovessero trovare nelle stesse condizioni, potrebbe servire come manuale. L'Uomo Vivo li aiuterebbe di sicuro.

Tolgono i bimbi ai nonni per darli a una coppia gay
da ilgiornale.it

Londra - Meglio adottati da una coppia gay che dai loro nonni. Due bimbi scozzesi, fratello e sorella di cinque e quattro anni, sono stati tolti dai servizi sociali di Edimburgo ai loro nonni naturali e stanno per venir adottati definitivamente da una coppia omosessuale ritenuta più adatta agli interessi dei bimbi.

Per la legge infatti i genitori della madre dei piccoli, che da tempo non è in grado di occuparsene perché eroinomane, sono troppo vecchi per crescere i nipoti. Cinquantanove anni lui, quarantasei lei, i signori, la cui identità non è stata rivelata ai giornali, hanno lottato per due anni per riottenere la custodia dei bimbi fino all’esaurimento di tutte le loro risorse finanziarie. Quando non sono più stati in grado di pagare le spese legali hanno dovuto desistere rassegnandosi all’ipotesi di un’adozione.

Di certo però, non si aspettavano che ad adottare i nipoti sarebbero stati due uomini. Come hanno raccontato ieri al tabloid inglese Daily Mail, sapevano che in lista d’attesa per l’adozione c’erano anche molte coppie eterosessuali e la decisione di dare la priorità ad una coppia gay è parsa loro profondamente squilibrata.

Eppure, quando il nonno ha osato protestare, sembra gli sia stato detto che nel caso si fossero rivelati ostili a questa decisione non avrebbero più rivisto i bambini. «Mi si spezza il cuore a pensare che i nostri nipoti siano costretti a crescere in un ambiente familiare privo di una figura materna - ha spiegato il nonno affranto - noi non abbiamo pregiudizi nei confronti dei gay, ma sfido chiunque a spiegarmi come una simile scelta possa rivelarsi la migliore nei confronti dei piccoli».

Gli stessi operatori dei servizi sociali hanno dovuto ammettere che, soprattutto la bambina, non si trova particolarmente a proprio agio con gli uomini e quindi l’inserimento in una famiglia tutta maschile potrebbe essere più problematica per lei.

Il caso ha già sollevato feroci polemiche in Scozia, un Paese dove alle coppie omosessuali è stato consentito di adottare nel 2006, nonostante una consultazione pubblica avesse chiaramente rivelato che il 90 per cento della popolazione era contro un simile provvedimento. Ora, l’opinione pubblica inizia ad interrogarsi su quale livello di interferenza nella vita privata e familiare sia accettabile da parte delle autorità locali. Soprattutto quando i protagonisti sono dei minori.

I più critici hanno sottolineato che di questi tempi, alcune autorità locali hanno negato il diritto all’adozione a coppie di fumatori o di obesi, ma hanno sostenuto fortemente l’affido e l’adozione per le coppie gay sebbene gli studi scientifici abbiano dimostrato che un bambino cresce meglio in una famiglia tradizionale composta da un padre e da una madre. Ieri anche un portavoce della chiesa cattolica ha condannato la decisione delle autorità di Edimburgo. «Si tratta di una scelta devastante - ha dichiarato - che avrà un grave impatto sul benessere dei bambini coinvolti».

mercoledì 28 gennaio 2009

Lettori attentissimi, grazie!

Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo (è il segno che i nostri lettori ci seguono con attenzione):

Ciao a tutti i redattori!

Magari vi può interessare: ho scoperto una citazione di Chesterton nel film "La Musica nel Cuore" (per lo meno nel doppiaggio italiano): una catena è forte quanto il suo anello più debole.


La citazione intera è qui (dal blog chestertonroad): "Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole”. G. K. CHESTERTON.

Grazie per il vostro blog!
Marianna Musi

Rassegna stampa del 28 Gennaio 2009

28 Gennaio 2009 - Mesaggero
Fine Vita
E' già scontro tra laici e cattolici 193 KB

28 Gennaio 2009 - Libero
Fine Vita
I senatori Pd col governo 111 KB

28 Gennaio 2009 - CorrieredellaSera
Eutanasia
ELUANA. La sfida di Formigoni 171 KB

28 Gennaio 2009 - Libero
Eutanasia
ELUANA. Ecco i testimoni mai ascoltati 141 KB

28 Gennaio 2009 - Stampa
Eutanasia
ELUANA. Poletto, falco della Cei 173 KB

28 Gennaio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. D'Agostino: la sentenza forza i termini 111 KB

Un bell'incontro a Roma, siamo tutti invitati!

Iraq - Il vescovo di Bagdad: aiutateci a fermare l’esodo dei cristiani dall’Iraq

Da IlSussidiario.net del 26 Gennaio 2009


Intervista a mons. Shlemon Warduni


L’accorato appello dei vescovi iracheni sul «futuro molto oscuro» dei cristiani nella loro terra non è rimasto senza esito: il Papa ha accolto la proposta, avanzata dal vescovo di Kirkuk, di un sinodo speciale sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente. E parlando poi in occasione dell’udienza concessa al nuovo Patriarca della Chiesa d’Antiochia dei siriani, Ignace Youssif Younan, Benedetto XVI è tornato ancora sul tema, esprimendo il «desiderio» che «in Oriente, da dove è venuto l’annuncio del Vangelo, le comunità cristiane continuino a vivere e testimoniare la loro fede, come hanno fatto nel corso dei secoli».
In Iraq in particolare la situazione è veramente critica: come spiega monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliario caldeo di Baghdad, in questi giorni a Roma per la visita “ad limina Apostolorum”, i cristiani iracheni sono totalmente isolati, e spesso sono costretti con la violenza ad abbandonare le proprie case; molti di loro fuggono in Siria o Giordania, dove però vivono comunque in pessime condizioni.

Monsignor Warduni, il vostro appello toglie il velo su una situazione di cui noi, in Occidente, non ci rendiamo conto: ci aiuti a capire qual è la condizione in cui vivono i cristiani nelle vostre terre.

La parola “esodo” è quella che meglio di tutte le altre può far capire ciò che sta accadendo ai cristiani in Medio Oriente, ed è il motivo per cui abbiamo deciso di chiedere aiuto in maniera forte. Quando alcuni cristiani, in qualche parte del mondo, vivono una situazione così difficile, deve levarsi la voce di tutti gli altri cristiani in loro difesa. Questo è il primo aiuto che vogliamo: che si dica una parola in difesa dei fratelli cristiani. A Mosul, pochi mesi fa, più di 2.500 famiglie sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni, cacciate con violenza da folle che urlavano e attaccavano manifesti contro di loro: noi chiediamo che la Chiesa, che le Conferenze episcopali di tutte le nazioni facciano sentire la loro voce contro episodi così gravi. Questo vale anche per la situazione a Gaza: chi ha parlato della situazioni in cui sono i cristiani, i sacerdoti, le suore in quella terra? Non ne ha parlato nessuno, come se i cristiani non fossero uomini.

Com’è la situazione in Iraq dal punto di vista del rispetto dei diritti? C’è una vera libertà di culto?

La libertà di culto c’è, e c’era anche prima: quello che invece noi vorremmo, e che manca, è una vera e propria libertà religiosa, per tutti. Un cristiano può diventare musulmano; un musulmano non può diventare cristiano, se non a rischio della propria vita. Allo stesso modo, un ragazzo minorenne, i cui genitori diventano musulmani, deve diventare anch’egli automaticamente musulmano. E tutto questo accade perché la fede musulmana è ritenuta la migliore, e l’unica a poter godere di certi diritti. Mentre noi chiediamo che vengano rispettati i diritti naturali, i diritti di ogni uomo, di cui noi non godiamo. Questo è il nostro problema.

Quali sono, secondo lei, le principali cause che hanno portato, nell’ultimo periodo, ad un aggravarsi della situazione dei cristiani?

Le cause sono tante, tutte note, e non è mio compito entrare nel dettaglio delle analisi politiche: ci sono difficili situazioni legate ai tragici fatti internazionali; c’è il gravissimo problema del fanatismo che dilaga; c’è l’azione terroristica di Al Qaeda; ci sono le guerre in Afghanistan e in Iraq; c’è la tensione fra Iran e America; c’è infine il conflitto israelo-palestinese. Sono tante cause diverse; quel che accomuna tutte queste situazioni è il fatto che i cristiani si trovino sempre nell’occhio del ciclone.

È giusto parlare di vera e propria persecuzione verso i cristiani?

Noi non vogliamo usare questa parola: anche se ci sono cristiani uccisi, anche se ci sono le tante famiglie cacciate di casa di cui ho parlato prima, comunque noi preferiamo non parlare di persecuzione. Il punto è che la causa dei cristiani iracheni è stata purtroppo molto politicizzata, perché sia arabi che curdi vogliono portare i cristiani dalla loro parte. Invece bisogna lasciare loro libertà di scelta, nonché la libertà di avere una propria rappresentanza politica autonoma, che però viene negata o ridotta al lumicino. C’era una legge che garantiva ai cristiani, nelle elezioni provinciali, tre seggi a Baghdad, tre a Mosul e tre a Bassora; ebbene, questa legge è stata demolita, e ai cristiani è stato lasciato un solo seggio in ciascuno dei tre territori. Noi abbiamo protestato, dicendo che era contro i nostri diritti; ci hanno risposto: “se a Mosul avete tre seggi, vi alleate con i curdi”. Quindi già siamo minoranza, e per di più la nostra causa viene politicizzata. Ci troviamo fra l’incudine e il martello.

Che cosa chiedete al nuovo presidente americano Barack Obama?

Quello che noi chiediamo è una cosa sola: la pace. Penso, e spero, che questo sia anche il suo auspicio. Così almeno ha detto, e noi benediciamo le sue parole. Noi vogliamo la pace, cioè il vivere con sicurezza, con tranquillità. Nient’altro.

Che cosa dite ai cristiani che abbandonano le vostre terre?

Noi abbiamo sempre detto con forza: non andate via, non emigrate. Ora non possiamo più dirlo con la stessa forza. Se diciamo a qualcuno di non andarsene, lui ci risponde: “lo faccio, se garantisci la mia vita, la mia famiglia e il mio lavoro”. E io cosa posso dire? Ecco perché chiediamo la pace e la sicurezza: se c’è questo, gli iracheni restano nelle loro case. Non dimentichiamo che l’Iraq è un Paese ricco, che in condizioni normali può benissimo dare sostentamento a tutti i suoi cittadini. Quelli che se ne vanno, poi, non vivono bene, ma in estreme difficoltà, anche per la grave situazione economica che sta investendo il mondo intero. Allora, ritornando ancora a Obama, quello che chiediamo è appunto pace e sicurezza. Ci va bene che le truppe che ora si trovano qui se ne vadano al più presto; ma se prima non ci aiutano ad avere pace e sicurezza sarebbe una cosa molto grave.

Cosa chiedete invece ai cristiani d’Occidente?

Chiediamo innanzitutto la preghiera. E poi di far conoscere al mondo che qui ci sono i loro fratelli che vengono maltrattati. Bisogna far sapere a tutti che qui ci vuole pace, diritti, equità; e far sapere che i cristiani sono pacifici, non vogliono far male a nessuno, e vogliono contribuire a costruire la nazione.

Un’ultima domanda sulla situazione in Terra Santa: è possibile che le parti trovino una soluzione duratura?

Se tutte e due le parti prendono veramente a cuore il loro popolo potranno arrivare alla concordia. E nessuno di loro deve nuocere all’altra parte: né lanciare missili contro Israele, né fare gli attacchi devastanti che abbiamo visto. Tutti e due sono parti in causa di questo conflitto: quindi tutti e due devono fare un passo l’uno verso l’altro. La guerra non risolve nulla, distrugge tutti, complica le difficoltà. E soprattutto la guerra è contro Dio, perché Dio è amore.

I DANNI DELLA PILLOLA CONTRACCETTIVA NON SONO "FANTASCIENZA" CATTOLICA

Rinfocoliamo qualche sanissima polemica!
Questa faccenda è passata forse inosservata, ma è bene parlarne.
Uno degli obiettivi della Società Chestertoniana è quello di dare modo a chi legge questo blog di dire a ragion veduta che il re è nudo e che in giro si trovano delle teorie fantastiche sulle quali pochi purtroppo perdono tempo per dire che sono false, assurde, infondate o quanto meno dubbie. Allora nei limiti del possibile lo facciamo noi.

L'articolo è tratto dalla lodevole Agenzia Zenit, che ringraziamo, ed è del dottor Renzo Puccetti*

ROMA, domenica, 25 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Nelle scorse settimane la Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici (FIAMC) ha reso noto un documento contenente una disamina di alcuni aspetti medico-scientifici connessi con l'enciclica "Humanae Vitae" di Papa Paolo VI, il documento magisteriale del 1968 in cui il Santo Padre ribadiva l'illiceità morale della contraccezione (1). Il testo dei medici cattolici, dal titolo "40 anni dell'Enciclica HUMANAE VITAE dal punto di vista medico" (2), è stato aspramente criticato soprattutto per quanto riguarda la possibilità che la pillola contraccettiva esplichi un'azione anti-nidatoria, che cioè ostacoli l'annidamento dell'embrione nell'utero, e per l'asserito impatto ambientale derivante dalla dismissione nell'ambiente degli estrogeni contenuti in tali preparati ormonali.
Per quanto riguarda il primo aspetto, i lettori potranno ottenere informazioni da un precedente intervento su questa stessa rubrica (3).
Curiosamente, il possibile effetto anti-nidatorio della pillola contraccettiva è stato descritto come una tesi appartenente al campo della "fantascienza" (4). L'autorevolezza, il rigore e la trasparenza della fonte, lungi dal potere fare pensare a possibili conflitti d'interesse di matrice commerciale, devono piuttosto indurre ad una disamina, se possibile, ancora più accurata di un tale perentorio giudizio.
Si sostiene che la pillola non potrebbe avere alcun effetto anti-nidatorio "in quanto impedisce l' ovulazione e se non c' è l'ovulo da fecondare, non ci può essere gravidanza" (4).
Se davvero così stessero i fatti, la tesi dei medici cattolici apparirebbe francamente inconsistente, insostenibile, persino risibile.
Questo se le cose stessero effettivamente in questi termini; rimane da stabilire se davvero i fatti siano quelli riportati nell'articolo del Corriere. Qualche dubbio potrebbe sorgere leggendo quanto messo nero su bianco sul sito della Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia dedicato all'informazione sulla contraccezione: "La pillola provoca, inoltre, un ispessimento del muco cervicale e un assottigliamento dell'endometrio, la mucosa dell'utero, che diventa quindi meno adatto all'eventuale impianto di un ovulo" (5). Appare strano che anche tra gli esperti dell'Associazione dei Ginecologi Italiani si annidi qualche appassionato di fantascienza intento a confondere le acque riportando sciocchezze. Possibile che anche lì medici fondamentalisti siano in grado di eludere la sorveglianza dei guardiani laicisti dell'ortodossia scientifica? Possibile, ma improbabile.
I dubbi aumentano dopo una ricerca su pubmed, il motore di ricerca degli studi scientifici della National Library of Medicine. Incrociando i termini "oral contraceptives" e "ovulation", si scopre che proprio alcune settimane fa è stato pubblicato un lavoro di revisione della letteratura internazionale secondo il quale nelle donne che assumono la pillola contraccettiva l'ovulazione non solo è un fenomeno presente, ma addirittura si verifica con un'incidenza che dall'1-2% giunge fino al 40% per un particolare tipo di pillola contraccettiva (6). Che dire? Facendo dei calcoli grossolani è possibile stimare che nella sola Italia almeno mezzo milione di ovulazioni avvengono sotto pillola contraccettiva ogni anno. Rispondendo all'intervistato dal Corriere, possiamo dire che in molti casi l'ovulo da fecondare c'è. Non si tratta di sofismi, ma di questioni che coinvolgono sia i medici che le donne, le quali hanno tutto il diritto a ricevere informazioni per quanto possibile corrette e non parziali.
Gli autori della ricerca sono giunti a queste conclusioni esaminando la letteratura medica pubblicata tra il 1979 e il luglio 2008. Difficile pensare che si tratti di persone non qualificate; il professor Iam Milson è docente di ginecologia all'Università di Göteborg e la rivista che ha pubblicato il lavoro è l'organo ufficiale della Faculty of Sexual and Reproductive Healthcare, associazione affiliata al Royal College of Obstetricians and Gynaecologists. È altresì oltremodo improbabile che il lavoro sia mosso da pregiudizi in qualche modo piegati alla visione morale cattolica; l'altro autore, il dottor Tjeerd Korver, lavora presso l'istituto di ricerche olandese della Schering-Plough, un gigante mondiale della contraccezione ormonale.
Non meno imbarazzante risulta commentare alcune reazioni al documento dei medici cattolici per quanto riguarda il ruolo dei preparati ormonali come fonte di inquinamento ambientale. Che personaggi di primo piano del mondo ecologista dichiarino con candore di non avere mai nemmeno sentito parlare del problema (7) lascia interdetti. È sufficiente digitare su google i termini "oral contraceptives" e "endocrine disruptors" per vedersi apparire oltre quattordicimila pagine, tra cui numerosi articoli pubblicati su riviste scientifiche a diffusione internazionale.
Ovviamente si tratta di tematiche di una complessità enorme in cui da ogni parte l'esercizio della prudenza è non solo auspicabile, ma persino doveroso; si tratta di evitare allarmi ingiustificati, peraltro potenzialmente in grado di sottrarre risorse altrimenti allocabili, ma anche possibili colpevoli sottovalutazioni. Non di meno, è curioso notare che l'allarme ambientale sollevato dal documento dei medici cattolici sarebbe "ingiustificato, perché gli ormoni della pillola sono largamente metabolizzati da parte dell'organismo" (8). Ancora una volta queste considerazioni dovrebbero essere effettuate con la dovuta prudenza, sia perché l'inattivazione metabolica dei preparati ormonali non è totale (9), sia perché, una volta liberati nell'ambiente, gli ormoni possono subire processi tali da renderli farmacologicamente di nuovo attivi e quindi disponibili (10).
In conclusione, ci pare di potere cogliere da questo episodio due insegnamenti. Nell'esprimere le proprie posizioni è sempre bene collocarsi in una prospettiva di rispetto reciproco, evitando di ergersi a distributori di patenti di scientificità, soprattutto quando si parla senza essere supportati dalle evidenze. In questo caso viene inoltre confermato come il modo di porre il dato scientifico non è neutro, ma possiede in sé la capacità di orientare la riflessione antropologica e quindi il giudizio etico, soprattutto quando il metodo di giudizio rifiuta gli assoluti morali e procede secondo linee consequenzialiste.

"Good science, good ethics" è un detto sempre valido, alla base di qualsiasi dialogo, purché si faccia appunto della scienza, non fanta-scienza.


(1) Humanae Vitae. http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae_it.html.
(2) Vd. http://www.scienzaevita.info/public/site/news.asp?id=67.
(3) ZENIT - "La fallibilità dei metodi contraccettivi", 11 marzo 2007. http://www.zenit.org/article-9655?l=italian.
(4) cfr. Corriere della Sera del 4 Gennaio 2009. http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_04/pillola_vaticano_esperti_fantascienza_bd3eabe2-da48-11dd-a7f8-00144f02aabc.shtml.
(5) Vd. "Scegli Tu". vd. http://www.sceglitu.it/opencms/quarter/contr/ormonale/pillolaEstr/.
(6) Milsom I, Korver T. Ovulation incidence with oral contraceptives: a literature review. J Fam Plann Reprod Health Care. 2008 Oct;34(4):237-46.
(7) Vd. Corriere della Sera del 4 Gennaio 2009, pag 19 http://archiviostorico.corriere.it/2009/gennaio/04/Pratesi_frenare_nascite_aiuta_terra_co_8_090104021.shtml.
(8) Vd. Gente del 20 Gennaio 2009, pag 21 http://www.rassegnastampa.sigo.it/Articoli/SIGO/2009/1/C553F7AB74.pdf.
(9) Huang CH, Sedlak DL. Analysis of estrogenic hormones in municipal wastewater effluent and surface water using enzyme-linked immunosorbent assay and gas chromatography/tandem mass spectrometry. Environmental Toxicology and Chemistry, Vol. 20, No. 1, pp. 133-139, 2001.
(10) Legler J, Jonas A, Lahr J, Vethaak AD, Brouwer A, Murk AJ. Biological measurement of estrogenic activity in urine and bile conjugates with the in vitro ER-CALUX reporter gene

* Specialista in Medicina Interna, segretario di Scienza & Vita di Pisa e Livorno. È autore del libro "L'uomo indesiderato - dalla pillola di Pincus alla RU 486". Società Editrice Fiorentina, 2008. http://www.sefeditrice.it/scheda.asp?idv=472

martedì 27 gennaio 2009

Eluana Englaro - rassegna stampa di oggi

27 Gennaio 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
La legge del Pdl 140 KB

27 Gennaio 2009 - Avvenire
Fine Vita
Né accanimento né eutanasia 114 KB

27 Gennaio 2009 - ItaliaOggi
Fine Vita
Una legge dopo Eluana 161 KB

27 Gennaio 2009 - Sole24ore
Eutanasia
ELUANA. Il Tar dà ragione al padre 85 KB

27 Gennaio 2009 - Stampa
Eutanasia
ELUANA. Formigoni: strabiliante che i giudici si sostituiscano al Parlamento 64 KB

Eluana Englaro - Il TAR della Lombardia detta di fatto una nuova legge mentre dovrebbe fare sentenze e dice che Eluana deve morire.

Da Il Giornale di oggi 27 Gennaio 2009 -

Milano - Beppino vince il ricorso. Annullato il provvedimento con il quale, il 3 settembre scorso, la Regione Lombardia aveva negato la possibilità a tutto il personale sanitario di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali a Eluana, della donna, in stato vegetativo da 17 anni. Il Tar lombardo "ha accolto in ogni sua parte" il ricorso presentato da Beppino Englaro contro la Regione Lombardia. Lo ha riferito l’avvocato del signor Englaro, Vittorio Angiolini, che ha appena ricevuto la sentenza emessa dalla terza sezione del tribunale amministrativo regionale di Milano presieduta da Giordano Domenico. "È una sentenza molto precisa - ha detto Angiolini - sotto tutti i punti di vista. Sono sette pagine. Tratta tutte le questioni senza alcuna esclusione, inclusa quella secondo cui la Regione ha sbagliato nel ritenere di non avere obblighi dopo la sentenza". Anzi, nella sentenza amministrativa, la Lombardia "dovrà indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi" per garantire il diritto al rifiuto delle cure espresso da Eluana.

La sospensiva Beppino Englaro tramite i suoi legali aveva impugnato il provvedimento dello scorso settembre della regione Lombardia con riserva di chiedere la sospensiva. Sospensiva chiesta infatti lo scorso 31 dicembre. Giovedì scorso, davanti alla terza sezione del Tar, si è tenuta l’udienza camerale che inizialmente doveva appunto riguardare le richiesta di sospensiva. Ma su richiesta del professor Vittorio Angiolini, legale di Englaro, e dell’avvocato Franca Alessio, curatrice speciale di Eluana, i giudici hanno deciso di entrare nel merito della vicenda e, con giudizio breve, emettere una sentenza, relativa alla richiesta di annullamento dell’atto amministrativo della direzione generale dell’assessorato alla Sanità.

La soddisfazione a casa Englaro "Non posso che essere soddisfatto". Questo il commento di Beppino Englaro dopo aver appreso che il Tar ha accolto il ricorso da lui presentato. Englaro non ha voluto aggiungere altro. L’autorizzazione alla sospensione del trattamento vitale era stata data lo scorso 9 luglio con un decreto dei giudici della Corte d’Appello di Milano. "La sentenza parla da sé - ha detto Englaro - non c’è nessun commento da fare, basta leggere e ci si rende conto che, grazie a Dio, viviamo in uno Stato di diritto".

Le motivazioni Tra le motivazioni del Tar i legge che: "Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il raporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata". "La manifestazione di tale consapevole rifiuto - scrive ancora il presidente Domenico Giordano - rende quindi doverosa la sospensione di mezzi terapeutici il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa il paziente e non corrisponda con il mondo dei valori e la visione di vita dignitosa che è propria del soggetto. Qualora l’ammalato decida di rifiutare le cure tale ultima manifestazione di rifiuto farebbe immediatemente venire meno il titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario costituente imprescindibile presupposto di liceità del trattamento sanitario medesimo, venendo a sorgere l’obbligo giuridico del medico di interrompere la somministrazione di mezzi terapeutici indesiderati". Il Tar ricorda quindi "come ha precisato la Suprema Corte", che "tale obbligo giuridico sussiste anche ove si tratti di trattamento di sostegno vitale il cui rifiuto conduca alla morte, giacchè tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile

exitus".

La replica di Bagnasco "Togliere l’alimentazione e l’idratazione a una persona per di più ammalata è determinarla verso un inaccettabile epilogo eutanasico": riafferma il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a proposito della vicenda di Eluana Englaro. Il porporato, aprendo i lavori del consiglio permanente della Cei, ha ribadito che "con questa tecnica si sta cercando di far passare nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, il diritto di morire, e si vorrebbe dare a esso addirittura la copertura dell’articolo 32 della Costituzione. Il vero diritto di ogni persona umana, che è necessario riaffermare e garantire, è invece il diritto alla vita che infatti è indisponibile".

Sacconi: amareggiato ma non rassegnato Dice di essere "amareggiato" ma "non rassegnato" il ministro del Welfare Maurizio Sacconi sulla decisione del Tar, per la quale auspica ora un ricorso al COnsiglio di Stato. "Prendo atto con amarezza ma senza rassegnazione della sentenza del Tar della Lombardia che, del resto, non inficia il mio atto di orientamento generale al Servizio sanitario nazionale, che non era oggetto di giudizio davanti al Tar", spiega il ministro in una nota. La sentenza "sostiene che il mio atto, per quanto autorevole, non è sufficiente a inibire nello specifico caso Englaro una sorta di diritto soggettivo sostenuto dal provvedimento della Corte di Cassazione. Auspico peraltro il ricorso al Consiglio di Stato - aggiunge Sacconi - da parte della Regione Lombardia, perché rimango convinto che, in assenza di una legge specifica, non vi siano ragioni per far venir meno uno dei contenuti principali dei livelli essenziali di assistenza che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale: quello del dovere di idratazione e alimentazione di una persona non in grado di provvedere a se stessa".

Formigoni: valuteremo il ricorso La Giunta regionale della Lombardia, valuterà domani "un eventuale ricorso" al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar . Lo ha annunciato il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. "È strabiliante che si pretenda di deliberare sulla vita e la morte di una persona per via amministrativa, facendo così dipendere una decisione tanto drammatica da un rapporto tra pubbliche amministrazioni, mentre, ai sensi stessi della Costituzione, i diritti fondamentali, tra cui quello alla vita, sono indisponibili. Non sono cioè alla mercè di nessun tribunale". "La legge - aggiunge Formigoni - attribuisce alle Regioni, tramite il servizio sanitario, il compito di assistere e curare le persone con lo scopo di guarirle. Non posso accettare che la magistratura ci attribuisca un altro compito, quello di togliere la vita".

"Le leggi le fa il parlamento" "Ricordo - afferma ancora Formigoni - che le leggi le fa il parlamento su delega del popolo, mentre il compito della magistratura è quello di far rispettare le leggi, non di farle". "Infine - conclude il presidente della Regione Lombardia - non è neanche vero che si chiederebbe al servizio sanitario di limitarsi a sospendere un trattamento. Infatti, come la Corte d’Appello aveva specificato, alla Regione non verrebbe richiesta nè la sola sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, nè la semplice sospensione di una prestazione sanitaria, ma la vera e propria somministrazione di uno specifico trattamento, peraltro non previsto dai livelli di assistenza del servizio sanitario nazionale".

Sempre dall'Osservatore Romano del 26-27 Gennaio 2009

Chiesa e associazioni contro l'ampliamento della legge

La Spagna e l'aborto
La mobilitazione dei cattolici


Madrid, 26. Continua a far discutere in Spagna il progetto del Governo teso ad ampliare l'attuale normativa sull'interruzione volontaria di gravidanza. Oltre alla Chiesa cattolica, intervenuta a più riprese nelle settimane scorse attraverso comunicati della Conferenza episcopale e singole dichiarazioni dei vescovi - "la legge trasformerà la Spagna nell'abortadero d'Europa" ha detto l'arcivescovo emerito di Pamplona y Tudela, Fernando Sebastián Aguilar -, sono ora le associazioni che si battono per la vita a far sentire la loro voce contro una legge che sembra voler rispondere alla chiusura di varie cliniche dove si praticavano aborti illegali.
Secondo il Forum per la famiglia, il decreto "pretende di blindare le cliniche abortiste per evitare che le frodi di massa alla legge attuale possano essere individuate e provate, legittimando di fatto l'aborto libero". Il testo annunciato dall'Esecutivo dopo l'apertura dell'inchiesta giudiziaria "incorre in un'ingiustificata disparità di trattamento - sottolinea l'associazione - tra la privacy delle donne che intendono interrompere la gravidanza e quella delle persone che normalmente usufruiscono dei servizi sanitari". Con la legge in preparazione - aggiunge la fondazione Tommaso Moro - "i medici non potranno esercitare il proprio pieno diritto all'obiezione di coscienza. Essa non solo nega il diritto alla vita del più debole, il bambino che deve nascere, ma obbliga il medico che non vuole praticare l'intervento a indicare un altro centro dove poterlo effettuare".
In Spagna, in virtù di una legge del 1985, l'aborto è consentito soltanto in tre casi: durante le prime dodici settimane di gravidanza se la donna è rimasta vittima di uno stupro; nelle prime ventidue settimane se il feto è malformato; durante tutta la gravidanza se esiste pericolo per la salute fisica o psichica della madre. Appellandosi alla "salute psichica materna", in tutti questi anni sono stati effettuati molti aborti per ragioni economiche, per il fallimento del rapporto di coppia o per la mancanza di assunzione di responsabilità da parte del padre. Nel Paese il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. Secondo i dati diffusi a dicembre dal ministero della Sanità, nel 2008 gli aborti sono stati 112.138, ovvero il 10 per cento in più rispetto ai 101.000 dell'anno precedente e oltre il doppio rispetto ai 54.000 del 1998. L'odiosa pratica è in preoccupante aumento fra le minorenni: nel 2008 le operazioni che hanno riguardato ragazze sotto i 18 anni sono state oltre quindicimila (circa cinquecento sono state praticate su under 15), cioè il 14 per cento del totale; meno di dieci anni fa rappresentavano solo il 5,71 per cento.
La sottocommissione parlamentare che sta studiando la nuova normativa - riferisce l'agenzia Zenit - è sul punto di concludere i lavori. Secondo i promotori della legge, il testo dovrebbe riconoscere l'aborto come "un diritto" e garantire la prestazione gratuita da parte del Servizio sanitario nazionale. Se approvata, la normativa porrebbe limiti massimi - si parla delle prime dodici-quattordici settimane di vita del bambino - al periodo entro il quale la gravidanza può essere interrotta volontariamente ma liberalizzerebbe del tutto l'aborto affidando la decisione solo alla donna incinta, qualunque sia la sua età. Tuttavia la segretaria organizzativa del Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), Leire Pajín Iraola, ha spiegato che il dibattito in Parlamento non è sulla depenalizzazione o meno dell'aborto ma su "come migliorare la legge per garantire migliori prestazioni e diritti e dare sicurezza giuridica alle donne e ai medici che esercitano questo diritto".
L'associazione "Uniti per la vita" ha chiesto al Partito popolare - il principale schieramento all'opposizione del Governo presieduto da José Luis Rodríguez Zapatero - "coerenza" sull'aborto, ricordando come il suo leader, Mariano Rajoy Brey, ha più volte definito incostituzionale l'eventuale approvazione della legge in discussione. "Uniti per la vita" ha rilanciato il proprio Progetto di adozione per tutelare la vita dei minori in gestazione e rispondere alle migliaia di coppie disposte ad accoglierli. Un'altra iniziativa viene dalla piattaforma "Diritto di vivere" lanciata dall'associazione "HazteOir.org" che si batte per dare alle donne un'alternativa all'aborto. Sono già cinquanta i ginecologi che, da tutta la Spagna, hanno aderito al "gruppo per il diritto alla vita". I medici avranno un loro spazio sul web per la pubblicazione di articoli divulgativi sull'inizio dell'esistenza umana.
La Chiesa cattolica ha ripetutamente fatto sapere al Governo che non retrocederà di un passo riguardo alla strenua difesa della vita, intesa dal primo istante del suo concepimento alla sua fine naturale. Nella piazza di Colón, a Madrid, risuonano ancora le parole della dura omelia pronunciata dal cardinale Antonio María Rouco Varela il 28 dicembre scorso in occasione della festa della Santa Famiglia: "Fa rabbrividire il fatto e il numero di quanti sono sacrificati dall'impressionante crudeltà dell'aborto - ha detto il presidente della Conferenza episcopale spagnola -, una delle piaghe più terribili del nostro tempo, tanto orgoglioso di sé e del suo progresso. Le vittime sono i nuovi "santi innocenti" dell'epoca contemporanea". (giovanni zavatta)

A proposito di Shoa...

Ci ha colpito molto questo articolo dell'Osservatore Romano sulla deportazione degli ebrei (sono state montate enormi polemiche sulle dichiarazioni, peraltro vecchie di tre mesi, e sconfessate dal superiore della Fraternità San Pio X, di Mons. Williamson -uno dei vescovi tradizionalisti cui è stata tolta la scomunica da Papa Benedetto giorni fa, ne abbiamo dato notizia anche noi- a proposito della Shoa). Lo abbiamo ascoltato dalla lettura del bravo Padre Livio di Radio Maria questa mattina durante la sua Rassegna della stampa del giorno e ve lo riproponiamo. E' molto commovente e fa ribollire il sangue nelle vene.

Nel Giorno della memoria la voce dei sopravvissuti italiani alla Shoah

I riccioli d'oro e il riso ignaro di un bimbo che va a morire


di Gaetano Vallini

Ci sono pagine che tolgono il respiro. Ed è dura andare avanti. Nonostante ormai si conosca tutto o quasi della Shoah, l'orrore è tale - e quello che si percepisce è solo un'infinitesima parte di quanto provato da chi c'era - che si stenta a credere sia stato possibile. Eppure non riesci a fermarti, perché senti che lo devi alla memoria di quanti non ce l'hanno fatta; al coraggio di quanti hanno accettato di raccontare l'indicibile; e a una verità storica che qualcuno ogni tanto prova vergognosamente a rimettere in discussione.
Sarà perché ti inchioda di fronte alla degradazione di cui è capace l'uomo; sarà perché le testimonianze sono riportate anche in dialetto per restituirle nella loro pienezza, frammentate e ricomposte per ricostruire, come mai prima, la pagina più terribile e vergognosa della storia del secolo scorso; sarà perché sembra quasi di sentirle dalla viva voce dei sopravvissuti, ma Il libro della Shoah italiana (Torino, Einaudi, 2009, pagine 490, euro 42) curato da Marcello Pezzetti, riesce davvero a precipitare il lettore sulla soglia dell'inferno. Quell'inferno di cui parla Shlomo Venezia: "L'inferno... qualsiasi persona lo conosce dai libri, noi l'abbiamo vissuto". E lui, scelto a far parte del Sonderkommando di Birkenau - dove c'erano, scrive l'autore, "gli impianti omicidi più imponenti che l'uomo abbia edificato nel corso della storia" - sa quello che dice; lui stava all'inferno: doveva rimuovere i corpi dalle camere a gas, preparandoli per i crematori.
Quella di Venezia è la più agghiacciante tra le testimonianze raccolte da Pezzetti, storico del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano, membro di diverse istituzioni dedicate alla ricerca sulla Shoah, consulente dei registi Spielberg e Benigni, coautore del film Memoria, nonché direttore del costituendo Museo della Shoah di Roma. L'autore ha tirato le somme di un lavoro iniziato alla fine degli anni Ottanta, quando il Cdec cominciò a effettuare alcune interviste audio ai sopravvissuti. In seguito furono contattate le comunità ebraiche italiane affinché offrissero un aiuto nella ricerca. E si pensò di realizzare dei video con ciascun testimone.
La prima intervista filmata fu realizzata il 15 giugno 1995, a Milano, con Rachele Levi, della comunità ebraica italiana di Rodi. L'ultima, a fine 2008, a uno dei pochissimi superstiti della retata del 16 ottobre 1943, a Roma, ancora in vita: Enzo Camerino, residente a Montreal, di passaggio nella capitale. In totale sono stati intervistati - riportandoli per quanto possibile nei luoghi di prigionia - centocinque ebrei, sessanta donne e quarantacinque uomini, sopravvissuti alla deportazione dall'Italia, compreso il Dodecanneso, tra il 1943 e il 1945. Di essi, ottantotto finirono ad Auschwitz (dove il primo convoglio italiano arrivò il 23 ottobre 1943), quattro a Ravensbrück, tre a Bergen-Belsen, uno a Buchenwald e i restanti in altri luoghi.
Il lavoro è stato lungo, complesso e doloroso. "Doloroso - sottolinea l'autore - innanzitutto per chi è stato intervistato, spesso consapevole di offrirci con grande generosità una parte importante della propria vita che aveva deciso di non rendere mai pubblica, in secondo luogo per i componenti delle loro famiglie, che in molti casi hanno assistito alle interviste e hanno appreso la sorte dei propri cari nei dettagli solo in quell'istante, infine per noi che abbiamo raccolto la loro storia e la loro memoria, dal momento che è stato estremamente difficile mantenere un equilibrio tra il necessario rigore scientifico che doveva contraddistinguere il nostro approccio e il coinvolgimento umano che la drammaticità delle testimonianze suscitava".
E il coinvolgimento umano non manca certo nella lettura di questo volume, pubblicato in occasione del Giorno della Memoria, che ripercorre le varie tappe del progetto di sterminio: la vita prima del fascismo, la convivenza con il regime, l'umiliazione delle leggi razziali, la violenza dell'occupazione nazista, gli arresti, gli interrogatori, la detenzione in carcere, il transito nei campi di concentramento italiani, il viaggio verso i lager, la prigionia nei campi della morte. È una lenta caduta nel tunnel della follia antisemita, nella peggiore delle abiezioni umane. Fino alla liberazione, al difficile ritorno a una vita che sembrava perduta, tra il lutto inconsolabile per i propri cari morti e il senso di colpa per essere sopravvissuti.
Ognuno di questi momenti viene introdotto da una breve scheda che inquadra i luoghi e i fatti. Il resto lo raccontano loro, i testimoni, senza sconti, senza concedere nulla alla fantasia. Quanto raccontato sembra prendere forma. E li vedi lì, nel ghetto di Roma, cercare di sfuggire alla caccia, impauriti e sorpresi per l'inattesa violenza. Cogli il sollievo e la gratitudine per l'insperato aiuto di un conoscente, magari un cattolico, a volte un prete o una suora; o al contrario l'incredulità e la rabbia per la delazione di un vicino di casa, fino ad allora considerato amico.
Li immagini nelle carceri, mentre vengono seviziati durante gli interrogatori attraverso i quali gli aguzzini cercano di estorcere i nomi di parenti e conoscenti ebrei. Li osservi persi nel Campo di Fossoli, o alla Risiera di San Sabba, macerati dai dubbi sul loro futuro incerto, mentre cominciano a giungere alle loro orecchie notizie spaventose. Senti l'asfissiante oppressione delle centinaia di persone rinchiuse nei carri merci, ammassate come bestie, in un viaggio disumano verso quelli che ci si illude siano campi di lavoro, mentre i più anziani e i più deboli cominciano già a morire.
E poi l'arrivo nei lager; per la stragrande maggioranza Auschwitz-Birkenau, un luogo sul quale tra i deportati già circolavano voci tanto terribili quanto inverosimili. Li vedi su quella banchina, smarriti, impauriti, piangenti e tremanti, con gli sguardi attratti dal sinistro bagliore di quelle oscure ciminiere fumanti, con quell'odore nauseante e sconosciuto che avvolge tutto. Cogli l'angoscia straziante di quanti sono subito separati dai familiari: genitori, fratelli, sorelle, mariti, figli, i più grandicelli. I più piccoli sono immediatamente avviati con le mamme verso le camere a gas, assieme ad anziani e malati. Senti le loro urla terrorizzate, impotenti, disperate.
"Siamo arrivati alla mattina - ricorda Ida Marcheria - ed è stata subito una Babele: urla, grida, abbaiare di cani. C'hanno levato il papà e i nostri fratelli, poi ci hanno diviso dalla mamma. A mamma l'hanno fatta salire su un camion, dicevano che noi dovevamo andare a piedi perché eravamo giovani. È salita sul camion e ci ha raccomandato: "Bambine, state sempre insieme!". Forse lo sentiva, non lo so... comunque non ha pianto la mia mamma, non piangeva. Non l'ho vista più. La mamma... è quella sera che è morta". "Il momento più terribile? La separazione dai genitori. È stata - dice Trahamin Cohen - una cosa tremenda... È stato terribile, terribile! Molte volte purtroppo questa scena mi viene in mente in sogno. Ma il ricordo è peggio del sogno. Il ricordo a me mi ammazza. Non ci reggo...".
A Birkenau furono deportati circa duecentomila bambini, di loro seicento erano italiani. Tra questi c'era anche il più piccolo ebreo deportato dall'Italia. "Figlio di Marcella Perugia, nacque al Collegio militare di Roma il 17 ottobre 1943, il giorno prima della partenza. Questo bambino, forse nemmeno arrivato a Birkenau, è rimasto senza nome". Il libro è dedicato a lui.
La quasi totalità dei bambini venne uccisa nelle camere a gas il giorno stesso dell'arrivo. Il loro ricordo è il più straziante. "I bambini... i bambini che scendevano dai vagoni erano come i bambini di tutto il mondo: piccoli, assolutamente ignari del loro destino... In particolare - sono le parole di Nedo Fiano - io ricordo un servizio di notte, quando è arrivato dalla Francia un convoglio di bambini molto piccoli, credo che nessuno superasse i cinque anni. Il fatto unico è che questi ragazzi erano felici, contenti di scendere da questi vagoni dov'erano stati per giorni, avevano sottobraccio i loro giocattoli e si avviarono verso il crematorio. Si tenevano, ricordo, in file di tre... si tenevano per mano. Mi ricordo un bambino coi capelli biondi, dai riccioli meravigliosi, riccioli d'oro, così felice... Era straziante, una scena incredibile".
Tremendi sono anche i ricordi della vita del campo: l'angosciante rito delle selezioni - "È lì che abbiamo incontrato il dottore Mengele, il maledetto, e lui ha cominciato a separare gli uomini dalle donne con un cenno della testa", dice Arianna Szörényi - e il freddo, la fame, l'agonia dei malati, i Kinderblock dove finivano i bambini oggetto di sperimentazioni; e ancora le angherie, le violenze gratuite, brutali, inumane. "Davanti a me - ricorda Alberto Sed - c'era uno del Kommando che portava un regazzino verso un carretto; c'erano due tedeschi, uno dei quali gli ha detto: "Férmete! Il regazzino nun l'appoggiare, ma lancialo dentro il carretto!" 'Sto regazzino poteva ave' cinque, sette mesi... quando questo l'ha buttato, inaspettatamente uno dei due ha tirato fuori la pistola... e c'ha fatto il tiro a segno. Avevano scommesso dei marchi".
"C'era la violenza più totale, la violenza assoluta. La violenza fisica prima di tutto, poi la violenza psicologica. Era - racconta Piero Terracina - un vivere continuamente sotto la paura delle percosse, delle punizioni, delle selezioni. Lì sapevamo che dovevamo morire. Potevamo morire dopo un giorno, dopo una settimana, dopo un mese, non si andava oltre con il pensiero". C'era la certezza di quell'inferno di cui parla Shlomo Venezia.
Eppure, mentre tanti si lasciavano andare, altri si aggrappavano alla vita, spinti soprattutto dalla volontà di ritrovare un giorno i familiari da cui erano stati divisi. "Io vivevo soprattutto con l'idea di resistere per trovare le bambine, per ritornare con le bambine", dice Giulia Fiorentino Tedeschi. "Quello che mi spingeva a sopravvivere - è invece il ricordo di Virginia Gattegno - era l'idea di uscire di lì, cioè di morire magari appena fuori, ma non lì dentro a quell'inferno, non da prigioniera. Morire come un essere umano, insomma".
Qualcuno arrivò a vedere il giorno della liberazione dei campi, alcuni tuttavia morirono nei giorni successivi per le malattie e gli stenti patiti, senza poter assaporare la ritrovata libertà. Ma per molti il ritorno alla vita non è stato facile. Emblematiche le parole di Ida Marcheria e di Alberto Israel, che riassumono lo stato d'animo di tanti sopravvissuti: "Io maledico il giorno che sono uscita da quel lager. Non dovevo uscire, non dovevo mai tornare. Non so gli altri, può darsi che sono felici, non lo so". "C'è una cosa che devo dire, con molta fatica: noi abbiamo un rimorso... perché noi siamo riusciti a vivere. Non avremo mai pace fino al giorno in cui non andremo a raggiungerli". Ma per altri prevale il senso di riconoscenza, nonostante tutto, malgrado il ricordo che non si cancella mai, e che torna come un incubo ricorrente. Nonostante quel "dov'era Dio" che ancora angoscia molti.
C'è tutto questo e molto altro nel lavoro di Pezzetti. Complessivamente, secondo i dati del Cdec, dall'Italia venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti: poco meno di 7.800 - cui vanno aggiunti 1.819 ebrei dei possedimenti italiani del Dodecanneso. Solo 837 sono tornati. Il libro della Shoah italiana è un doveroso tributo alla memoria di quanti non ce l'hanno fatta e un monito per il futuro.

lunedì 26 gennaio 2009

Rassegna stampa del 26 Gennaio 2009



26 Gennaio 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
Veronesi: legge incostituzionale 100 KB

24 Gennaio 2009 - Repubblica
Eutanasia
ELUANA. La famiglia punta su Udine 159 KB

26 Gennaio 2009 - Giornale
Eutanasia
ELUANA. Roccella: usano un cavillo per ucciderla 94 KB

26 Gennaio 2009 - Unità
Eutanasia
ELUANA. Sorrentino: Sacconi ha sbagliato 103 KB

25 Gennaio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. D'Agostino: richiamo alla giustizia 113 KB

25 Gennaio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. Chi ha paura dell'obiezione di coscienza 135 KB

24 Gennaio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. Denuncia per i sanitari che eseguono la sentenza 158 KB

24 Gennaio 2009 - Corrieredellasera
Aborto
Obama cancella i divieti di Bush 285 KB

25 Gennaio 2009 - Repubblica
Cellule Staminali
Vescovi: cerchiamo altre vie 73 KB

ISLAM - La preghiera pubblica dei musulmani: diritto, provocazione o ingenuità?

Da IlSussidiario.net

intervista a Giorgio Paolucci

venerdì 23 gennaio 2009

A Giorgio Paolucci, caporedattore di Avvenire e profondo conoscitore dell’islam in Italia, ilsussidiario.net ha chiesto quale significato attribuire alle manifestazioni pubbliche organizzate contro la guerra a Gaza e in favore del popolo palestinese, concluse con una preghiera rituale di massa in alcuni luoghi-simbolo delle città italiane.

Quale segnale lancia la manifestazione alla quale abbiamo assistito?

Le manifestazioni che si sono svolte nei giorni scorsi nelle piazze di alcune città italiane hanno evidenziato – forse per la prima volta con queste dimensioni e in maniera così clamorosa – la crescita e la capacità organizzativa di un fenomeno presente da tempo in altri Paesi europei: l’islamizzazione della politica e la politicizzazione dell’islam. È qualcosa che attiene alla natura stessa e alla storia dell’islam, che nasce e si sviluppa fin dai primi secoli come din wa dunya wa dawla, (letteralmente, “religione, società e Stato”). Cioè come una realtà in cui l’elemento religioso determina precise ricadute in campo politico, economico e sociale.
Vale la pena ricordare che la vicenda stessa di Maometto è stata inizialmente connotata da due fasi. Nella prima, alla Mecca, prevalgono gli elementi più spiccatamente mistico-spirituali ed etici, alcuni dei quali suscitano l’ostilità delle tribù locali e lo costringono ad andarsene dalla sua città natale. Nella seconda fase – dopo l’egira (emigrazione) del 622 dalla Mecca a Medina – egli comincia a organizzare la vita civile della città e a realizzare il suo progetto “globale” che è insieme religioso, sociale e politico. Va notato che questi due momenti sono all’origine del dibattito moderno tra i musulmani su quale debba essere considerato il vero islam: quello della prima fase, cosiddetto “meccano”, o quello successivo, “medinese”. È un fatto che negli ultimi decenni, la seconda visione viene condivisa da un crescente numero di musulmani e connota in maniera evidente i movimenti che si rifanno all’area del cosiddetto fondamentalismo islamico.

È questa la tendenza che prevale attualmente anche in Italia?

L’analisi della presenza musulmana nel nostro Paese è molto complessa e certe letture che si sono succedute in questi giorni a livello mediatico e politico inducono a una semplificazione che può essere “comoda” perché riduce la realtà ad alcuni slogan, ma non aiuta a comprenderla. Si deve anzitutto considerare che in Italia vive più di un milione di musulmani, provenienti da diversi Paesi (non solo arabi) e che si rifanno a svariate interpretazioni e correnti dell’islam (sunniti, sciiti, sufi, ecc.). La maggior parte di costoro svolge le pratiche religiose a livello individuale o familiare o riferendosi a piccole comunità locali, non frequenta la moschea, non fa riferimento a organizzazioni islamiche. C’è poi una realtà “movimentista” il cui principale riferimento è l’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), vicina alle posizioni dei Fratelli musulmani, che propone e pratica una sorta di islamizzazione dal basso della società, e in cui l’elemento politico è pervasivo. Ma accanto all’Ucoii stanno altre realtà che ne contestano la presunta rappresentatività e che si contendono la leadership di un mondo molto composito, attraversato da fermenti e sollecitazioni molto diverse. Insomma, quello che abbiamo visto nelle piazze è una rappresentazione deformata e deformante dell’islam che vive tra noi.

Resta il fatto che nelle manifestazioni di questi giorni in Italia c’è stata una sovrapposizione pressoché totale tra la fede musulmana e la solidarietà col popolo palestinese.

Uno dei principali obiettivi di questi cortei è proprio l’affermazione sulla scena pubblica di un’identità che è insieme religiosa e politica. Il messaggio che si vuole trasmettere è «noi ci siamo, siamo tanti, abbiamo messo radici, dovete fare i conti con noi». È un nuovo protagonismo che conquista la scena pubblica e lo fa unendo slogan politici a invocazioni religiose. Rivelatore di questa posizione è, ad esempio, l’uso della frase Allah-u akbar. Letteralmente significa “Dio è il più grande”, è un grido di battaglia, uno slogan ricorrente nelle manifestazioni di piazza dei Paesi islamici, e ripetutamente scandito nei cortei di questi giorni in Italia. La stessa frase è risuonata nell’appello alla preghiera in piazza del Duomo a Milano, come per ribadire che non c’è soluzione di continuità tra la riaffermazione dell’identità religiosa attraverso la preghiera e la mobilitazione ideologico-politica a favore della causa palestinese e contro Israele. E in quest’ottica hanno trovato spazio anche gesti “estremi” come il rogo delle bandiere con la stella di David.

A proposito della preghiera in piazza, c’è chi osserva che non si può negare la libertà di culto, altri lanciano l’allarme sul progetto di “islamizzazione del territorio” che verrebbe realizzato attraverso la preghiera.

Bisogna fare chiarezza: qui non è in gioco la possibilità di esprimere il proprio sentimento religioso, anche pubblicamente. Ma si deve tenere conto che questo non può avvenire in barba alle normative vigenti, come ben sanno (ad esempio) i cattolici che devono chiedere regolari permessi per promuovere processioni o altre iniziative sul pubblico suolo. A questo proposito ricordo che la manifestazione milanese di sabato 3 gennaio non avrebbe dovuto concludersi in piazza Duomo, come è invece accaduto in violazione agli accordi presi con le forze dell’ordine. Quindi quella preghiera pubblica non era autorizzata e non doveva essere fatta. I musulmani devono capire che il principio di legalità vale per tutti.
Per quanto riguarda la pretesa di trasformare in “terra consacrata all’islam” quella su cui la comunità compie la preghiera rituale, si può osservare che essa è una convinzione diffusa nella mentalità musulmana, ma non può in alcun modo trovare cittadinanza in Occidente. Su questo terreno le autorità pubbliche devono esercitare la massima sorveglianza e sarebbe opportuno che esprimessero in maniera preventiva e inequivocabile la contrarietà a qualsiasi “pretesa” a riguardo, anche se essa non viene esplicitata da parte di chi compie il gesto.
Infine, è quantomeno sconcertante che una preghiera venga fatta come gesto di contrapposizione “contro” qualcuno, in questo caso il popolo d’Israele. Alla luce di queste valutazioni, mi sembra perlomeno ingenua e comunque inadeguata la posizione di quanti (cattolici e laici) si limitano ad affermare che “non si può mettere in discussione la libertà di preghiera”. Ripeto, non è in discussione questo, la posta in gioco è molto più alta.

C’è chi vede una “provocazione” nella scelta di luoghi altamente simbolici come il Duomo di Milano e la cattedrale di San Petronio a Bologna.

Su questo le interpretazioni possono essere almeno due. La prima mette in evidenza la volontà di ostentare la presenza della comunità musulmana davanti a edifici che più di altri testimoniano le radici cristiane delle due città. È evidente che se un gruppo di cattolici andasse a pregare davanti alla moschea di al-Azhar al Cairo, o in altri luoghi-simbolo dell’islam, i musulmani leggerebbero l’iniziativa come una sfida, una “provocazione a sfondo religioso”. Le scuse presentate alla Curia di Milano, anche se in maniera non del tutto cristallina, sono il segnale che alcuni responsabili della manifestazione si sono resi conto del contraccolpo negativo provocato su gran parte del mondo cattolico, anche quella parte che non aveva manifestato esplicitamente il suo disappunto per quanto era accaduto.
Una seconda interpretazione mette in evidenza la valenza politica – piuttosto che specificamente anticristiana – del gesto. Sono state scelte le piazze più prestigiose per ottenere un forte impatto sulla popolazione e il massimo effetto mediatico. Il sabato successivo a Milano la preghiera si è svolta in un altro luogo-simbolo, ma di carattere laico, come il piazzale antistante la Stazione Centrale. Credo che ci saranno altre sortite di questo genere, che rivelano una volontà precisa di riaffermare l’”islam politico” sulla scena pubblica, come accade da tempo in Francia, in Gran Bretagna, in Germania, dove le comunità sono più radicate e organizzate che da noi.

Iraq - Il papa riceve in dono il mantello di mons. Rahho e la stola di p. Ragheed, martiri in Iraq



Il dono è avvenuto all’udienza conclusiva della visita ad limina dei vescovi caldei. Benedetto XVI esorta a promuovere la formazione fra i giovani e la convivenza con i musulmani, rivendicando pari diritti ai cristiani e sicurezza da parte delle autorità. Preoccupazione per i profughi e gli emigrati. Il valore dell’assemblea sinodale e della carità.


Città del Vaticano (AsiaNews) – I vescovi caldei irakeni hanno donato a Benedetto XVI il mantello liturgico di mons. Paul Faraj Rahho (v.foto) e la stola di p. Ragheed Ganni, entrambi uccisi a Mosul, il primo nel 2008, l’altro nel 2007. Il dono è avvenuto durante l’udienza conclusiva della visita ad limina compiuta in questi giorni dai prelati orientali. Il papa ha ricevuto le due reliquie “con emozione” e ricordando le “vittime della violenza in Iraq durante questi anni” - e in particolare i due martiri e tanti altri sacerdoti e fedeli - ha detto che “il loro sacrificio è il segno del loro amore alla Chiesa e al loro Paese”.

Nel suo discorso ai vescovi, il pontefice ha sottolineato il valore “insostituibile” della Chiesa caldea nella storia dell’Oriente e dell’Iraq in particolare e li ha esortati a continuare questa missione al servizio “dello sviluppo umano e spirituale” del Paese. Per questo egli ha detto che “è necessario promuovere un alto livello culturale dei fedeli, soprattutto dei giovani. Una buona formazione nei diversi campi del sapere, sia religiosi che profani, è un investimento prezioso per l’avvenire”.

Egli ha pure chiesto ai fedeli irakeni di svolgere “un ruolo di moderazione” nella costruzione del Paese per plasmare rapporti di comprensione” fra cristiani e musulmani, precisando che “i cristiani che abitano l’Iraq da sempre, ne sono pienamente cittadini con tutti i diritti e i doveri di tutti, senza distinzione di religione”.

Il papa affronta in modo più diretto la “violenza quotidiana” di cui i cristiani sono fatti oggetto. Egli chiede ai vescovi di sostenere i loro fedeli “incitandoli ad amare la terra dei loro antenati a cui essi rimangono profondamente attaccati”. Allo stesso tempo i prelati devono “fare appello… alle autorità responsabili per il riconoscimento dei loro diritti umani e civili”.

Al problema delle violenze all’interno del Paese è legato pure il problema della diaspora e dell’emigrazione. Benedetto XVI ringrazia tutti coloro che in diversi Paesi accolgono gli irakeni che “per un certo periodo, debbono purtroppo abbandonare l’Iraq” e chiede ai vescovi di aver cura dei fedeli della diaspora. “È indispensabile – ha precisato il pontefice – che i fedeli custodiscano la loro identità culturale e religiosa e che i più giovani scoprano e apprezzino la ricchezza del patrimonio della loro Chiesa patriarcale. In tale prospettiva, l’assistenza spirituale e morale di cui i fedeli dispersi nel mondo hanno bisogno, deve essere presa in seria considerazione dai pastori, in relazioni fraterne con i vescovi delle chiese locali”.

Il papa ha anche sottolineato l’importanza delle assemblee sinodali fra i vescovi, esortandoli alla “comunione e a vivere la carità interepiscopale” per “elaborare orientamenti pastorali comuni”. A questo proposito, il sinodo dei vescovi caldei che era previsto per lo scorso dicembre, è stato rimandato a maggio 2009, pur con tutte le urgenze che presenza la situazione del Paese.

Infine, Benedetto XVI ha chiesto ai vescovi di essere vicini ai loro fedeli e spingerli con l’esempio a “rimanere prossimi delle persone nel bisogno o in difficoltà, dei malati, dei sofferenti” e ha elogiato l’impegno di molti cristiani che svolgono una “testimonianza disinteressata di carità… senza distinzione d’origine o di religione”.

Il papa ha concluso con un augurio: “La preghiera e l’aiuto dei vostri fratelli nella fede e di numerose persone di buona volontà vi accompagnino, così che il volto dell’amore di Dio possa continuare a brillare sul popolo irakeno che conosce così tante sofferenze”.

domenica 25 gennaio 2009

L'ultimo libro del più chestertoniano dei Cardinali

Presentiamo l'ultimo libro del card. Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, edito da Cantagalli (che ha pubblicato quasi un anno fa Eugenetica e altri malanni di Chesterton). Amiamo dire che il Cardinal Biffi sia il più chestertoniano dei cardinali.

Una riflessione importante sul tema del gregge in dialogo con la figura del pastore. Parole che sentiamo dire fin dal catechismo, ma che non sempre abbiamo chiare e anzi finiscono spesso per essere abusate nel loro significato dando origine a confusioni e pressapochismi.

Essere "politicamente corretti" nel rispetto delle pari opportunità può interessare al "mondo", ma non è detto che interessi a Gesù Cristo che più che ad essere "adulti nella Chiesa" invita ad essere nèpios piccoli e semplici come bambini.

Il lupo che insidia le pecore non è una metafora, ma corrisponde alla realtà operante del male che persegue un progetto antitetico a quello divino e che sperimentiamo nella vita quotidiana.
Senza timori di apparire "fuori tempo" Biffi mette in guardia dalle lusinghe di Satana che opera nella vita quotidiana in modo concreto al di là delle pure speculazioni teologiche. Per fortuna il Buon Pastore dice "Non temere, piccolo gregge, perchè al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno".

Al "Regno" viene assegnato un ruolo di centralità in funzione del fatto che bisogna vivere nel mondo senza essere del mondo. Il pastore condivide la vita del gregge eppure non si lascia trascinare né condizionare dalle abitudini e dalle contingenze del gregge. L'Emmanuele è infatti l'altissimo irraggiungibile (quindi al di sopra di ogni influenza storica) e il vicinissimo "Dio con noi" che entra e accompagna nella storia le sue pecore.

sabato 24 gennaio 2009

Papa Benedetto su Youtube.

Oramai la notizia è diffusissima, Papa Benedetto ha un suo canale su Youtube.
Cliccando il nostro titolo, si va dal Papa tramite Youtube.

Attualmente ci sono 16 video. La faccenda è interessante. Andateci, cari chestertoniani. Fa effetto vedere Papa Benedetto (in uno dei video presenti nella pagina del canale "Vaticanit") negli studi di Radio Vaticana parlare coi due conduttori e lodare il ruolo dei mezzi come internet nella comunicazione della fede.



Papa Benedetto revoca la scomunica ai vescovi della Fraternità San Pio X

Da www.vatican.va

REMISSIONE DELLA SCOMUNICA LATAE SENTENTIAE AI VESCOVI DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE SAN PIO X , 24.01.2009

Il Santo Padre, dopo un processo di dialogo tra la Sede Apostolica e la Fraternità Sacerdotale San Pio X, rappresentata dal suo Superiore Generale, S.E. Mons. Bernard Fellay, ha accolto la richiesta formulata nuovamente da detto Presule, con lettera del 15 dicembre 2008, anche a nome degli altri tre Vescovi della Fraternità, S.E. Mons. Bernard Tissier de Mallerais, S.E. Mons. Richard Williamson e S.E. Mons. Alfonso de Galarreta, di rimettere la scomunica in cui erano incorsi vent’anni fa.

A causa, infatti, delle consacrazioni episcopali fatte, in data 30 giugno 1988, da S.E. Mons. Marcel Lefebvre, senza mandato pontificio, i menzionati quattro Presuli erano incorsi nella scomunica latae sententiae, dichiarata formalmente dalla Congregazione per i Vescovi in data 1° luglio 1988.

S.E. Mons. Bernard Fellay, nella citata missiva, manifestava chiaramente al Santo Padre che: "siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al Primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l’attuale situazione".

Sua Santità Benedetto XVI, che ha seguito fin dall’inizio questo processo, ha cercato sempre di ricomporre la frattura con la Fraternità, anche incontrando personalmente S.E. Mons. Bernard Fellay, il 29 agosto 2005. In quell’occasione, il Sommo Pontefice ha manifestato la volontà di procedere per gradi e in tempi ragionevoli in tale cammino ed ora, benignamente, con sollecitudine pastorale e paterna misericordia, mediante Decreto della Congregazione per i Vescovi del 21 gennaio 2009, rimette la scomunica che gravava sui menzionati Presuli. Il Santo Padre è stato ispirato in questa decisione dall’auspicio che si giunga al più presto alla completa riconciliazione e alla piena comunione.

DECRETO DELLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI

Con lettera del 15 dicembre 2008 indirizzata a Sua Em.za il Sig. Cardinale Dario Castrillón Hoyos, Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Mons. Bernard Fellay, anche a nome degli altri tre Vescovi consacrati il giorno 30 giugno 1988, sollecitava nuovamente la rimozione della scomunica latae sententiae formalmente dichiarata con Decreto del Prefetto di questa Congregazione per i Vescovi in data 1° luglio 1988. Nella menzionata lettera, Mons. Fellay afferma, tra l'altro: "Siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al Primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l'attuale situazione".

Sua Santità Benedetto XVI - paternamente sensibile al disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica e fiducioso nell'impegno da loro espresso nella citata lettera di non risparmiare alcuno sforzo per approfondire nei necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede le questioni ancora aperte, così da poter giungere presto a una piena e soddisfacente soluzione del problema posto in origine - ha deciso di riconsiderare la situazione canonica dei Vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta sorta con la loro consacrazione episcopale.

Con questo atto si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della Fraternità San Pio X con questa Sede Apostolica. Questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l'unità nella carità della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione.

Si auspica che questo passo sia seguito dalla sollecita realizzazione della piena comunione con la Chiesa di tutta la Fraternità San Pio X, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del Magistero e dell'autorità del Papa con la prova dell'unità visibile.

In base alle facoltà espressamente concessemi dal Santo Padre Benedetto XVI, in virtù del presente Decreto, rimetto ai Vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta la censura di scomunica latae sententiae dichiarata da questa Congregazione il 1° luglio 1988, mentre dichiaro privo di effetti giuridici, a partire dall'odierna data, il Decreto a quel tempo emanato.

Roma, dalla Congregazione per i Vescovi, 21 gennaio 2009.

Card. Giovanni Battista Re

Prefetto della Congregazione per i Vescovi

venerdì 23 gennaio 2009

Eluana Englaro - Il nostro Paolo Gulisano parla a Zenit della manifestazione di Lecco

ZENIT, 21/01/09
Manifestazione a Lecco per salvare Eluanadi Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 21 gennaio 2009 (ZENIT.org).- “Salviamo Eluana”: è questo l’appello della fiaccolata svoltasi sabato scorso, 17 gennaio, e organizzata dal Centro Aiuto alla Vita (CAV) di Lecco e dall’associazione Solidarietà, in occasione del 17° anniversario dall’incidente stradale che colpì Eluana Englaro.
Il corteo, accompagnato da numerose persone con striscioni e cartelli in cui era scritto “no alla pena di morte per Eluana”, “nessuno tocchi Caino, ma si può uccidere Abele?”, “grazie Sacconi”, “Udine ha scelto la vita e non la morte”, si è aperto e chiuso sul sagrato della Basilica San Nicolò facendo anche tappa davanti alla sede del Tribunale.
Il senso della fiaccolata per la vita, ha detto a ZENIT, Paolo Gulisano, presidente del CAV, è quello di “impedire che venga praticata l’eutanasia su Eluana”.
Il dottor Gulisano ha ribadito ancora una volta quali sono le condizioni di Eluana: non si tratta di coma (infatti c'è alternanza di sonno e di veglia) ma di (presunto) stato d'incoscienza, la cui definitiva irreversibilità, essendo una mera ipotesi, è scientificamente indimostrata.
Testimonianze recenti di sanitari che l’hanno visitata, affermano che Eluana deglutisce, tieni gli occhi aperti, li apre all’accendersi della luce nella stanza o che modifica spontaneamente il ritmo del proprio respiro, in particolare quando sente parlare di lei.
“Eluana è un soggetto gravemente disabile, certo, - ha precisato Gulisano - ma è nelle stesse condizioni di migliaia di altre persone. Non è sottoposta ad alcun accanimento terapeutico, perché dare acqua e nutrimento a un malato per quanto cronicamente grave, non è rappresentabile come terapia”.
Secondo il presidente del CAV di Lecco, “sarebbe altrimenti legale lasciar morire di fame e di sete milioni di disabili, handicappati, malati di Alzheimer, solo per evitare di sottoporli ad accanimento terapeutico”.
Per Gulisano, “la stessa definizione di stato vegetativo permanente si riferisce ad una prognosi in realtà dubbia e con margini di errore. Non esistono tutt’oggi validi criteri per accertare l'irreversibilità del coma e dello stato vegetativo.”
A confermare questa incertezza nei criteri dell’irreversibilità del coma è stata la testimonianza di un uomo che è uscito da questa situazione, il catanese Salvatore Crisafulli. Rimasto in stato vegetativo per anni, si è poi risvegliato grazie soprattutto all'amore dei suoi familiari, che non si sono mai dati per vinti.
Crisafulli, che adesso scrive libri grazie ad un computer, ha voluto inviare un messaggio alla manifestazione del CAV.
"Sentivo e percepivo tutto... mi commuovevo quando mamma ed i miei fratelli mi facevano le coccole – racconta – e mi disperavo quando i medici dicevano che ero spacciato, che non c'era nulla da fare …piangevo, aprivo e chiudevo gli occhi per attirare la loro attenzione e mi disperavo quando li sentivo dire che erano solo riflessi condizionati e che in realtà non percepivo e sentivo nulla”.
“Le marce, i girotondi, le veglie, le fiaccolate siano fatte per invocare la vita e non per sentenziare la morte – ha continuato Crisafulli –; per potenziare e sensibilizzare la sanità e la ricerca scientifica, per rendere sopportabile la sofferenza, anche quella terminale, non per giustificare i più disperati e soli con il macabro inganno in una morte dolce, dietro cui si nasconde solo cinismo e utilitarismo”.
I familiari di Salvatore Crisafulli hanno aggiunto una loro testimonianza, letta alla fiaccolata, in cui hanno affermato: “A noi la speranza non è mai venuta meno e siamo stati premiati dalla confessione del nostro Salvatore, il quale ci ha ripetuto mille volte che, mentre tutti i più grandi luminari d'Europa lo reputavano una foglia d'insalata, lui si sentiva vivo e partecipe e soffriva terribilmente senza poter comunicare all'esterno la sua atroce ed agonizzante pena”.
“Il problema – hanno sottolineato – sta tutto nell'accettazione o no dell'eutanasia, inutile girare ipocritamente intorno all'interpretazione più o meno penosa dello stato della povera Eluana”.
I genitori di Crisafulli hanno affermato che “non si tratta di staccare nessuna spina, perché la vita di Eluana non dipende da macchinari ma solo dall'amore e dalla solidarietà di chi le sta vicino e le porge il minimo di acqua e cibo per sopravvivere”.
Alla manifestazione è intervenuto anche l’avvocato Alcide Maria Nicoli del Movimento per la Vita e legale dell’associazione Solidarietà che insieme al dottor Gulisano ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano per ottenere la revoca del decreto che autorizza a interrompere l’alimentazione e la idratazione di Eluana.
“Noi, come tutto il popolo della vita, non rinunceremo mai alla battaglia per la vita”, ha ribadito Nicoli.
Il legale ha anche annunciato l’intenzione di valutare nuovi esposti, “quando avremo una documentazione di carattere medico-scientifico che dimostri gli errori, anche molto gravi, in cui è caduto il provvedimento della Corte”.

giovedì 22 gennaio 2009

Eluana Englaro - Rassegna stampa

22 Gennaio 2009 - Sole24ore
Eutanasia
ELUANA. Il governo frena il Piemonte 62 KB

22 Gennaio 2009 - Stampa
Eutanasia
ELUANA. Il governo: fermeremo la Bresso 57 KB

22 Gennaio 2009 - Repubblica
Eutanasia
ELUANA. Poletto: i medici facciano obiezione 164 KB

22 Gennaio 2009 - Foglio
Eutanasia
ELUANA. Il paradosso dello sciopero di Pannella 128 KB

mercoledì 21 gennaio 2009

Chesterton in altre parole - Antonio Gramsci

Sempre su Antonio Gramsci e Chesterton, volevamo segnalare Letteratura e vita nazionale in cui Gramsci scrisse un capitoletto dal titolo "Sul romanzo poliziesco".

Qui sotto trovate due brani.

Parlando di Chesterton, Gramsci lo indicava significativamente come "il giallo con la letteratura dentro".

"In questa letteratura poliziesca si sono sempre avute due correnti: una meccanica – d'intrigo – l'altra artistica: Chesterton oggi è il maggior rappresentante dell'aspetto «artistico» come lo fu un tempo Poe: Balzac con Vaturin, si occupa del delinquente, ma non è «tecnicamente» scrittore di romanzi polizieschi".

"2) È da vedere l'articolo di Aldo Sorani Conan Doyle e la fortuna del romanzo poliziesco nel , nel «Pègaso» dell'agosto 1930, notevole per l'analisi di questo genere di letteratura e per le diverse specificazioni che ha avuto finora. Nel parlare del Chesterton e della serie di novelle del padre Brown il Sorani non tiene conto di due elementi culturali che paiono invece essenziali : a) non accenna all'atmosfera caricaturale che si manifesta specialmente nel volume L'innocenza di padre Brown e che anzi è l'elemento artistico che innalza la novella poliziesca del Chesterton, quando, quando, non sempre, l'espressione è riuscita perfetta; b) non accenna al fatto che le novelle del padre Brown sono «apologetiche» del cattolicismo e del clero romano, educato a conoscere tutte le pieghe dell'animo umano dall'esercizio della confessione e della funzione di guida spirituale e di intermediario tra l'uomo e la divinità, contro lo «scientismo» e la psicologia positivistica del protestante Conan Doyle. Il Sorani, nel suo articolo, riferisce sui diversi tentativi, specialmente anglosassoni, e di maggior significato letterario, per perfezionare tecnicamente il romanzo poliziesco. L'archetipo è Sherlock Holmes, nelle sue due fondamentali caratteristiche: di scienziato e di psicologo: si cerca di perfezionare l'una o l'altra caratteristica o ambedue insieme. Il Chesterton ha appunto insistito sull'elemento psicologico, nel gioco delle induzioni e deduzioni col padre Brown, ma pare abbia ancora esagerato nella sua tendenza col tipo del poeta-poliziotto Gabriel Gale".

Eluana Englaro - La presidente del Piemonte Mercedes Bresso ha dato la disponibilità a far morire Eluana in Piemonte (tristezza allucinante).

Da IlGiornale.it

Torino - La presidente del Piemonte Mercedes Bresso si è detta disposta ad accogliere Eluana in una struttura pubblica. "A noi non è stato chiesto niente e non ci offriamo, però se ci viene richiesto per noi non ci sono problemi" ha affermato Bresso. "Se ci viene richiesto, noi siamo disposti. Ovviamente in strutture pubbliche - ha aggiunto Bresso - perché quelle private sono sotto scacco del ministro Sacconi. Il tema resta lo stesso. Io avevo già detto - ha esordito Bresso - che noi eravamo pronti a rispettare la legge perché riteniamo che si debba rispettare la legge e chi in questo caso ha la tutela, la patria potestà".

Nessuna richiesta "A noi - ha proseguito la presidente del Piemonte a Bruxelles a margine di un incontro con il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso - non è stato chiesto nulla e quindi non è che c’è una competizione in cui ci offriamo, però se ci viene richiesto per noi non ci sono problemi. È giusto essere preoccupati che non si arrivi a uccidere le persone che non servono più. Ma in questo caso - ha sottolineato Bresso - c’è stato un lungo iter. C’è una decisione del tribunale che ha valutato tutte le ragioni di questa situazione. Se quindi ci viene richiesto - ha concluso - noi siamo disposti. Ovviamente saranno strutture pubbliche perché quelle private sono sotto scacco del ministro. Quindi una risposta dovrà venire dalle strutture pubbliche".

Beppino Englaro: "Colto il nostro dramma" "Non posso che ringraziare il presidente Bresso e rivolgerle tutto il mio apprezzamento: dalle sue parole limpide e precise mi rendo conto che ha colto perfettamente la natura del nostro dramma". Questa la reazione di Beppino Englaro, interpellato sulle dichiarazioni del presidente del Piemonte. "Credo che da un presidente di regione non ci si poteva aspettare di più - ha aggiunto Englaro -. Noi naturalmente prendiamo in considerazione e valutiamo questa disponibilità". Englaro ha precisato di non aver mai avuto finora alcun contatto diretto con la Bresso. "Ma mi bastano le sue dichiarazioni per rendermi conto che lei conosce bene le problematiche - ha detto il padre di Eluana -. Mi indica la soluzione senza farne questioni politiche o morali e credo che da un presidente di regione non ci si possa aspettare di più". Da oltre un mese la ricerca di una struttura dove ospitare Eluana per i suoi ultimi di giorni di vita, si era bloccata in attesa delle decisioni della clinica città di Udine, dove il trasferimento era previsto (e poi sospeso) il 16 dicembre. Il 16 gennaio è arrivata la definitiva risposta negativa. Ora Beppino, che è tutore di Eluana, insieme alla curatrice speciale, Franca Alessio e agli avvocati che seguono il caso, stanno riprendendo i contatti. "Stiamo studiando tutte le possibilità - ha ripetuto Englaro - in modo da procedere, come abbiamo sempre fatto, nel rispetto della legalità e dei diritto".

La curatrice: "Bene la disponibilità" "Siamo sempre pronti a valutare qualunque disponibilità purchè non rappresenti ulteriore perdita di tempo: a noi interessa mettere in atto l’ordinanza della Corte d’Appello, alla luce del sole, tendenzialmente in Italia e senza ostacoli dell’ultimo momento". Lo ha detto la curatrice di Eluana, l’avvocato Franca Alessio. "Noi vorremmo si potesse prendere una decisione definitiva" ha aggiunto l’avvocato, ringraziando il presidente della regione Piemonte per la sua apertura.