venerdì 20 novembre 2009

Dal prof. Carlo Bellieni

di Carlo Bellieni

“I futuri genitori sono male informati, si aspettano troppo da una ecografia. Ecco perché aumentano le denunce per mancata diagnosi prenatale”. Non sono parole di un moralista, ma del prof Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale). Il problema, dice l’esperto, è che la diagnosi prenatale ecografica non è infallibile: non vede tutti i difetti e, aggiungiamo noi, talora vede immagini dubbie che difetti non sono. Il caso eclatante esplose in Francia nel 2000 quando un ragazzo, di nome André Perruche Venne alla ribalta perché era nato anni addietro con anomalie dovute ad un’infezione avuta in gravidanza e non riscontrate all’ecografia; un giudice accettò la richiesta dei tutori del giovane e condannò il medico ecografista che non si era reso conto dell’anomalia perché la sua disattenzione aveva privato i genitori delle necessarie informazioni che li avrebbero condotti all’aborto e il bambino ne aveva tratto danno… visto che era nato. A quel punto gli ecografisti in Francia entrarono in sciopero perché non accettavano che un errore involontario li portasse a pesanti condanne; e i disabili scesero in piazza perché non accettavano a loro volta che la disabilità venisse indicata come motivo di definire una vita non degna di essere vissuta.

Avverte Giorlandino, in preparazione ad un convegno sullo studio morfologico del feto, che “non possiamo dare la certezza che il bambino che verrà al mondo sarà perfetto” e che “che la percentuale di diagnosi corrette per malformazioni fetali non supera, per le più importanti, il 60%: insomma quattro malformazioni su dieci non sono visibili con gli strumenti, nonostante siano presenti.”. Ma a questo punto viene da domandarci quale sia davvero lo scopo della diagnostica prenatale: la salute o l’individuazione dei disabili? Ed è davvero utile scoprire se un bambino avrà un “labbro leporino” tre mesi prima che nasca? Certo, questo potrà garantire ai genitori di poterlo abortire, come accade in molti casi non solo per malattie gravissime ma anche per malformazioni operabili e minori, ad esempio il caso di atresia dell’esofago che venne alla ribalta anni fa a Firenze (operabile e soprattutto inesistente perché la diagnosi era errata); ma ci fa domandare se davvero è una soluzione l’aborto e soprattutto l’unica soluzione? Non sarà invece addirittura necessario parlare di diritto alla privacy del bambino non nato, quando l’indagine ecografica è tesa non al suo benessere, ma solo a facilitare la curiosità dei genitori, magari proclivi all’aborto? Non sono ragionamenti pellegrini: di privacy fetale si parla da anni e se ne è occupata anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La diagnosi prenatale genetica invasiva (amniocentesi) e non invasiva (ecografie e triplo test) non è eticamente neutra: richiede più conoscenza da parte di chi ne fruisce e richiede una scelta di campo. Non si tratta certo di vietarla (anche se in certi Stati indiani hanno dovuto metterla fuori legge dato che veniva usata per individuare e abortire le figlie femmine), ma di renderla una scelta cosciente. In Olanda le indagini come il triplo test sono crollate di colpo quando è stata data una corretta informazione alle donne sulla loro fallibilità. Forse questo oggi manca: far uscire la diagnosi genetica prenatale dalla routine (“La faccio perché la fanno tutte”), e valorizzarla laddove è utile a curare realmente.

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