giovedì 23 luglio 2009

Il Foglio col nostro Andreone Monda recensisce Uomovivo.

G.K.Chesterton, Uomovivo, Morganti Editori, pp.251, euro 15,00

Uomovivo è il protagonista del romanzo il cui vero (e indicativo) nome è Innocent Smith che nella prima pagina arriva anzi irrompe in un’amena località inglese nei pressi di Londra, denominata Casa Beacon, essendo stato prima annunciato da un forte vento che si abbatte gagliardo proprio come quello del giorno di Pentecoste sul Cenacolo (dove erano riuniti uomini “morti” fino a che il soffio di quel vento non li vivificasse). Casa Beacon e i suoi tranquilli (cioè, anche loro, morti) abitanti ovviamente non saranno più gli stessi, scossi come sono fin alle fondamenta dal vento nuovo portato dal paradossale e fanciullesco Innocent. Se riflettiamo che la casa dove è realmente vissuto e anche morto lo scrittore si trova a Beaconsfield il gioco è fatto: Uomovivo è Chesterton stesso, o almeno quello che lui avrebbe desiderato essere. Nella sua Autobiografia, uscita postuma nel 1937 con una battuta lo scrittore riassume il “compito” della sua vita: “Questo fu il mio primo problema, quello di indurre gli uomini a capire la meraviglia e lo splendore dell'essere vivi." A questa missione Chesterton ha dedicato, oltre all’intera esistenza, anche tutta la sua produzione letteraria e, soprattutto il suo romanzo migliore, intitolato appunto Manalive, pubblicato nel 1912 che oggi viene ripubblicato con una nuova traduzione e un nuovo titolo che ripete quello originale. Autore della traduzione è Paolo Morganti, direttore dell’omonima casa editrice che ha dedicato un’intera collana (la Chestertoniana appunto) di quattordici volumi del geniale giallista e umorista inglese, tutti ri-tradotti per l’occasione, un’impresa davvero controtendenza, insomma molto “chestertoniana” per nobiltà e temerarietà.
Nel 1905 era uscito l’altro grande romanzo di Chesterton, L’uomo che fu Giovedì che tra le righe racconta come lo scrittore si sia ormai lasciato alle spalle l’ombra, superando l’angoscia e l’orrore proprie di ogni vicenda umana, e corra verso la felicità. Lo aveva ben capito Borges quando scrive che Chesterton “visse nel corso degli anni intrisi di malinconia a cui si riferisce con la definizione fin de siecle. Da questo ineliminabile tedio venne salvato da Whitman e da Stevenson. Eppure qualcosa gli rimase attaccato addosso, rintracciabile nel suo gusto per l'orrido. Il più celebre dei suoi romanzi "L'uomo che fu Giovedi'", ha come sottotitolo 'Un incubo'. Avrebbe potuto essere Poe o magari un Kafka ma, coraggiosamente optò per la felicità.” In Manalive lo scrittore giunge a casa, risiede nella felicità e, come un signore di casa, ci apre le porte della sua magione. Borges cita Whitman; si potrebbe aggiungere un altro grande cantore del sogno americano, Frank Capra; insieme i due ci aiutano a comprendere la poetica di Chesterton così vitale e per ciò stessa meravigliosamente inattuale, che ritroviamo integra in questa perla narrativa del prolifico scrittore inglese.

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