venerdì 31 luglio 2009

La "santità di Chesterton": ora c'è una preghiera, non ufficiale.

Vi invitiamo caldamente a leggere il post (in inglese, of course) sul blog della Società Chestertoniana Inglese, a firma del suo presidente, il professor Oddie. Il titolo, tradotto in italiano, è: La causa: ora, una preghiera per l'intercessione di Chesterton.

La tesi, sostanzialmente. è questa (quello che segue è una sorta di traduzione riassuntiva del post del professor Oddie): oggi siamo nella gioia per la prossima beatificazione del Card. John Henry Newman, che per alcuni era difficile vedere come un santo, quanto piuttosto come un grande studioso della dottrina cattolica. Allo stesso modo, sostiene Oddie, chi oggi ha delle difficoltà a pensare a Chesterton come ad un santo, dovrebbe riflettere sulla vicenda della santità di Newman.

Il culto di Newman iniziò in Canada, con la pubblicazione, sotto forma di santini, di una preghiera a Dio Padre perché concedesse attraverso l'intercessione di Newman, grazie ed anche miracoli così che la Chiesa potesse dichiararlo santo.

La preghiera, che non ebbe alcuna ufficialità, venne fuori negli Anni Trenta, tre decenni abbondanti prima che il culto di Newman fosse accettato in Inghilterra.

Il culto iniziò con l'emergere di una preghiera. E così potrebbe essere ora, sostiene Oddie: la conferenza sulla "santità di Chesterton" ha già avuto riverberi internazionali, con risposte dalla Francia, dalla Polonia, dagli Stati Uniti e dall'Italia (Oddie, in quest'ultimo caso, si riferisce all'intervista a Paolo Gulisano a cura di Antonio Gaspari su Zenit, di qualche settimana fa, che trovate sul blog, e al commento al post di Oddie del nostro presidente Marco Sermarini sullo stesso argomento: qui).

Ora, sostiene il presidente Oddie, l'unica cosa necessaria perché un vero culto prenda vita concreta è emersa: una preghiera, che il presidente ha inteso essere iniziata sul modello della preghiera canadese per l'intercessione di Newman, ma che ha attraversato un considerevole processo di mutazione. I suoi autori, un laico e un prete che hanno frequentato la conferenza di Oxford sulla "santità di Chesterton", desiderano rimanere anonimi. E' chiaramente il risultato di un considerevole pensiero e di altrettanta preghiera. Così il professor Oddie ce la presenta nel suo blog qui e noi la riprendiamo con una nostra libera traduzione: chissà se non sarà, forse l'inizio di qualcosa di bello per Dio. "Se sarà largamente pregata, non ho dubbi che lo sarà", dice il presidente inglese.

Non è nulla di ufficiale, naturalmente, così dovrebbe solo essere usata nella preghiera privata:

Dio Nostro Padre,
Tu riempisti la vita del tuo servo Gilbert Keith Chesterton di un senso di meraviglia e gioia,
e desti a lui una fede che fu il fondamento del suo incessante lavoro,
una carità verso tutti gli uomini, in particolare verso i suoi avversari,
e una speranza che scaturiva dalla sua gratitudine di un'intera vita per il dono della vita umana.
Possano la sua innocenza e e le sue risate,
la sua costanza nel combattere per la fede cristiana in un mondo che perde la fede,
la sua devozione di una vita per la Beata Vergine Maria
e il suo amore per tutti gli uomini, specialmente per i poveri,
portare allegria ai disperati,
convinzione e calore ai tiepidi
e la conoscenza di Dio a chi non ha fede.
Ti chiediamo di concedere le grazie cheTi imploriamo
attraverso la sua intercessione (e specialmente per...)
perché la sua santità possa essere riconosciuta da tutti
e la Chiesa possa proclamarlo beato.
Te lo chiediamo per Cristo Nostro Signore

Amen.


Il post a cui ci riferiamo è qui. Chi vuole, può commentare sia qui che nel blog inglese.

Uomini e tristezza - 16 - Festival della tristezza.

Che il Signore dia la grazia a questa gente dell'amaro pentimento e di piangere per queste cose tristi che hanno affermato.

"Bisogna distinguere il dibattito politico da quello scientifico. Siccome siamo in un Paese che consente l'aborto per legge, se c'è la possibilità di avere un sistema meno invasivo per le donne non vedo un motivo per dire di no". Lo afferma il segretario del Pd Dario Franceschini a "Faccia a faccia" su Radio3.

Il capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera Livia Turco commenta: "Spero che adesso finisca la crociata contro un farmaco che in realtà era una crociata contro le donne e i medici. Il timore di privatizzare e banalizzare l'interruzione di gravidanza e di lasciare le donne sole nascondeva la sfiducia nei confronti delle stesse donne e dei medici. Ora è necessario garantire che questa metodica abortiva sia utilizzata nel modo più appropriato e nell'ambito della legge 194. Per questo mi auguro che il ministero della Salute definisca insieme alle Regioni delle linee guida per garantire una presa in carico adeguata su tutto il territorio nazionale".

"Dal punto di vista scientifico non ho remore sulla messa in commercio della Ru486. Ci sono regole restrittive che garantiscono la salute delle donne e l'Italia non può rimanere fuori dall'Europa". Lo ha dichiarato il presidente della commissione Affari sociali della Camera Giuseppe Palumbo (Pdl). "La Ru486 - spiega Palumbo - rappresenta solo un'applicazione medica della Legge 194 sull'interruzione di gravidanza. Una valida alternativa farmacologica all'intervento chirurgico che dà anche la possibilità a quelle donne, che non possono essere sottoposte per motivi di salute ad un'operazione, di portare a termine la propria scelta di interrompere la gravidanza, sempre comunque entro i dettami della 194. Nulla di più dunque da giustificare tanto allarmismo".

"Prima di tutto è una vittoria per le donne italiane, che da oggi sono più libere e hanno un'opportunità in più - commenta il ginecologo torinese Silvio Viale (Radicali) - ma la lotta continua perché ora bisogna offrire l'aborto medico in tutta Italia".

"Se sotto controllo ospedaliero, sono d'accordo con l'introduzione della pillola Ru486 anche in Italia". Lo afferma il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Aggiunge: "Non sarei d'accordo se questa pillola fosse venduta liberamente nelle farmacie".

RU486 - Chi non ha mandato al macero il cervello.

Monsignor Luigi Negri, vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro, definisce il farmaco un "pesticida umano". Questa pillola "sarà usata per togliersi qualsiasi possibilità di avere un imprevisto di carattere medico. Una decisione di questo tipo non è tecnica e basta, ma coinvolge una concezione dell'uomo e del rapporto uomo-donna".

"Da una parte non tuteliamo la vita nel grembo delle nostre madri, ma dall'altra importiamo giovanotti di 20 anni per la forza lavoro". Lo dice il senatore della Lega Nord, Giuseppe Leoni, fondatore dei "Cattolici padani".

"E' la sconfitta dell'intera cultura della vita. A nulla è valso il richiamo di ventinove donne morte a causa di questo farmaco killer. Il via libera dell'Aifa rappresenta la vittoria della Norimberga farmaceutica che si appresta a spacciare il primo veleno per la vita nascente. Con la RU si legalizza di fatto l'infanticidio per la modica cifra di 14 euro a pasticca". Lo dichiara Novella Luciani, delegato del sindaco Gianni Alemanno alla vita.

"Il dibattito sulla Ru486 - si legge in una nota del centro di ateneo di bioetica dell'Università Cattolica, diretto dal professor Adriano Pessina - pone in evidenza la necessità che la moratoria sull'aborto volontario si trasformi concretamente nell'opera di rimozione delle cause che lo permettono. Oggi, tra queste cause, la più rilevante non sembra essere quella economica, ma quella culturale, che ha portato al disimpegno della società, alla scomparsa della figura e della corresponsabilità paterna, che ha accettato una linea di indifferenza che di fatto conduce alla solitudine esistenziale delle madri che decidono di abortire".

"Con la Ru486 la donna è abbandonata a sè stessa, e privata anche della mera opportunità di una fase di prevenzione-dissuasione". Lo afferma, in una nota, il sottosegretario dell'Interno Alfredo Mantovano. "Ciò che turba di più nella decisione dell'Aifa - prosegue Mantovano - non è soltanto la circostanza, in sè grave, di commercializzare in Italia la Ru486 nel disprezzo del Parlamento, che da tempo, con numerose interrogazioni, ha chiesto approfondimenti scientifici in materia".

L'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII si dichiara in lutto per l'approvazione della pillola abortiva. ''Sempre più assistiamo infatti a induzione e costrizione nelle mamme che incontriamo in procinto di abortire. Ne è la prova anche il numero sempre maggiore di extracomunitarie che abortiscono, in percentuale molto superiore alle italiane''. "Come Comunità - è la conclusione - vigileremo ora perché nessuna casa farmaceutica accetti di distribuire questo prodotto agli ospedali''.

Il via libera dell'Aifa "è un gravissimo errore, che strizza l'occhio alla cultura della morte". Lo ha dichiarato Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia. "L'Italia ha una legge, la 194, e ritengo che, anzichè cercare strade alternative o scorciatoie per l'aborto, sia necessario applicare pienamente questa legge, soprattutto sul fronte della prevenzione dell'aborto".

Uomini e tristezza - 15 - Debbie esulta perché l'ammazzano.

Noi crediamo che si possa arrivare a dire e a desiderare di morire in questo modo solo per una profonda tristezza e solitudine che albergano nel cuore.

Da Il Corriere della Sera del 30 Luglio 2009.

Gran Bretagna, Debbie ha vinto: il marito potrà aiutarla a morire I Law Lords le danno ragione: «Servono regole su chi accompagna i malati all'estero per il suicido assistito» LONDRA - Debbie Purdy ha vinto la sua lunga battaglia legale: potrà sottoporsi al suicidio assistito in Svizzera accompagnata dal marito. La donna, una 46enne di Bradford che ha contratto la sclerosi multipla nel 1995, si era rivolta ai Law Lords, la massima istanza giudiziaria del Regno Unito, affinchè facessero chiarezza sulla posizione legale di chi accompagna un malato terminale all'estero per l'eutanasia. In Inghilterra e in Galles aiutare o incoraggiare qualcuno a uccidersi è infatti un reato punibile con la reclusione fino a 14 anni: accompagnare all'estero una persona affetta da malattie terminali affinchè possa sottoporsi a suicidio assistito è dunque un crimine. Per questo la Purdy chiedeva che la legge a riguardo fosse chiarita e chiedeva anche maggiori garanzie per l'immunità del marito, Omar Puente, un violinista cubano. Annunciando il loro verdetto alla Camera dei Lord, i cinque Law Lords, con una decisione che potrebbe dare inizio a una fondamentale revisione delle leggi britanniche sull'eutanasia, hanno sì ribadito che una nuova legge in materia è compito del Parlamento, ma hanno chiesto a Keir Starmer, il Director of Public Prosecution - ovvero il magistrato incaricato di determinare i cambiamenti nei procedimenti legali - di presentare delle linee guida specifiche su come procedere in casi come questo, identificando chiaramente quali sono i fattori e le circostanze che verrebbero presi in considerazione nel decidere se perseguire penalmente oppure no un individuo che ha accompagnato un malato all'estero per l'eutanasia. «SONO AL SETTIMO CIELO» - Non solo. I Law Lord hanno poi stabilito che in base all'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani la Purdy ha diritto di decidere come morire. E questo rappresenta una seconda vittoria per la donna. «Sono al settimo cielo - è stata la reazione della 46enne -, mi sento come se mi avessero graziata. Voglio vivere a pieno la mia vita, ma non voglio soffrire in maniera inutile alla fine di essa. Il verdetto significa che io potrò scegliere, insieme a Omar, se lui verrà con me all'estero quando vorrò porre fine alla mia vita, perché ora sappiamo quale è la nostra posizione legale». Debbie Purdy, malata da 14 anni, non è in grado di camminare e sta gradualmente perdendo l'uso della parte superiore del corpo. La donna aveva dichiarato che se non fosse riuscita a ottenere garanzie riguardo alla sorte del marito non le sarebbe restato altra scelta se non quella di recarsi da sola nella clinica svizzera Dignitas, mentre riesce ancora a muoversi, ponendo fine alla sua vita prima di quando vorrebbe.

Le domande e le risposte sulla pillola abortiva - da Avvenire

LA SCHEDA

Cos’è la Ru486?
È un prodotto chimico a base di mifepristone, un potente antiormonale che interrompe l’annidamento dell’embrione nell’utero e provoca l’aborto. Prima che nel 1980 l'endocrinologo francese Étienne-Émile Baulieu la trasformasse in un abortivo, la Ru486 (fino ad allora nota come Ru38486) veniva utilizzata nei laboratori nel corso di esperimenti sui topi: si trattava di una medicina capace di arrestare il funzionamento della ghiandola surrenale. Fu allora che, per la prima volta, ci si rese conto che le femmine di topo gravide abortivano e qualcuno si chiese se non si poteva utilizzare la proprietà abortiva della molecola cambiandole il nome.

Qual è la differenza rispetto alla pillola del giorno dopo?
Anche la cosiddetta pillola del giorno dopo è un preparato che impedisce all’embrione umano di impiantarsi nell’utero. Ma mentre questa deve essere presa entro e non oltre 72 ore dal rapporto sessuale fecondante, la Ru486 può essere presa fino al 49esimo giorno dall’ultimo ciclo mestruale.

Come si usa?
La Ru486 viene presa per via orale. Tre giorni dopo la donna deve assumere un’altra sostanza chiamata misoprostol, che provoca le contrazioni necessarie per espellere l’embrione. Dopo dieci giorni è necessaria un’ultima visita di controllo.

Che cos'è la «seconda pillola»?
Il protocollo Ru486 prevede l'assunzione di due pillole, a distanza di due giorni l'una dall'altra. La seconda, che dovrebbe indurre l'espulsione dell'embrione e che è in commercio col nome di Cytotec, non è mai stata registrata e testata come un abortivo.

Qual è il tasso di efficacia?
Nel 5% dei casi si rende necessario ugualmente un aborto chirurgico. In alcune casistiche la percentuale sale all’8%. A Cuba il tasso di fallimenti è arrivato fino al 16%.

È compatibile con la legge 194?
Per la legge 194 la gestante deve rivolgersi a un consultorio, o a una struttura sociosanitaria abilitata, per svolgere i necessari accertamenti medici (mentre i medici devono aiutarla a rimuovere le cause che la spingono all’aborto). Un tale percorso, con una pausa di riflessione richiesta alla donna di 7 giorni, è difficilmente compatibile con l’uso della Ru486, che prevede tempi molto ristretti.

Il farmaco ha delle complicazioni?
Sono moltissimi gli "incidenti" legati alla Ru486 segnalati dalle varie autorità sanitarie internazionali(emorragie, infezioni, eventi trombotici). I dati più allarmanti sono però quelli relativi al decesso delle donne che l'hanno assunta. A oggi sono 29 quelle morte dopo aver assunto Ru486: sono decedute, in larga parte, a causa dell'infezione da batterio Clostridium Sordellii: un batterio che non causa febbre, e perciò è difficilmente individuabile. Il dato, d'altronde, è stato confermato nel 2005 dall'autorevole rivista New England Medical Journal: l'aborto chimico provoca una mortalità dieci volte maggiore di quello chirurgico. Lo stesso dato peraltro è stato riportato dall'Aifa nel bollettino pubblicato l'anno scorso sul farmaco.

Tutti i rischi ammessi da chi la produce - da Avvenire

IL DOSSIER

La notizia era trapelata alla fine di giugno: un dossier dettagliato sulla pillola abortiva era stato inviato al ministero della Salute dall'azienda produttrice della Ru486, la francese Exelgyn, e da questo «girato» per competenza all'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per una valutazione tecnico-scientifica.

E da quanto era stato rivelato da alcune agenzie di stampa, nel dossier per la prima volta si ammettevano 29 morti dall'uso della pillola abortiva, anche se non in tutti i casi l'utilizzo del farmaco era finalizzato all'interruzione di gravidanza, ma anche per un «uso compassionevole». Il che apre ancora più ampi dubbi sulla decisione del cda dell'Aifa. Infatti la massima trasparenza nella valutazione dei dati era stata invocata dal sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, per rispondere con criteri di oggettività scientifica ai dubbi che la pillola abortiva continua a sollevare. Ma evidentemente questo, alla fine, non è stato fatto.

Dell'azione della Ru486, Avvenire è stato tra i più assidui a parlare per pretendere che le notizie sulle morti e sugli eventi indesiderati fossero resi noti e analizzati per una valutazione il più possibile obiettiva del farmaco. Soprattutto dopo che un editoriale del «New England Journal of Medicine» di quattro anni or sono aveva rivelato che, pur nella differenza di numeri assoluti, la mortalità in seguito all'aborto medico (o chimico) è dieci volte più alta di quella per aborto chirurgico, a dispetto della «favola» che vuole far credere più facile e moderno il ricorso al farmaco per l'interruzione di gravidanza.

Il dossier dell'azienda produttrice, pur non ammettendo legami diretti tra l'assunzione della Ru486 e i decessi, comunica che non sono solo 16 (o 17 come già segnalato da Avvenire nei mesi scorsi) i casi di morte per l'uso del mifepristone, bensì 29 nel periodo compreso tra il 28 dicembre 1988 e il 28 febbraio 2009. Ai quali andrebbero però aggiunti due decessi avvenuti solo dopo l'assunzione del secondo farmaco (il misoprostolo) che però è indispensabile al completamento della procedura abortiva, ma che l'azienda produttrice non ha mai indicato per uso abortivo.

Non solo morti però, emergono tra gli effetti avversi. Il caso più grave – pubblicato su «Obstetrics and Gynecology» – è relativo a una donna alla quale, dopo un aborto chimico con la Ru486, è andata incontro a un'infezione da Streptococco che ha reso necessario amputarle la gamba sotto il ginocchio. Del resto molti dei casi di morte sono stati attribuiti all'azione di un raro batterio (Clostridium Sordelli), che si è presentato in misura straordinariamente frequente dopo l'uso del mifepristone.

Va ricordato che, per la sua azione sugli ormoni, il mifepristone è da tempo indicato per la cura del morbo di Cushing, ed è stato anche sperimentato (come testimoniato da pubblicazioni scientifiche) nella terapia antidepressiva. E che il secondo farmaco, il misoprostolo, è un antiulcera: la stessa casa produttrice lo ha sconsigliato per uso abortivo in tutto il mondo e in Italia dovrebbe essere utilizzato «off label».

La Chiesa su RU486 - Da Avvenire

Monsignor Sgreccia: «Un veleno, non un farmaco»

E Fisichella: «Aggrava l'emergenza educativa»

Monsignor Elio Sgreccia, emerito presidente dell'Accademia per la vita, sulla Ru486 e la decisione dell'Aifa di permetterne l'uso anche in Italia ha auspicato "un intervento da parte del governo e dei ministri competenti". Perché - spiega - non "è un farmaco, ma un veleno letale" che mina anche la vita delle madri, come dimostrano i 29 casi di decesso. La Ru486 - ha continuato mons. Sgreccia - è uguale, come la Chiesa dice da tempo, all'aborto chirurgico: un "delitto e peccato in senso morale e giuridico" e quindi comporta la scomunica latae sententiae, ovvero automatica.

Nel caso della "Ru486 - ha ribadito mons. Sgreccia - si tratta sempre di una seconda corsia per praticare l'aborto di cui non ci sarebbe bisogno a quanto riconoscono in tanti, anche non cattolici". "Gli aborti - ha aggiunto - sono già troppi mentre i figli sono pochi e la pillola abortiva grava non solo sulla salute delle donne ma sull'intera società e il suo sviluppo". Eppoi - ha aggiunto - "contrariamente a quello che si dice non riduce affatto né il dolore né la sofferenza per la donna così come non è vero che non ci sia rischio di vita", "come dimostrano già le 29 vittime attestate".

Fisichella: «È sempre aborto». Sulla stessa linea monsignor Rino Fisichella, presidente della pontificia Accademia per la vita: "No alla pillola Ru486 perché è oggettivamente un male - ha spiegato - e per non incorrere negli effetti collaterali del farmaco: nel mondo sono morte diverse donne". L'arcivescovo ha ribadito la contrarietà della Chiesa alla pillola Ru486, ricordando che per il Vaticano "la soppressione dell'embrione di fatto è la soppressione di una vita umana: che ha dignità e valore dal concepimento alla fine. E il fatto che assumere una pillola possa essere meno traumatico per una donna non cambia la sostanza, sempre aborto è".

Si tratta a tutti gli effetti, osserva, "di una tecnica abortiva" e quindi "è ovvio che le conseguenze canoniche siano le stesse previste per l'aborto chirurgico", ovvero la scomunica automatica. Contro l'aborto, sostiene l'arcivescovo, è necessario "formare la coscienza delle persone, aiutare l'educazione dei giovani, collaborare con la famiglia, la scuola e le istituzioni affinché le nuove generazioni comprendano il valore fondamentale della vita e quindi il valore dell'affettività, della sessualità e dell'amore nel loro giusto contesto, e non come un capriccio".

La posizione della Cei. Un chiaro no alla pillola abortiva era stato ribadito con forza anche dai vescovi nel Consiglio episcopale permanente del gennaio scorso, quando il tema fu sollevato dal presidente, card. Angelo Bagnasco, proprio in apertura dei lavori: "si è avuta notizia in queste settimane che sarebbe imminente il via libera alla circolazione della pillola Ru486" aveva detto il cardinale chiedendo ai responsabili politici di valutare bene anche i "danni" fisici, ormai "documentati", derivanti dall'assunzione di tale farmaco.

Mons. Rino Fisichella e la RU486


Qui e qui sopra l'intervista del Corriere della Sera a mons. Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia pro Vita.

Cossiga e la RU486


Qui e qui sopra in formato jpeg l'intervista al presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga sulla questione della RU486.

Uomini e tristezza - 14 - RU 486

Continua:

Romano Prodi, Livia Turco (la pensata di farla arrivare in Italia è stata di quel governo, bravissimi!).

RU486 - La favola del lupo mammano - da Il Foglio

La favola del lupo mammano

Leggere attentamente questo foglio illustrativo, la RU486 è un business ad alto tasso di antifemminismo letale

Dal Foglio del 31 dicembre 2008

Diffidare, diffidare, diffidare degli uomini che si proclamano alleati del femminismo. Anzi, delle “femministe”. Tanto più se si chiamano Emile-Etienne Baulieu e sono gli inventori della pillola abortiva Ru486. Sul Foglio del 19 dicembre Annalena Benini aveva raccontato lo scienziato francese tombeur de femmes, oggi preso dall’idea della conquista farmacologica dell’eterna giovinezza, dopo aver firmato negli anni Ottanta la formula dell’aborto chimico fai-da-te. Che il professore, ottantadue anni, continui a meritare la fama di tombeur de femmes, si capisce anche dall’intervista che gli ha dedicato la Repubblica qualche giorno dopo, introdotta da un baciamano alla cronista. Per nulla insospettita, anzi ammirata, dai “pochissimi capelli bianchi” del luminare.

Ma la qualifica di tombeur de femmes si può attagliare a Baulieu anche in un altro e meno giocoso senso. Basta soffermarsi con un po’ di attenzione sulle circostanze dell’invenzione e della resistibile ascesa della Ru486. Una storia un po’ diversa da quella divulgata con accenti epici dal professore, zeppa di veti coraggiosamente infranti, di libertà conquistate, di rivoluzione per le donne di tutto il mondo, che con la Ru486 possono finalmente “scegliere” di abortire nella più perfetta privacy, a Parigi come a Pechino, a Bangalore come a New York.
Non è precisamente così, ma il professor Baulieu ha comunque buoni motivi per rallegrarsi. La sua pillola l’ha fatta ingoiare a tutto il mondo, o quasi, nonostante qualche intoppo iniziale. Ma ora c’è chi vuole guastargli la festa, magari tirando fuori quelle noiose storie di donne morte per la Ru486 (almeno diciassette in occidente, mentre per Asia e Africa i dati non esistono, per definizione). C’è chi rivanga altre storie di donne che alla morte sono andate vicine, salvate per il rotto della cuffia, mezze dissanguate nel bagno di casa o devastate da dolori placati solo dalla morfina. Sono gli “effetti collaterali” dei famosi aborti in perfetta privacy. Ma Baulieu, l’amico delle femministe – che non risulta ne sappiano niente – ci manda a dire che è deluso dall’Italia, dove si vuole “riaprire un dibattito che altrove non esiste più da decenni”.

E’ vero, nulla è più temibile del dibattito – inteso come studio, valutazione e verifica dei fatti e dei dati – per il mito dell’aborto facile. E, a proposito di femminismo, il professore dimentica che furono proprio tre esponenti del movimento delle donne, docenti al Massachusetts Institute of Technology (Renate Klein, Lynette Dumble e Janice Raymond) a descrivere, nel 1991 – molto prima che la Ru486 sbarcasse negli Stati Uniti – la realtà nascosta dietro la leggenda dell’aborto amichevole. Renate Klein, in particolare, che oggi insegna a Canberra, non ha mai abbandonato il fronte anti Ru486, ed essere una convinta pro choice non le ha impedito di combattere lungamente contro l’introduzione dell’aborto chimico in Australia. Battaglia persa, in teoria: il mifepristone (principio attivo della pillola abortiva) è diventato legale nel 2006, dopo un lungo e laborioso confronto che ha coinvolto politica, associazioni, Parlamento. Ma proprio quel dibattito così vasto ha impedito, a tutt’oggi, che si trovasse una sola compagnia farmaceutica disposta a importare e a distribuire la Ru486. Bisogna ricordarsi sempre che la pillola abortiva teme moltissimo l’attenzione e la vigilanza sui suoi effetti indesiderati.
Sono dunque Klein, Dumble e Raymond (nel libro “Ru486. Misconceptions, Myths and Morals”, 1991) a ricordare come già alla fine degli anni Settanta, quando i medici tedeschi cercarono di far approvare l’aborto con le prostaglandine come metodo per le prime settimane di gravidanza (le prostaglandine fanno tuttora parte del protocollo dell’aborto farmacologico con la Ru486: sono la fase due, quella che induce le contrazioni espulsive dell’embrione), ci fu un’insurrezione delle organizzazioni femministe tedesche e svizzere per la salute della donna. Unanimi nel bocciare quel primo, rudimentale e pericolosissimo sistema di aborto chimico.

Una cosa è certa: ci vuole una bella faccia tosta a definire il metodo con la Ru486 come più attento alla privacy, quando richiede dalle tre alle cinque visite in ospedale e in otto-dieci casi su cento (percentuale altissima) non funziona e ha bisogno del raschiamento dell’utero. Ci vuole pure molta faccia tosta a definirlo meno invasivo, quando si sa – se ne è accorta da poco perfino l’Unità, dopo anni di articoli che sostenevano il contrario – che i dolori sono molto più forti (spesso insopportabili) rispetto all’aspirazione o al metodo chirurgico, e quando è altrettanto noto che la donna, dopo la prima pillola di mifepristone e a volte anche dopo quella di prostaglandine, non sa quando l’embrione sarà espulso: se a casa, in ufficio o per strada, se subito, dopo pochi giorni, dopo settimane o mai. Ci vuole moltissima faccia tosta, infine, a parlare della Ru486 come metodo sicuro, viste le conseguenze mortali su almeno diciassette donne occidentali giovani e sane, oltre che in grado di ricevere agevolmente assistenza ospedaliera: rivelatasi inutile, perché nella maggior parte dei casi a ucciderle ci ha pensato un batterio letale e invincibile, il Clostridium sordellii, che a quanto pare ama sinistramente la Ru486.
La verità è che l’aborto farmacologico si è affermato solo dove trovava il favore e l’appoggio dichiarato dei governi e delle corporazioni mediche, disposti a passar sopra a tutto. E, per promuoverlo, non si sono mai scomodate le femministe, in nessuna parte del mondo. Si sono invece molto scomodati un ministro della Sanità francese, il socialista Claude Evin, il presidente americano Bill Clinton, l’intera nomenclatura delle organizzazioni Onu che si occupano di pianificazione familiare. Bandiera sotto la quale Emile-Etienne Baulieu, come rievocano Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella nel loro libro inchiesta sulla Ru486 (“La favola dell’aborto facile”, da cui sono tratte molte delle informazioni contenute in questo articolo), ha sempre militato con entusiasmo.
Giovane endocrinologo di belle speranze e di illustri natali – suo padre, omonimo del politico francese Léon Blum, era stato il primo a trattare il diabete con l’insulina – il giovane Emile-Etienne, diventato Baulieu durante la guerra per sfuggire ai nazisti, fu arruolato alla fine degli anni Sessanta in un network che si occupava di controllo della fertilità. Grazie ai buoni uffici del suo mentore Gregory Pincus, l’inventore della pillola anticoncezionale, per Baulieu arrivarono cospicui finanziamenti, che nel 1970 gli permisero di individuare il recettore del progesterone, l’ormone necessario alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’embrione nell’utero.

Il passo successivo (la sintesi del mifepristone, indicato con il codice Ru38486 poi abbreviato Ru486, cioè della sostanza che blocca la produzione di progesterone e causa la lenta morte in pancia dell’embrione) tocca, dieci anni dopo, al chimico George Teutsch, direttore di ricerca della casa farmaceutica francese Roussel Uclaf. La versione ufficiale è che, mentre si faceva ricerca su un inibitore del cortisolo, casualmente si scoprì che la molecola individuata funzionava anche contro l’ormone della gravidanza. Baulieu, in un sussulto di narcisistica sincerità, ha però voluto in seguito rivendicare la primogenitura: fu lui a suggerire la via della ricerca sull’antiprogesterone come abortivo chimico, anche se la cosa dovette essere mascherata per non incorrere nella censura dei dirigenti della Roussel Uclaf.
I primi test vanno male. Anzi, malissimo, perché da solo il mifepristone fallisce in una percentuale di casi che va dal 54 a 90 per cento, e bisogna troppo spesso ricorrere alla revisione chirurgica dell’utero. Poi, con l’aggiunta della seconda pillola o applicazione vaginale di prostaglandina, nel 1985, si raggiunge una cifra ufficiale (parliamo sempre di piccoli gruppi di donne-cavia) del 94 per cento di “successi”. Abbastanza per convincere la Francia, nel 1987, a avviare l’iter di riconoscimento della Ru486 come sistema abortivo, dopo una sperimentazione più larga. Così, dal primo maggio del 1988 al 30 settembre del 1989, 16.369 donne tra gli undici (avete letto bene, undici) e i quarantotto anni furono ritenute idonee all’aborto chimico. Il tasso finale di efficacia (95,3 per cento dei casi, in ogni caso inferiore al 99 per cento degli altri sistemi) non teneva troppo conto dei molti contrattempi del genere prima descritto (vomito incoercibile, emorragie gravi che almeno per undici donne hanno richiesto trasfusioni, tre collassi, un infarto, perdite ematiche durate fino a due mesi) né della percentuale di donne che ha comunque voluto, dopo l’assunzione delle pillole, l’aborto chirurgico.

La decisione era già stata presa: la Ru486 doveva diventare un’alternativa autorizzata, diffusa e praticabile. Solleva i medici e le strutture opedaliere e consegna la donna alla sua solitaria responsabilità. Peggio per lei se qualcosa va storto. Per gli stessi motivi, la vogliono fortemente anche le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni non governative da esse sostenute. Non è un caso, se a firmare il primo studio scientifico che sdogana l’aborto chimico c’è anche Claude J. Aguillaume, componente del comitato scientifico della Planned Parenthood Federation americana, la più grande Ong che opera nel settore della “salute riproduttiva” e tra i principali partner dell’Unpfa, l’agenzia Onu per la popolazione (anche se meglio sarebbe dire “contro la popolazione”).
Finora, come si vede, di sommosse femministe in favore della Ru486 non se ne registrano. Si registra invece, nel fatale 1989, il nulla osta del ministero della Sanità francese alla distribuzione del prodotto. Ma la Roussel Uclaf fa subito marcia indietro, non solo a causa delle proteste dei pro life. L’azionista di maggioranza della casa farmaceutica è infatti la tedesca Hoechst, per nulla entusiasta all’idea di essere associata all’abortivo chimico. Come scrivono Morresi e Roccella, “la Hoechst ha un motivo storico di imbarazzo sulle questioni etiche: è nata dalla soppressione della I.G. Farben, nota per aver brevettato e prodotto lo Zyklon B, il gas dei campi di sterminio definito il pesticida umano”.
La Roussel Uclaf decide quindi di sospendere la distribuzione del mifepristone. Il 26 ottobre, quando la notizia si diffonde, diecimila fra medici e ricercatori sono riuniti a Rio de Janeiro per un congresso mondiale di ginecologia e ostetricia. C’è pure Baulieu, che sale subito sulle barricate in difesa della sua mostruosa creatura. Duemila medici sottoscrivono la sua petizione in favore della Ru486, e dopo due giorni Claude Evin, ministro della Sanità nel governo Rocard, convoca i vertici della Roussel Uclaf – che appartiene per il 36 per cento allo stato francese – per farli tornare indietro. In quell’occasione, Evin pronuncia una frase degna del più ributtante cinismo politico: “La Ru486 è diventata proprietà morale delle donne”. Lo garantisce il governo francese, che salva la Ru486 con un vero colpo di mano. Come avrebbe in seguito riconosciuto lo stesso Baulieu, Evin doveva in teoria ottenere anche l’approvazione del ministero dell’Industria e affidare la decisione finale a una commissione.
Non sarà così, e la Ru486 sarà rimessa in commercio seduta stante, nella soddisfazione generale: della Roussel Uclaf, rassicurata dalla granitica sponsorizzazione governativa; e del governo-azionista della Ru486, pronto a tutto per promuoverla. E’ anche per questo che la Francia, in occidente, detiene il record mondiale (circa il trenta per cento) degli aborti fatti con la Ru486, che altrove continua a essere poco usata, anche se autorizzata. Il vero business, però, è nei paesi terzi, soprattutto l’India, dove la pillola abortiva non ha restrizioni.

Da allora in poi, la formula sarà sempre la stessa. L’azienda produttrice del mifepristone, che attraverso vari passaggi diventerà l’attuale Exelgyn, non chiederà mai, in nessun paese, la registrazione diretta del prodotto. Saranno invece i governi – nel 1991 quello britannico, nel 1992 quello svedese – a chiedere all’azienda di commercializzare la Ru486 nei rispettivi paesi. Tant’è che in qualche caso, quando la casa farmaceutica non considererà attendibili le garanzie governative – in Cina, per esempio – sarà lei a negare la commercializzazione. La pillola abortiva in Cina è poi arrivata nel 1992, prodotta da aziende locali e direttamente venduta in farmacia. Ma nel 2001 la vendita libera è stata bloccata, e ora la Ru486 si può usare solo in ospedale. Un mistero, in un paese che fa dell’aborto una bandiera e una priorità politica, anche per garantire l’obbligo del figlio unico, e non va troppo per il sottile. Un mistero che può essere interpretato come la conseguenza di un disastro sanitario, di una strage di donne di cui mai sapremo l’entità.
Ed è stata proprio la certezza che l’aborto farmacologico si sarebbe prestato a terribili abusi nei paesi terzi, un elemento decisivo che, fin dall’inizio, ha provocato l’ostilità del movimento femminista contro la Ru486, come testimonia la posizione espressa dal sesto Congresso internazionale per la salute della donna (Filippine, 1990).

Fin da subito apparve chiaro che le condizioni minime di sicurezza per poter abortire con la Ru486 – il suo uso è sconsigliato a chi non abbia un telefono e un mezzo di trasporto, o viva a più di due ore di distanza da un pronto soccorso: è forte il rischio di emorragie, che possono diventare fatali in una situazione di isolamento – non sono certo diffuse tra le donne dei paesi poveri, alle quali invece la Ru486 viene largamente proposta come sistema per abortire. Inutile dire che indagini epidemiologiche da quelle parti non se ne fanno. Qualcuno ha provato a protestare, come il medico indiano S.G. Kabra, che nel 2004 ha rivolto una petizione alle autorità del Rajasthan, nella quale si segnalavano numerose morti di donne che avevano usato la Ru486. Ma tutto poi si inabissa nel silenzio e nella più tragica routine. Alla regola aurea della Ru486 – promossa dai governi o niente – non ha fatto eccezione l’America. Con qualche pittoresco particolare in più, rivelato dopo che la Judicial Watch, un’organizzazione indipendente che si batte per la trasparenza degli atti politici, nel 2006 ha acquisito, grazie al Freedom of Information Act, la documentazione sulle pressioni esercitate dall’Amministrazione Clinton in favore della pillola abortiva, la cui importazione era stata inizialmente bloccata nel 1989 da Bush padre. Quando l’Amministrazione cambia, nel 1993, al terzo giorno dall’insediamento Bill Clinton – praticamente sarà il suo primo atto da presidente – dispone che “negli Stati Uniti si proceda con i test, la licenza e la fabbricazione del mifepristone”. La Roussel Uclaf aveva però forti resistenze a introdurre la pillola abortiva sul mercato americano. A terrorizzarla erano la frequenza delle cause legali in materia sanitaria e la mole dei risarcimenti chiesti alle industrie produttrici, come ammise lo stesso presidente della Roussel, Edouard Sakiz, in un memorandum inviato alla Casa Bianca nel 1993: “Se il governo vuole commercializzare la Ru486 negli Usa, deve essere disposto a compensare la Roussel Uclaf per qualunque danno che la compagnia possa subire dal consenso fornito alla richiesta del governo degli Stati Uniti”.
Clinton quelle garanzie non poteva darle, ma l’aborto era stato un suo cavallo di battaglia elettorale e la Ru486 doveva arrivare in America, a tutti i costi. Convinse così la Roussel Uclaf a regalare il brevetto della Ru486 (cosa che la metteva definitivamente l’azienda al riparo da eventuali cause) al potente Population Council, l’ente non-profit fondato da Rockefeller per promuovere le campagne di controllo demografico nel mondo. Il quale affiderà la produzione della pillola alla Danco (secondo il Washington Post “una delle compagnie più enigmatiche dell’industria farmaceutica”, con sede alle Cayman e partecipazioni della Packard Foundation e di George Soros). La Ru486 deve però ancora avere all’approvazione della Fda, l’ente di controllo sui farmaci, che nonostante la potenza di fuoco messa in campo dal presidente americano, per quattro anni traccheggerà. David Kessler, il commissario della Fda che si occupa della questione, manifesta anzi, in uno dei vari memorandum indirizzati alla Casa Bianca, l’insofferenza per le pressioni subite: “La Fda non può ulteriormente perseguire questo obiettivo senza compromettere il suo ruolo, che è quello di esaminare con obiettività la sicurezza e l’efficacia del farmaco”. Il via libera arriverà comunque nel 2000, e la storia delle anomalie che hanno portato a quell’esito è ancora, in larga parte, da chiarire. Una per tutte: il mifepristone in America fu registato con la procedura dei farmaci salvavita. Come quelli anticancro, o contro l’Aids e la lebbra, per i quali si consente la commercializzazione, anche in presenza di rischiosi e pesanti effetti collaterali, per mancanza di alternative. Ad accentuare il macabro paradosso della Ru486 trattata come farmaco salvavita, c’è il fatto che alcune delle prime morti accertate di donne per aborto chimico, sono emerse proprio negli Stati Uniti (la prima in assoluto fu la francese Nadine Walkowiak, trentunenne, nel 1991).
Di tutto questo è fatta la storia della Ru486 e del suo inventore, uno dei tanti lupi travestiti da nonna di cui è popolata la favola della “salute riproduttiva”. Il corollario italiano è noto. Per avviare la procedura di mutuo riconoscimento europeo, basata su dossier ormai obsoleti, la Exelgyn ci ha pensato molto a lungo e alla fine ha preso il treno, quando era ormai in partenza, del solito governo bendisposto, quello di Romano Prodi premier e di Livia Turco ministro della Salute. L’Aifa ha potuto avviare la pratica, destinata ad approvazione automatica dopo il parere scientifico positivo. Ma la Ru486 deve ancora vedersela con la 194. Per questo pensiamo che il professor Emile-Etienne Baulieu, in molti sensi impenitente tombeur de femmes, faccia bene a preoccuparsi. E’ vero, qui qualcuno vuole ancora discutere della sua pillola, invece di mandarla giù senza fiatare.


© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
di Nicoletta Tiliacos

Uomini e tristezza - 13 - RU486

Continua:

Viale, Della Vedova, Marino, Franco...


Uomini e tristezza - 12 - RU486

Oggi l'elenco e' lunghissimo: AIFA, AIED, Beaulieu, Bissoni, Pecorelli, Saccani Jotti, De Vincenti, chi fabbrica questa schifosa pasticca, chi la commercializza, chi l'ha proposta in Italia, chi pontifica dicendo che finalmente siamo europei...

Tristissimi!

RU486, la pillola pesticida - di Giuliano Ferrara (da Il Foglio)

Ieri un comitato di tecnici e burocrati che si occupa di farmaci, l'Aifa, ha autorizzato l'impiego su larga scala anche in Italia della pillola abortiva o kill pill Ru486. Creata negli anni Ottanta in Francia da un medico, Etienne-Emile Beaulieu, incline a una visione spiccatamente commerciale ed eticamente indifferente della ricerca e del progresso farmacologico, la kill pill è il tradimento definitivo della promessa di diritto e libertà fatta alle donne quando, trent'anni fa, la possibilità di abortire in strutture pubbliche, a certe precise condizioni e in un certo contesto di prevenzione e di "tutela della maternità", divenne legge (194/1978). Il prezzemolo moderno funziona così: un funzionario del sistema clinico, ché la parola medico è deviante e stupidamente nobilitante, ti dà in ospedale, se con il tempo e con l'uso non te lo passi addirittura la farmacia, un veleno antifeto che, molte settimane dopo il concepimento, puoi ingerire per espellere il bambino "indesiderato" che hai in corpo a casa tua, con dolore e rischi per la salute, nella più disperata e indifferente delle solitudini, tirando lo sciacquone.

Si realizza così, mentre qualche resipiscenza aveva convinto pochi giorni fa il Parlamento ad approvare un invito alla moratoria degli aborti forzati che costano la vita a centinaia di milioni di bambine in Asia, uno tra i più diabolici progetti di cancellazione etica del giusto e del decente, dell'umano e del razionale, che si siano conosciuti fino ad ora in occidente. Anche l'Italia si allineerebbe, se una estrema luce intellettuale e morale non incendi la mente di chi ha la responsabilità di decidere, al novero dei paesi civili in cui abortire è una procedura privata, un diritto di privacy da esercitare senza remore, senza problemi, senza percepire la differenza tra una scelta di vita e una scelta di morte. La pillola costa 14 euri, è alla portata di tutte le borse, e la minimizzazione dei suoi rischi clinici, ché quelli di cultura e di senso sono evidenti e irrimediabili, farà in modo che si diffonda adeguatamente. Perché sia compiuta l'opera di scristianizzazione dell'amore, in nome della compassione sentimentale e della solidarietà di genere verso le donne, ovviamente; perché si realizzi la riduzione della vita umana a cosa, che è il vero progetto antropologico del mondo tecnico post umano che ha preso il comando del nostro modo di vita almeno dalla seconda metà del secolo scorso.

Dovrebbe scaturire, da questa brutta faccenda, una rivolta politica, morale e religiosa. Dovrebbero farsi sentire ministri, primi ministri, sottosegretari, presidenti di Regione, deputati e senatori che già hanno sottoscritto questa battaglia contro l'ultimo ritrovato di una cultura pestifera. La classe dirigente e i pastori delle chiese cristiane, in primo piano la cattolica, dovrebbero uscire dal mutismo o dal balbettamento, evitare un inutile confronto sui dettagli e andare al cuore della questione. L'introduzione della kill pill in Italia contraddice in modo evidente la 194, la legge che rendeva possibile l'aborto solo e soltanto nelle strutture pubbliche e a condizioni incompatibili con la solitudine e il simbolismo solitario e indifferente che l'uso della Ru486 implica necessariamente.

I signori vescovi e cardinali, eventualmente tentati dalla disattenzione, dovrebbero tenere conto del fatto che sono le pillole a fare la storia delle relazioni umane e della stessa spiritualità, come dimostra la vicenda dell'Humanae vitae, l'enciclica antipillola che fu al centro della rivolta e del principio di dissoluzione dell'autorevolezza del magistero papale, ricostruito con mille difficoltà negli ultimi trent'anni da due grandi papi. I politici che hanno una nozione rigorosa e seria della vita umana e del suo maltrattamento sistematico, laici o cattolici che essi siano, dovrebbero insorgere e battersi con ogni mezzo per impedire che questo "pesticida umano", la definizione è del grande genetista Jérôme Lejeune, ottenga l'autorizzazione per espletare il suo destino e il suo compito: uccidere.

Inviato da iPhone

Hanno legalizzato la kill pill, la RU486

Da Il Foglio

Il consiglio d'amministrazione dell'Aifa, Agenzia italiana del farmaco, ha dato l'ok ieri sera alla commercializzazione in Italia della pillola abortivaRu486, già disponibile in molti altri paesi, di cui 11 europei, e utilizzata nel nostro paese in via sperimentale in alcune strutture ospedaliere. Il via libera è stato a maggioranza, con quattro voti favorevoli e uno contrario fra i membri del Cda dell'Aifa. La Ru486 potrà essere utilizzata soltanto in ambito ospedaliero, secondo quanto prescrive la legge 194 per cui l'interruzione di gravidanza può essere fatta in Italia soltanto in ospedale o strutture convenzionate. Il componente del Cda Giovanni Bissoni, anche assessore alla Sanità dell'Emilia Romagna, ha precisato che "è stato raccomandato di utilizzare il farmaco entro il 49esimo giorno, cioè entro la settima settimana" in modo che gli eventuali effetti collaterali siano pari ai rischi derivanti dall'intervento chirurgico.

Durissima la posizione espressa subito dopo la decisione dell'Aifa da Luca Volontè dell'Udc, che ha parlato di pillola assassina. "Con la commercializzazione della pillola assassina trionfa la cultura della morte. Altro che 'estremamente sicura': laRu486 non è un'aspirina per il mal di testa. Bene ha detto Monsignor Sgreccia: ricorrendo all'aborto chimico, donne e ragazze italiane che vogliono evitare una gravidanza indesiderata non faranno altro che uccidere di sicuro una vita umana mettendo in pericolo anche la propria". Così Volontè in una nota. "Mentre i decessi - ha proseguito il deputato - per l'assunzione della 'kill pill' sono accertate, le proprietà del farmaco restano ancora avvolte nel mistero. La mancata pubblicazione del dossier da parte della Exelgyn è un occultamento della verità scientifica che aggrava la totale mancanza di trasparenza nell`operazione messa a segno oggi. Chiediamo ora al governo - ha concluso - di intraprendere tutte le iniziative di sua competenza sia per garantire il rispetto della legge 194 che la più completa informazione possibile sulle conseguenze che la pillola assassina può provocare".


"La decisione dell'AIFA di registrare l'RU486 in Italia ci allinea con i paesi europei, recuperando un ritardo che ha penalizzato le donne italiane, precludendo loro una valida alternativa all'intervento chirurgico, peraltro riconosciuta sicura dall'OMS e praticata in Europa e negli USA secondo rigorosi protocolli prescritti dalla comunita' scientifica internazionale". L'Aied, l'Associazione italiana per l'educazione demografica, commenta cosi' la deliberazione del CdA dell'AIFA, sottolineando "la correttezza e l'equilibrio di un organismo scientifico che e' al di sopra delle parti e che ha preso una decisione con pieno senso di responsabilita' scientifica, in base ai dati oggettivi e alle valutazioni epidemiologiche oggi largamente a disposizione della comunita' medica internazionale, senza lasciarsi influenzare da fattori esterni e da pressioni ideologiche, che con la scienza nulla hanno a che fare".

Inviato da iPhone

giovedì 30 luglio 2009

India, ucciso un prete cattolico



Un sacerdote cattolico di rito siro-malabarese, p. James Mukalel, è stato trovato ucciso e denudato sulla strada del villaggio di Thottathady (Karnataka, India del sud). Raggiunto telefonicamente dall'agenzia AsiaNews, del Pontificio Istituto Missioni Estere, il vescovo di Belthangady, mons. Lawrence Mukkuzhy, non azzarda nessuna ipotesi sulle ragioni dell'assassinio anche se esclude si sia trattato di una rapina, mentre il cancelliere della diocesi, p.Tomy Mattom, parla esplicitamente di «una esecuzione sistematica».

Secondo una prima ricostruzione, P. James, 39 anni, ha trovato la morte mentre tornava alla sua parrocchia, dopo aver officiato ad un funerale nel villaggio di Thottathady. Il suo corpo denudato è stato trovato a un lato della strada, vicino alla sua motocicletta.

Il corpo dell'ucciso non presenta alcuna ferita e che vi sono segni che fanno pensare che il sacerdote è stato soffocato. P. James era originario della diocesi di Tellichery e aveva accettato di lavorare in quella di Belthangady.

Rassegna stampa - 30 Luglio 2009

30 Luglio 2009 - CorrieredellaSera
Aborto
Interventi in calo. E' scontro sulla Ru486 342 KB

30 Luglio 2009 - Avvenire
Ru486
Oggi (forse) giorno decisivo 98 KB

30 Luglio 2009 - Riformista
Scaraffia: Una donna che allatta mette in allarme 134 KB

02 Agosto 2009 - FamigliaCristiana
Alcol e giovani. Risè: è l'unica strada da seguire 160 KB

mercoledì 29 luglio 2009

Il nostro Paolo Gulisano su IlSussidiario.net

Cercare la bellezza e trovare la verità, il ritratto di Oscar Wilde

"La Chiesa non ha mai condannato Oscar Wilde né mai lo ha ostracizzato. Fu l’Inghilterra, che ora glielo rinfaccia, a farlo".

INTERVISTA A Paolo Gulisano

mercoledì 29 luglio 2009

L’arte per l’arte, la vita dissoluta e l’esistenza decadente, il fine eloquio, il dandismo e l’amoralità, l’omosessualità e l’Inghilterra vittoriana; o ancora le commedie, le poesie, gli aforismi e i paradossi, il genio e il talento, i viaggi e la prigionia. Uno pensa ad Oscar Wilde e crede che l’accozzaglia di reminescenze liceali sia sufficiente a rendergli giustizia. Che basti ricordare il titolo di qualche sua opera, alcune note biografiche, e del personaggio si sappia a sufficienza. In fondo, al di là del folklore suscitato dalla sua eccentricità, pare ci sia ben poco da dire. Tutto ciò che si sa di lui, in effetti, è vero. Ma si tratta di particolari. Innumerevoli e (più o meno) esatti. Che pur sempre particolari rimangono. E per questo non ne afferrano l’intima immagine. Quella di un spirito dotato di straordinaria sensibilità e di uno sguardo sulla cose realista, pungente e profondo. Wilde si interpellava sulle questioni ultime, spesso con irriverenza e fare beffardo. E anche nelle opere più leggere, in quelle che - all’apparenza - scrisse solo per divertire, questi interrogativi emergono. «Per tutta la vita cercò la Bellezza e ?nì per incontrare la Verità», sintetizza Paolo Gulisano, autore de Il Ritratto di Oscar Wilde, riferendosi all’«abisso dove incontrò definitivamente Dio». Del «mistero non ancora pienamente svelato» dell’artista, Gulisano ne parla con il Sussidiario.

Lei ha scritto una biografia su Oscar Wilde. Non ce n’erano abbastanza?

Per la verità il panorama italiano è piuttosto sprovvisto di testi su di lui. E quel poco che c’è offre una visione parziale. Per farmi un’idea precisa mi sono avvalso di testi inglesi, in particolare di una biografia monumentale scritta da Richard Elman (Oscar Wilde) e di un’altra, di Joseph Pearce (The Unmasking of Oscar Wilde). Ho voluto fornire un quadro completo, a partire da quell’accento religioso e da quella tensione ideale che ho riscontrato in quasi tutte le sue opere e nella sua esistenza. Wilde inseguì Dio per tutta la vita, ma nessuno lo dice. Mi sono sentito in dovere farlo, semplicemente raccontando i fatti.

Il titolo del suo libro ammicca ad Il Ritratto di Dorian Gray. Anche questo romanzo c’è una tensione ideale?

Il protagonista stipula una sorta di patto faustiano. Lui rimane giovane e bello, mentre ad ogni azione malvagia che compie il suo ritratto imbruttisce. Ma alla fine, non riuscendo a reggere il peso delle sue malefatte, pugnala il quadro, in un eccesso di follia. Dorian sarà trovato a terra, morto, brutto, vecchio e avvizzito. È una sorta di parabola etica: Dorian aveva tentato di nascondere il proprio male, tacitare la voce della coscienza e censurare il peccato. Ma alla fine tutto è venuto a galla. L’idea del romanzo venne in mente a Wilde un anno prima della pubblicazione quando, nel 1888, Londra era stata sconvolta dagli omicidi di Jack lo squartatore. Si pensava che questi fossero opera di un personaggio altolocato, il che indusse l’artista a riflettere sul problema del male. Non a caso il romanzo, all’epoca, suscitò parecchio scalpore: sconcertava che un lord - Dorian - potesse essere capace di azioni ignominiose. Wilde volle sottolineare che non esiste bellezza senza verità.

E nel Fantasma di Canterville, di cui lei parla nel libro? Anche qui c’è una tensione ideale?

Basta leggerlo. Parla di Sir Simon de Canterville, relegato nella condizione di fantasma per aver peccato di uxoricidio. Triste e avvilito perché non riesce più a spaventare nessuno, chiede a Virginia, la figlioletta degli americani trasferitisi nella sua dimora inglese, di fare qualcosa per lui. Sa che non si può salvare da solo. La bambina si rivolge a Dio, pregandolo di perdonare il fantasma. Sir Simon trova così finalmente pace, morendo definitivamente. Non credo sia necessario fare particolari forzature per trovare nel racconto tracce della dottrina cattolica classica, che chiede di pregare per salvare le anime del purgatorio. Basta non fermarsi alla superficialità della vulgata e in ogni sua opera si notano questi cenni di verità, questa tensione religiosa che culminò con la conversione al Cattolicesimo, a Parigi, sul letto di morte.

Dopo che L’Osservatore Romano ha recensito positivamente il suo libro, la stampa inglese – in particolare il Times, il Daily Telegraph, il Daily Mail e l’Indipendent – ha accusato lei e il Vaticano di voler fare di Oscar Wilde una sorta di cattolico a posteriori. È così?

Non ho voluto piantare alcuna bandiera ma esporre la verità sul personaggio. E a costoro rispondo: informatevi sulla sua vita! Per dirne qualcuna, Oscar Wilde - oltre ad essere il re dei salotti londinesi - era solito trascorre ore a conversare con i padri gesuiti. Quando era universitario, poi, fu sul punto di battezzarsi. Il padre, noto oftalmologo dell’epoca, nonché massone ed anti-cattolico, glielo proibì, minacciando di tagliargli i viveri. Nel 1877, inoltre, incontrò in segreto Pio IX , che ammirava fortemente e per il quale nutriva profondo rispetto – e all’epoca non era certo di moda stimare Pio IX -, tanto che, a quanti gli chiedevano della sua fede, rispondeva: «Non sono cattolico, sono papista». Molti dei suoi più fedeli amici si erano convertiti. Alcuni erano diventati preti o monaci. In carcere, infine, le sue letture furono Dante, Sant’Agostino e Newman. Ultimo, piccolo particolare: la Chiesa non ha mai condannato Oscar Wilde né mai lo ha ostracizzato. Fu l’Inghilterra, che ora glielo rinfaccia, a farlo.

Un’immagine piuttosto lontana dal dandy frivolo e vanitoso, che non si cura di nulla, salvo che dell’esteriore apparire

Che Wilde avesse un ideale estetico è vero. Ma definirlo unicamente in questi termini è riduttivo. Lui si rifaceva ai modelli ellenisti. Viveva nella Londra post-rivoluzione industriale, un’epoca di brutture, nella quale predicava il ritorno al bello. In tutte le sue opere riecheggia questo desiderio, talvolta in maniera barocca. Bisogna ammettere che il suo estetismo lo portò ad accettare l’amore omofilo. Che lui intendeva, tuttavia, secondo canoni tipicamente riconducibili alla Grecia antica.

Appunto. Oggi Oscar Wilde viene considerato un’icona gay…

Non si può dire che fosse omosessuale tout-court. Ebbe diverse fidanzate. La prima delle quali gli fu “vampirizzata” dal suo caro amico Bram Stoker. Si sposò, in seguito, con Constance Lioyd, dalla quale ebbe due bambine. A loro regalò due fiabe, tra le più belle mai scritte. La sua era un’omosessualità circostanziale. Era circondato da adulatori. Il fatto è che era affettivamente moralmente disordinato, debole, “goloso”, incontinente. Voleva provare tutto, senza negarsi nulla. Ma in carcere ammise che se il padre non gli avesse impedito di convertirsi, avrebbe avuto gli strumenti per vincere la tentazione. C’è un altro aspetto della sua vita, in genere omesso.

A quale si riferisce?

Con la moglie mantenne sempre un rapporto di tenerissimo amore. Nonostante gli amici continuassero a suggerirglielo, non volle mai divorziare. Lei fu tra le poche persone che andarono a trovarlo in carcere. Durante la prigionia del marito, Costance dovette trasferirsi. L’Inghilterra ipocrita e bigotta di allora non le avrebbe reso la vita facile. Andò a vivere a Bogliasco. E quando Oscar uscì, per prima cosa corse da lei. Ma mentre Wilde era in viaggio, Constance dovette sottoporsi ad un’operazione chirurgica alla schiena, al San Martino di Genova. Non fece in tempo a raggiungerla che, a Santa Margherita Ligure, gli comunicarono la sua morte.

Perché finì in carcere?

Sir Alfred Douglas, il discepolo-amante, odiava profondamente il padre, John Sholto Douglas, che a sua volta disprezzava Wilde. Quando Oscar ricevette da John un bigliettino che lo definiva ruffiano e sodomita, fu convinto dal giovane Douglas a denunciarlo per diffamazione. Si sentiva forte. Ma il caso volle che l’avvocato di Douglas fosse Edward Carson. Si tratta di quel Carson, ferocemente anti-cattolico e anti-irlandese, che architettò la divisione dell’Irlanda in sei contee separate, tra i primi a diventare primo ministro dell’Irlanda del Nord. La fama di filo-cattolico di Wilde ai tempi era già diffusa ovunque. Carson ribaltò il processo, portando in tribunale dei giovani che praticavano la prostituzione. Non riuscì a strappare una condanna per omosessualità, ma grazie alla loro testimonianza, tutt’altro che attendibile, ottenne per Wilde due anni di carcere, per atti osceni.

Dove scrisse il De Profundis…

Una lunga lettera indirizzata a Douglas, nella quale rilegge la sua intera esistenza. E benché sia caduto in disgrazia, non maledice nulla di quanto gli sta accadendo. Medita sul dolore. E intuisce che questo non avrebbe alcun senso, se non fosse la via per la salvezza. Salvezza che lui identifica – lo afferma esplicitamente - in Cristo. Eppure lo aveva incontrato tante volte. Ma tutta la sua vita fu caratterizzata da quell’assenza. Non si può dire che Oscar Wilde fosse un uomo tormentato. Risolveva tutto con una battuta. In pubblico portava una maschera, del resto era molto bravo a mentire. Ma, come tutti i clown , era molto triste. Avvertiva la mancanza di qualcosa. La nostalgia di quello che aveva sempre rifiutato.

(Intervista raccolta da Paolo Nessi)

In Canada, liberi per non essere neutrali.

Consigliamo a tutti di leggere sul numero di Luglio-Agosto 2009 del mensile di Comunione e Liberazione, Tracce, l'articolo (non ancora disponibile on line) intitolato "Liberi di non essere neutrali" di John Zucchi.

Racconta del Canada e della nuova legge che impone al posto dell'insegnamento della religione nelle scuole una nuova materia, una sorta di etica di Stato, una cosa assurda e triste. Però Zucchi racconta del fatto che qualcuno non si è piegato e ha fatto ricorso.

L'Uomo Vivo è colui che non accetta di essere morto mentre è ancora vivo.

Dal dott. Carlo Bellieni - 9




LASTAMPA.it - HomeIl trionfo della bellezza amputata

Sarebbe davvero bello leggere più articoli così, se non fosse che poi i disabili sono troppo tenuti ai margini di tutto, sono abortiti prima di nascere... qualche giorno fa un bambino mio conoscente ha avuto un piccolo incidente e mentre lo portavano in ospedale gridava a squarciagola: "Se resto handicappato fatemi morire!". Dove l'avrà sentito? VI sembra la naturale reazione di un bambino di 10 anni ad una caduta?

File:Sisterskeeper.jpgMy Sister's Keeper

Vale la pena di vedere questo film, sulla storia di una bambina "su misura", concepita in vitro come donatrice di organi per la sorella malata. La bambina denuncia i genitori che la vogliono obbligare a cedere il rene alla sorella. Interessante visione, per entrare nella psicologia e nella tristezza di chi viene "programmato" a nascere non "per se", ma per uno scopo eterologo. Ne esce in questi giorni una nuova versione con Cameron Diaz, per la regia di Casevetes.

martedì 28 luglio 2009

Dal dott. Carlo Bellieni - 8

New York TimesScience Is in the Details

Obama chiama a capo dell'Istituto Superiore di Sanità Francis Collins, cristiano, che non trova nessuna contraddizione tra fede e scienza; e lo dice chiaramente. E il NYT fa commentare il fatto a Sam Harris, autore del libro "La fine della fede". Ne viene fuori cheparadossalmente tutte le critiche di Harris rafforzano la figura di Collins. Leggere l'articolo è un interessante esercizio.

Times OnlinePresident Sarkozy’s move to ‘abolish Sunday’ sparks hostility

Col motto "lavorare di più per guadagnare di più", Sarkozy vuole togliere le restrizioni all'apertura domenicale dei negozi. E fortunatamente ha trovato opposizioni non solo da parte della Chiesa, ma anche dei sindacati. Già, perché se il dio è il guadagno tutto è permesso, anche perdere i tradizionali momenti di ritrovo finesettimanali, o magari lasciar guadagnare solo chi può permetersi di lavorare ininterrottamente, a discapito dei piccoli esercizi. Ma il laicismo è così miope?

Census 2010 TopicsAn Aging World: 2008

E uscito in questi giorni il documento della commissione USA sull'invecchiamento globale. In Italia il 15% delle donne sopra i 65 anni non ha figli: chi le curerà? E' la prima volta al mondo che sta per avvenire che le persone sopra i 65 anni sono più di quelle sotto i 5. E se questo vale su scala mondiale, figuriamoci in Europa, dove figli non se ne fanno più. Già, perché mentre si discetta di fecondazione in vitro, la paura fobica di avere un ficlio (paura del cambiamento, paura della responsabilità) è diffusa e cronica. Si fa la fecondazione in vitro, ammettiamolo, perché spesso si aspetta troppoa fare un figlio e questo a una certa età non viene più; e si aspetta troppo per paura e per incomprensione che il figlio non toglie una vita felice, come invece tanti media insegnano. E non è vero che non si fanno più figli per via della povertà, altrimenti i ricchi ne avrebbero 50 a testa e i poveri zero,mentre è proprio il contrario.

Mezzo milione di cattolici vietnamiti sfilano per le strade contro le violenze della polizia

di J.B. An Dang

Cortei pacifici nelle province di Nghe An, Ha Tinh e Quang Binh. I manifestanti hanno protestato contro gli arresti e le violenze della polizia ai danni dei cattolici che, settimana scorsa, erano stati aggrediti dalle forze dell’ordine presso le rovine della chiesa di Tam Toa


Hanoi (AsiaNews) - Mezzo milione di cattolici vietnamiti sono scesi per le strade delle loro città per protestare contro le violenze compiute dalla polizia ai danni di centinaia di fedeli il 20 luglio, presso le rovine della chiesa di Tam Toa (vedi AsiaNews 21/07/09 - Percosse e arresti per sacerdoti e fedeli nella storica chiesa di Tam Toa).

La diocesi di Vinh, 300 km a sud di Hanoi, e altre limitrofe hanno organizzato 19 cortei, in altrettanti decanati, per chiedere l’immediato rilascio dei fedeli picchiati e arrestati delle forze dell’ordine a Tam Toa. Circa 170 sacerdoti e 420 religiose hanno guidato le manifestazioni di protesta pacifica che si sono svolte in contemporanea, nella mattina di ieri, in diverse località delle provincie di Nghe An, Ha Tinh e Quang Binh.

Gli organizzatori affermano che in alcuni luoghi ci sono stati scontri tra polizia e gruppi di manifestanti ai quali le forze dell’ordine avevano intimato di non scendere per le strade in corteo. Nonostante le minacce, i fedeli hanno comunque sfilato, dando vita ad una manifestazione che alcuni definiscono la più grande mai avvenuta nel Paese per motivi religiosi.

La vicenda di Tam Toa ed i cortei di domenica rinfocolano le tensioni tra il governo e la comunità cristiana vietnamita attorno alla disputa sulle proprietà della Chiesa confiscate da Hanoi. Nhan Dan, il giornale del partito comunista, ha lanciato una campagna contro i cattolici subito dopo le vicende di Tam Toa accusando i fedeli, che vi avevano eretto una croce ed un altare, di “attività contro-rivoluzionarie, disturbo dell’ordine pubblico e violenze contro pubblici ufficiali in servizio”

Il vescovo della diocesi di Vinh, sul cui terreno si trovano i resti della chiesa al centro della vicenda, ha messo in atto un braccio di ferro con le autorità di Quang Binh, competenti sul caso, accusandole di nascondere la verità e di violare la legge.

In una lettera inviata al governo locale, la Chiesa di Vinh chiede il rilascio dei cattolici arrestati a Tam Toa, le cure mediche dei feriti picchiati dalla polizia e la restituzione della croce e degli arredi liturgici portati dai fedeli sui resti della chiesa e confiscati dalla polizia dopo gli scontri.

I cortei di protesta silenziosa organizzati ieri hanno ribadito le richieste della diocesi di Vinh alle autorità. Ed anche le comunità di cattolici vietnamiti sparse per il mondo hanno espresso il loro sostegno alla manifestazione osservando un minuto si silenzio durante le messe della domenica.

lunedì 27 luglio 2009

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Dal Thalidomide a 'Don Giovanni', la vita eroica di Thomas Quasthoff



Segnalatoci da Alessandro Canelli (che ringraziamo), leggete questo articolo scritto da Alessio Altichieri sul suo blog sul Corriere.

Sono stato invitato al Festival di Verbier, la stagione estiva di musica che si tiene da 16 anni nella località montana del Vallese, in Svizzera, e, come accade a volte, purtroppo raramente, me ne sono tornato a valle con buona musica in testa e nuovi sentimenti in petto. Se è vero quanto insegnò mio padre a un adolescente scettico, che nelle chiese anche i non credenti possono trovare la pace per riflettere su se stessi, credo altrettanto vero che pure una sala da concerto, nel caso di Verbier un tendone eretto su un parcheggio in fondo al paese, prima delle abetaie, possa stimolare, senza confronti profani, nuovi appetiti della mente. Perché mai la musica dovrebbe essere cibo soltanto per le orecchie?

Si dava, ecco l'attrazione, un “Don Giovanni” in forma di concerto, con il grande basso-baritono gallese Bryn Terfel. Ora non pensate che io voglia usare Don Giovanni per rinfocolare scabrosi casi di cronaca politica italiana. Il personaggio di Mozart non è uno sporcaccione che cerca amore lascivo, ma un prometeo che s'immola per squarciare i confini del politically correct. Il catalogo che Leporello illustra alla disillusa Donna Elvira, “...ma in Ispagna son già mille e tre...”, è prova di furia rivoluzionaria e omicida. Tanto che l'opera s'apre con un delitto: mentre assale Donna Anna, per prenderla senza esserne riconosciuto, Don Giovanni è fermato da una voce di caverna, quella del Commendatore, che egli ucciderà senza nemmeno riflettere sull'enormità del gesto - toccherà al servo, vana saggezza, fargli l'inutile morale. Perciò immaginate lo sbalordimento nel vedere il Commendatore, che pure alla fine dovrà tornare come nemesi sotto forma di statua, un “colosso di sasso”, entrare in scena nei panni di un uomo alto appena un metro, quello che sulle prime sembra - ma non è - un nano da circo.

Ovvia premessa: scrivendo secoli prima di Freud, ma negli stessi luoghi, Mozart e Da Ponte plasmano Don Giovanni e Leporello come un Giano bifronte, uomo moderno a doppiofondo, tanto che padrone e servo vengono interpretati da due baritoni-bassi intercambiabili (memorabile come Herbert von Karajan usasse invertire i ruoli, ogni sera a Salisburgo, tra Samuel Ramey e Ferruccio Furlanetto). Qui a Verbier, di fronte allo strapotere vocale e istrionico di Terfel, toccava al tedesco René Pape, bravissimo e duttile, fare da cuscinetto. Ma c'è nell'opera, fosca come un incubo da cui non ci si può svegliare, una terza voce di basso-baritono, quella del Commendatore, che viene dall'oltretomba. Non so se sia stato il genio della regista Marthe Keller, che ha reso il concerto più espressivo di un'opera vera, oppure del caso, che opera meglio d'ogni intenzione, l'idea di usare la malformazione di Thomas Quasthoff per dare alienazione estrema alla statua parlante del Commendatore. Ma l'idea è stata folgorante.

Chi è Quasthoff? E' un figlio del Thalidomide, la maledetta medicina che veniva data alle donne in gravidanza, mezzo secolo fa, finché si scoprì che produceva bambini focomelici. Nel piccolo Thomas, nato a Hildesheim, in Germania, non si svilupparono le ossa delle gambe e delle braccia, così per colpa di quelle manine che sembrano spuntare dalle spalle, come tragiche pinne, non poté frequentare il Conservatorio di Hannover, visto che non poteva praticare lo studio obbligatorio del pianoforte. Ma Quasthoff è un grand'uomo, che non s'arrende: ha studiato canto privatamente, è diventato annunciatore alla radio, ha usato da doppiatore la sua bella voce. Noto già come basso negli anni '80, premiato e ripremiato, ha esordito all'opera nel 2003 come Fernando nel “Fidelio” di Beethoven, e non ha più lasciato la scena: l'inverno scorso, alla Scala, ha cantato lieder di Schubert, accompagnato da Daniel Barenboim. Certo, si prova imbarazzo a parlare di un cantante per le sue menomazioni, ma come negare il trauma, l'ammirazione, infine l'entusiasmo per la voce di Quasthoff sentita a Verbier, prima come vittima e giustiziere del libertino Don Giovanni, poi come maestro dello swing?

Perché l'indomani sera, dopo l'incantevole “Don Giovanni”, era in programma un concerto in cui veniva concessa al giovanissimo pianista cinese Lang Lang, di talento ma controverso, “carta bianca”. Lui, modesto, assieme al violino di Vadim Repin e al violoncello di Misha Maisky, ha riportato in scena il trio di baritoni Terfel-Pape-Quasthoff e lo ha accompagnato in una serie di melodie e canzoni popolari. Ci crederete? Malgrado la pastosa voce di Terfel, malgrado il fascino da chansonnier di Pape, è stato proprio lui, Quasthoff, il magnete della serata. Quando ha cantato “The Lady Is a Tramp” sembrava un Sinatra più appassionato di Sinatra, quando ha cantato “I've Grown Accustomed to Her Face” faceva risuonare Gershwin, più che Loewe, e quando con gli altri due ha concluso con “New York, New York” il compassato pubblico svizzero di musica da camera s'è entusiasmato come gente da Carnegie Hall. Così, è bastato solo un bis, “Danny Boy”, la ballata triste che dall'Irlanda ha conquistato l'America e il mondo, a bagnare gli occhi di lacrime. Chissà se di gioia o di commozione.

Ah, dimenticavo... Accennavo, all'inizio, ai nuovi sentimenti che la musica di Verbier mi aveva acceso nel petto. Credo che non sia più necessario spiegare, dopo avere raccontato la voce e la personalità di Thomas Quasthoff, un eroe della resistenza umana al destino, come io consideri quei sentimenti, benché inespressi, ovvii.

(Il Festival di Verbier, cominciato il 17 luglio, si concluderà il 2 agosto. Per informazioni, www.verbierfestival.com . Un'esecuzione di “Gute Nacht” di Franz Schubert da parte di Thomas Quasthoff, accompagnato al piano da Daniel Barenboim è ascoltabile su youtube. Un'esecuzione di “Danny Boy” cantata da Bryn Terfel all'Alan Titchmarsh Show è ascoltabile su youtube; il testo della ballata è disponibile su wikipedia . René Pape è membro di Facebook. Nelle immagini, dall'alto: Thomas Quasthoff e, di seguito, foto dello spettacolo di Mark Shapiro: Bryn Terfel (Don Giovanni) e Annette Dasch (Donna Elvira); René Pape (Leporello); Terfel e Quasthoff (il Commendatore); la regista Marthe Keller con Manfred Honeck, direttore della Verbier Festival Orchestra; Dasch con Michael Schade (Don Ottavio) e Anna Samuil (Donna Anna); Terfel, Quasthoff e Pape eseguono "New York, New York" nel concerto successivo).

Dal dott. Carlo Bellieni - 7

Click here to readAn offer you can't refuse? Ethical implications of non-invasive prenatal diagnosis.

Ora che è passata alla Camera l'idea che l'aborto non può essere imposto, iniziamo a domandarci quanta pressione psicologica sociale c'è rispetto alla diagnosi genetica prenatale. Molti studi sono chiari al riguardo: le donne sono spesso disinformate (per colpa della società che dovrebbe informarle) su scopi e limiti della diagnosi prenatale; quando vengono correttamente informate molte decidono di non farla. E allora perché invece si preme così tanto perché si faccia a tappeto? E perché tante che a parole non abortirebbero la fanno? E già si parla di una nuova eugenetica, come fa questo articolo dal significativo titolo: test prenatali sul DNA: speranze e preoccupazioni pubblicato dalla rivista dell'Associazione Medica Canadese (JAMC)

Un'originale lettura di una delle più seguite serie televisive si trova nel libro Dr. House md. Follia e fascino di un cult movie (Siena, Cantagalli, 2009, pagine 95, euro 9). Pubblichiamo quasi integralmente l'introduzione degli autori.

di Carlo Bellieni e Andrea Bechi

OSSERVATORE ROMANO, 11 LUGLIO 2009
E se il cinico Doctor House
in fondo fosse buono?

Quando vediamo il fornaio impastare il pane, sappiamo che saprà trarne una bella e gustosa rosetta o un ottimo sfilatino: è il suo mestiere, lavora da anni a questo e la sua bravura non ci lascia stupiti. Se però andiamo a casa di un amico e questi durante la cena ci spiega che il dolce che stiamo mangiando è frutto di un suo personale lavoro di cottura e impastatura, la cosa ci stupisce favorevolmente, perlomeno se il dolce è buono. Se poi il dolce è buonissimo e l'amico era uno che ritenevamo un fannullone, la questione ci incuriosisce e ci rallegra tantissimo.
Questo è il caso della serie televisiva "Dr. House md". È noto che dalla tv filtrano pochissimi segnali fuori dal coro del politically correct che strombazza e imprime nelle menti poca cultura e due soli "valori": l'autodeterminazione (che finisce col diventare solitudine) e il disimpegno. È anche vero che talvolta sono (...LEGGI TUTTO...)

domenica 26 luglio 2009

Il Papa parla di nonni ed educazione.

Oggi il Papa, che e' un grande, ha ricordato il tema dell'educazione e
l'importanza dei nonni in quest'opera.

Meno male che c'è il Papa.

Inviato da iPhone

sabato 25 luglio 2009

Papa: una società senza Dio non sa dove andare


Dio mostra che il vero potere non è nel denaro o nella forza militare, ma nella misericordia e nel perdono. E’ un Dio che è vicino, ha sollevato il velo sul suo volto, è stato capace di soffrire insieme con l’uomo, per opporre un fiume infinito di bene all’oceano di male che c’è nel mondo.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Dobbiamo trovare il modo di tornare a far conoscere Dio, “a farlo presente” alle persone, al mondo”, perché una società senza Dio “è senza bussola, non ha l’orientamento”. Bisogna far conoscere che il vero potere, quello dell’Onnnipotente, è il perdono e la misericordia, non quello per cui “Stalin chiedeva quante divisioni ha il Vaticano”. Della missione di far conoscere Dio e il suo potere ha parlato questa sera Benedetto XVI che si è recato ad Aosta per celebrare i Vespri in cattedrale.

E’ stata una delle pochissime apparizioni pubbliche di questo breve periodo di riposo che il Papa si è concesso tra i monti della Valle d’Aosta e dei quali è apparso godere. Malgrado l’incidente che gli ha procurato la frattura del polso destro, questa sera è apparso rilassato e sorridente e ha risposto volentieri ai saluti delle migliaia di persone che erano lungo il percorso della sua auto scoperta e in cattedrale. Uscendo dalla chiesa, Benedetto XVI ha anche scherzato su quanto gli è capitato: “Vorrei – ha detto alla folla che lo applaudiva - semplicemente dirvi grazie per la simpatia e per l'affetto che mi dimostrate. Vi auguro buone vacanze come io sono in vacanza, ma senza incidenti per voi”.

Nella sua omelia, Benedetto XVI è partito dall’affermazione che “nella mia recente enciclica ho cercato di dimostrare la priorità di Dio sia nella storia personale che nella storia della società e del mondo”. Certo, ha proseguito, la priorità personale “è fondamentale, se non è viva non è vissuta, tutte le altre non possono trovare la loro forma giusta”. “Questo vale per l’umanità: se Dio è assente manca la bussola per trovare la strada, l’orientamento”.

“Ma come farlo conoscere?”. Nelle visite ad limina, ha raccontato il Papa, in occasione di incontri con vescovi dell’Asia e dell’Africa si parla delle religioni tradizionali: “ci sono elementi comuni, tutti sanno che c’e Dio un solo Dio, gli dei non sono Dio”. “Ma nello stesso tempo questo Dio sembra assente, molto lontano, si nasconde, non conosciamo il suo volto e cosi le religioni si occupano dei poteri piu vicini: gli spiriti, gli antenati”.

“L’evangelizzazione consiste proprio nel fatto che il Dio lontano si avvicina veramente, si fa conoscere, si rivela, il velo sul volto scompare e Dio mostra il suo volto”, “è vicino, entra nel nostro mondo”, non bisogna piu “arrangiarsi” con i poteri intermedi, “perché Lui è il potere vero, è l’onnipotente”. Noi “ci sentiamo quasi minacciati dall’onnipotenza, sembra limitare la nostra libertà, limitare le nostre forze. Ma dobbiamo imparare che non dobbiamo temere perché Dio può tutto”, perché “egli è il bene, è l’amore, è la vera libertà e perciò tutto quanto fa non può mai essere in contrasto con il bene, l’amore, la vera libertà”. Egli anzi “è il custode della nostra libertà” non è “un occhio cattivo che ci sorveglia, ma dona la certezza che il bene c’è”, che c’è “l’amore che dà il bene di vivere a noi”.

Il Papa ha poi ricordato un’orazione romana che chiede a Dio di mostrare la sua onnipotenza nel perdonare e nella misericordia. “Il vertice della potenza di Dio è la misericordia, è il perdono”. Oggi pensiamo al potere come a qualcuno che dispone del potere del mercato, del potere militare che può minacciare”. “La domanda di Stalin su quante divisioni ha il Vaticano ancora caratterizza la visione del potere”. “Ma la rivelazione ci dice che non è così, il vero potere è il potere di grazia e misericordia e qui Dio mostra il vero potere”.

Dio poi “ha sofferto” e “nel Figlio soffre con noi” e questo è l’ultimo apice del suo potere, che è capace di soffrire con noi e così dimostra il vero potere di Dio, nelle nostre sofferenze non siamo mai lasciati soli”. “Tuttavia rimane una questione difficile, perché era necessario soffrire per salvare il mondo”. La risposta di Benedetto XVI è che “nel mondo esiste un oceano di male, un oceano di ingiustizia, di odio, di violenza. Le tante vittime hanno diritto che sia creata giustizia, Dio non può ignorare il grido dei sofferenti che sono oppressi”. E poiché “perdonare non è ignorare, ma trasformare, Dio deve entrare e opporre all’oceano di di male uno piu grande”, un “fiume infinito” di bene, “sempre più grande di tutte le ingiustizie del mondo, un fiume di bontà, di verità, di amore”. “Cosi Dio traforma il nosto mondo” perché “ci sia un fume di bene più grande di tutto il male che può esistere”. Da qui viene un “invito a tutti noi, a uscire dall’oceano del male ed entrare nel fiume del suo amore”.

E’ una domanda che interroga anche i sacerdoti. “Come sacerdoti, abbiamo la funzione di consacrare il mondo, perché diventi ostia vivente, diventi liturgia, il cosmo diventi ostia vivente”. “Pregiamo perché Dio ci aiuti ad essere sacerdoti in questo senso”, “che a ns vita parli di Dio che sia veramente liturgia, annuncio di Dio e realmente dono di noi stessi a Dio”