giovedì 30 aprile 2009

Katyn, un film da non perdere - Giuseppe Brienza: un film per la “purificazione della memoria”

Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo quest'articolo sul film Katyn, che comparirà nel prossimo numero di Radici Cristiane, mensile di informazione e cultura

Katyn è una località della foresta bielorussa che ha visto, durante la primavera del 1940, circa 22.000 polacchi, tra ufficiali, soldati e gente comune, prigionieri dei sovietici, uccisi con un colpo alla nuca dalla polizia politica di Stalin (Nkvd). Con due anni di ritardo, nel silenzio quasi totale dei media, è uscito finalmente anche in Italia un film che ne racconta la vicenda.
Una pagina tragica di storia
Giusto settant’anni fa’, nel settembre del 1939, la Polonia subisce una doppia invasione, dalla Germania nazionalsocialista a ovest, dalla Russia sovietica ad est, a seguito delle clausole segrete del patto Hitler-Stalin, passato alla storia “politicamente corretta” come patto Ribbentrop-Molotov dal nome dei due rispettivi ministri degli esteri. Il 17 settembre, l’Armata Rossa, con il pretesto di “soccorrere i fratelli di sangue ucraini e bielorussi” minacciati dalla “disgregazione dello Stato polacco”, invade quindi la Polonia, annettendo all’Urss circa 180.000 kilometri quadrati di territorio, abitati da 12 milioni di ucraini e bielorussi ma anche da polacchi. Di questi ultimi viene effettuata immediatamente una “pulizia etnica”, con la deportazione di oltre 230.000 prigionieri di guerra e 380.000 civili.
Se i nazionalsocialisti deportano nei campi di concentramento i professori universitari, Stalin e i suoi affidano all’Armata Rossa il compito di sterminare militari e poliziotti (quasi tutti gli ufficiali dell’Esercito, provenienti dalla società civile, ma anche oltre 200.000 soldati di leva), in modo da poter agevolmente controllare il Paese in futuro. Oltre 15.000 ufficiali, più qualche migliaio di soldati semplici e civili, furono quindi deportati e uccisi uno ad uno a Katyn, con un massacro realizzato freddamente che, per decenni, grazie ad un’abile propaganda ed una sistematica opera di cancellazione della memoria, “scaricato” sul Terzo Reich. La verità è stata resa pubblica solo nel 1989, dopo la caduta dell’Urss e l’apertura degli archivi segreti voluta dal presidente Eltsin anche se, come ha dichiarato in un’intervista Andrzej Wajda, il regista di Katyn, film che con quasi due anni di ritardo da febbraio è finalmente disponibile in Italia, «In realtà in Polonia tutti sapevano che i colpevoli erano i russi […] così Katyn nella nostra storia rimaneva una ferita aperta [anche se] sulla vicenda c’era come un blocco: mentre tutti gli altri episodi drammatici della Seconda guerra mondiale avevano trovato qualcuno che ne facesse materia di qualche racconto, su Katyn non c’era nulla» (cit. in ROBERTO PERSICO-ANNALIA GUGLIELMI, Il caso Wajda. Il maestro censurato, in Tempi, n. 9, Milano 23 Febbraio 2009, pp. 12-16).
Il coraggio di Wajda
Con Katyn (Polonia, 2007, colore, 117’) il polacco 83enne Wajda, autore di oltre trenta film fra cui L’uomo di marmo, L’uomo di ferro, Danton e Tatarak (quest’ultimo ha vinto il premio speciale della giuria al festival del cinema di Berlino 2009), descrive quindi con sequenze forti e ritmo incalzante una tragedia che ha segnato indelebilmente il suo Paese, seguendo la vicenda di alcuni ufficiali polacchi (tra cui suo padre) e delle loro famiglie che, inconsapevoli di quanto accaduto nella foresta bielorussa, attendono disperatamente il ritorno dei propri cari. Così ad esempio vediamo Anna, moglie di Andrzej, capitano dell’8° reggimento dell’Esercito polacco che, con la figlia Nika, aspettano con sempre minor speranza di rivederlo. Dopo la fine della guerra, quando la verità inizia ad emergere – e la tesi della strage tedesca si dimostra falsa – superstiti e parenti devono decidere se proclamare la verità, pagando con la vita, o preferire il doloroso silenzio, per sopravvivere ed aspettare “tempi migliori” in cui cercare di ricostruire dalle macerie un popolo e la sua memoria storica.
Ancora esiste la censura comunista in Italia
Il film, che in Polonia ha avuto oltre tre milioni di spettatori, nel nostro Paese è stato finora programmato solo in pochissime sale cinematografiche e, in città come Milano, si sono dovute muovere associazioni come il “Centro Culturale di Milano” e “Sentieri del Cinema” nonché la rivista “Tempi” per trovare una sala disposta alla sua proiezione, che è avvenuta nel marzo scorso alla presenza del Console Generale della Repubblica di Polonia Krzysztof Strzalka e del corrispondente da Mosca per Avvenire Luigi Geninazzi. Anche la televisione di Stato polacca ha contribuito a “boicottare” il film se, come ha denunciato Wajda, titolare dei diritti per la distribuzione all’estero, «non ha fatto nulla perché il film avesse una circolazione dignitosa: lo ritengono un film scomodo e non hanno voluto spingerlo. Pensi che nel rapporto della Televisione Polacca sulla società New Media Distribution, l’azienda che deve distribuire il film contemporaneamente sia in Russia sia negli Stati Uniti, ho visto una nota a margine scritta a mano che informa che “l’iniziativa potrà fallire per ragioni politiche”. Tanti infatti hanno interesse a che il film non venga proiettato, e in molti paesi ci sono distributori che lo hanno acquistato per non farlo vedere. Viene mostrato solo in circuiti ristretti, nei cinema d’essai o in rassegne per un pubblico selezionato. Così si fa in modo che non incida, che non abbia un vero rilievo nella mentalità comune».
Sarebbe quindi opportuno che Katyn, che fra l’altro un anno fa è stato candidato all’Oscar per il miglior film straniero, almeno da noi sia richiesto da associazioni, docenti o genitori per farlo vedere nelle scuole secondarie come esercizio di “purificazione della memoria” e lezione morale. Lezione e testimonianza offerte da un popolo orgoglioso delle proprie radici e da onorare anche per il suo esercito fatto di uomini che, come documenta efficacemente Wajda, andando incontro ad una tremenda morte, recitano fiduciosi il Padre Nostro affidandosi alla sola loro Speranza di salvezza.

Giuseppe Brienza

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