venerdì 31 ottobre 2008

Un aforisma al giorno - 80

"Come tutti i profeti sani di mente, sacri e profani, posso fare delle profezie solo quando sono infuriato".

G. K. Chesterton, Utopia degli usurai.

L'elenco delle cose salvate dal naufragio di Robinson Crusoe


L'isola dove verosimilmente soggiornò Alexander Selkirk, il naufrago che ispirò racconto di Daniel Defoe.

Riportiamo questa notizia per il suo nesso che ha con Chesterton.
Ricordate Ortodossia, in cui Chesterton dice che la parte più bella del romanzo Robinson Crusoe era l'elenco delle cose salvate dal naufragio? Ecco, questa sarebbe l'isola interessata.
E' una scusa per ricorda quel bellissimo passaggio di Ortodossia, una sorta di manifesto del Chesterton - pensiero.
Anzi, lo riportiamo:

(...) Il libro "Robinson Crusoe" (...) deve la sua perenne vitalità al fatto che esso celebra la poesia dei limiti o meglio ancora il romanzo stravagante della prudenza. Crusoe è un uomo sopra un piccolo scoglio con poca roba strappata al mare: la parte più bella del libro è la lista degli oggetti salvati dal naufragio. La più grande poesia è un inventario. Ogni utensile da cucina diviene ideale perché Crusoe avrebbe potuto lasciarlo cadere nel mare. E' un buon esercizio nelle ore vuote o cattive del giorno stare a guardare qualche cosa, il secchio del carbone o la cassetta dei libri, e pensare quanta sarebbe stata la felicità d'averlo salvato e portato fuori del vascello sommerso sull'isolotto solitario. Ma un migliore esercizio ancora è quello di rammentare come tutte le cose sono sfuggite per un capello alla perdizione: tutto è stato salvato da un naufragio. Ogni uomo ha avuto una orribile avventura: è sfuggito alla sorte di essere un parto misterioso e prematuro come quegli infanti che non vedono la luce. Sentivo parlare, quand'ero ragazzo, di uomini di genio rientrati o mancati; sentivo spesso ripetere che più d'uno era un grande "Avrebbe-potuto-essere". Per me, un fatto più solido e sensazionale è che il primo che passa è un grande "Avrebbe-potuto-non-essere".


(da G. K. Chesterton, Ortodossia, Morcelliana, Brescia)

Da Il Corriere della Sera del 31 Ottobre 2008.

Nella stesura del celebre romanzo d'avventura The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe lo scrittore londinese Daniel Defoe si ispirò alla storia vera di Alexander Selkirk, naufragato su una delle isole dell'arcipelago Juan Fernandez, al largo delle coste del Cile, nel lontano 1704. Come vuole il racconto, il marinaio scozzese fu salvato dopo più di 4 anni trascorsi in solitudine ad Agua Buena (poi battezzata Isola Robinson Crusoe), ma solo oggi il mondo ha finalmente a disposizione prove concrete a testimonianza dell'effettiva presenza di Selkirk sull'isola.

LA SCOPERTA - Un articolo pubblicato sulla rivista Post-Medieval Archaeology spiega infatti che degli scavi archelologici sull'isola hanno riportato alla luce i segni di un accampamento di quello che si ritiene fosse un occupante europeo. Come riferisce Science Daily, fra le prove più eloquenti vi sarebbe una coppia di compassi nautici, il che si accorda con il racconto fornito da colui che ha riportato al mondo il vero Robinson Crusoe (il capitano Woodes Rogers) in merito a ciò che Selkirk aveva con sé al momento del salvataggio, nel 1709.


VITA DA CRUSOE - Il ritrovamento ha inoltre permesso di comprendere come il naufrago abbia potuto sopravvivere sull'isola. In particolare, l'articolo riferisce che Selkirk aveva costruito due ripari nei pressi di un ruscello e che da lì aveva accesso a un punto panoramico dal quale tenere sotto controllo la riva e il mare. Il tutto va quindi ad arricchire il resoconto stilato successivamente al ritrovamento del marinaio, dove si dice che lo scozzese avesse con sé anche una Bibbia e che il periodo trascorso in solitudine ad Agua Buena sia stato per lui più beato e pacifico di qualsiasi altro momento della sua vita.

Alessandra Carboni
30 ottobre 2008

Cacciari è contro Halloween

Da Il Corriere del 31 Ottobre 2008

Il primo cittadino veneziano: di Halloween non mi piace l’aspetto tenebroso, demoniaco, mortuario


Massimo Cacciari (Colombo) ROMA - «Festeggiare Halloween a Venezia? Non se ne parla proprio. Roba da Disneyland. O da Peschiera del Garda, lì dove c’è Gardaland. Noi abbiamo il Carnevale più bello, intelligente ed elegante del mondo. Perché mai dovremmo concedere spazio a qualcosa che non c’entra niente, dico niente, con le tradizioni italiane?». Massimo Cacciari non è uomo da mezzi toni, si è visto sabato scorso con la manifestazione del Pd contro il governo Berlusconi («non ho alcun interesse a parlarne, mi importa come si organizzerà il Pd, non certo un corteo...»). Figuriamoci se può usare giri di parole per la festa più a m a t a d a i bambini italiani.

Perché no a Halloween, professor Cacciari? «Semplicemente perché non possiede alcun collegamento con la cultura italiana, con le vere feste delle nostre radici. Certo, mi sembra che la potenza mediatica americana riesca a imporre benissimo nel resto del mondo anche un appuntamento come Halloween. Viene da dire: è la globalizzazione, amico mio. Ma noi possiamo ribattere: l’Italia è la patria di una meravigliosa tradizione come il Carnevale. Venezia dal ’400 vanta il più straordinario appuntamento carnevalesco dell’intera Europa, imitato con fatica in tutto il mondo. E quindi possiamo permetterci il lusso di dire no a Halloween, nella nostra città non si festeggia, grazie mille... ».

Il filosofo sindaco di Venezia se la prende anche con altre festività da calendario: «Halloween alla fine è una delle tante feste finte, fintissime, inventate a puri scopi commerciali. Basta guardare le vetrine piene di oggetti tutti uguali per Halloween. Mi viene in mente la festa della mamma, del papà, dei nonni, e chi più ne ha più ne metta. Roba che fino a qualche decennio fa non esisteva ed è stata imposta artificialmente solo per far soldi». Cosa non le piace, a parte l’aspetto commerciale, della festa delle Streghe? «L’aspetto tenebroso, demoniaco, mortuario, quasi di decomposizione... Qui c’è il teschio, non il puer aeternus, allegro e sorridente, che è il simbolo del Carnevale». Cacciari ammette che se comincia a parlare di Carnevale non la smette più: «La festa affonda le sue radici addirittura in un’era pre-romana. Il suo significato è legato al cambio dell’anno, alla trasgressione nel senso più puro del termine, cioè del procedere verso il nuovo.... Lì è tutta la sua bellezza. Persino la parola è di origine incerta. Forse è Carnem-Vale, addio alla carne per la Quaresima. O potrebbe essere Carro-navale, perché nell’antica Roma Iside si presentava a bordo di un mezzo del genere».

Come sarà il Carnevale veneziano 2009, sindaco? «Nulla di imposto dall’alto, molti elementi popolari e autogestiti, sempre in collaborazione con la Fenice, il Teatro Stabile, la Biennale. Penso soprattutto al Carnevale per i bambini, che quest’anno avrà un grande spazio».

(...)

E i giovani legati a Halloween? «Io sono convinto che molti ragazzi potranno facilmente capire l’immensa differenza che esiste tra un "qualsiasi" Halloween e l’irripetibile Carnevale veneziano. Quando sento che qui in Italia si scimmiottano le streghette americane mentre a New Orleans o in Sud America impazziscono per cercare di imitare il modello veneziano divento matto...».

Paolo Conti
31 ottobre 2008

giovedì 30 ottobre 2008

LA SCUOLA NELLA BUFERA - Famiglie nei guai se chiudono le paritarie

In molte zone sono l’unica realtà educativa

Da Avvenire del 30 Otobre 2008

DA MILANO ENRICO LENZI
Con il taglio di 133 milioni di euro alle scuole paritarie, per i piccoli della monosezione della materna di Vione, in Alta Vallecamonica nel Bresciano, potrebbe aprirsi la via del pen­dolarismo verso Temù, Comune a una decina di chilometri da Ponte di Legno. Un viaggio di parecchi chilometri lungo la tortuosa via che risale la Valleca monica. E la stessa sorte potrebbe capi tare ai loro amici di Marmertino in Val Trompia, che avreb bero come meta Ta­vernole sul Mella, scendendo di oltre 400 metri di altitudine. Ma lo scenario montano po­trebbe ripetersi tranquillamente anche nella pianura dove si trova la materna di Martignana vicino Empoli: anche in questo caso la chiusura dell’attività costringerebbe le famiglie o a rinunciare al servizio o a trasportare i propri figli in altri Comuni. Già, perché in molti centri abitati di piccole dimensioni la materna paritaria è l’unico centro educativo presente e non ha alternative.
Sono soltanto tre delle centinaia di esempi che si potrebbero fare. Sono scuole, ma anche volti, storie, famiglie reali, che rischiano di veder sparire un servizio pubblico oggi garantito anche dalle ottomila materne aderenti alla Federazione scuole materne di ispirazione cristiana (Fism) e alle centinaia di scuole elementari che aderiscono alla Fidae, la Federazione che riunisce le scuole cattoliche dalle elementari alle superiori. «Troppo spesso pensiamo alle grandi città – sottolinea Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism –, dove l’alternativa di un’altra scuola esiste. Ma le nostre materne sono spesso sorte là dove lo Stato non ha un proprio istituto scolastico e dove magari il Comune, viste le proprie finanze, preferisce sostenere con un piccolo contributo la nostra scuola paritaria», il tutto in un’ottica non solo di sana sussidiarietà, ma anche nel principio sancito con la legge 62 del 2000, quella nota come legge sulla parità, in cui si parla di un unico sistema scolastico pubblico, a cui partecipano scuole di diversi gestori, compreso lo Stato. «E non dimentichiamo – rivendica Morgano – che il sostegno degli Enti locali nasce anche dall’apprezzamento della qualità delle nostre scuole». Un principio importante che riceve, però, dallo Stato solo 534 milioni di euro, che la Finanziaria 2009 potrebbe ri durre di un quarto. Legittimo allora domandarsi cosa accadrà alle sezioni delle materne di Trecchina, Senise, Maratea, Castelluccio Superiore, Oppido Lucano, o San Costantino Albanese in provincia di Potenza, ma anche a quelle di Bagnoli di Sopra o Rio di Ponte San Nicolò nel Padovano. O, per restare nel Nord-Est, la «San Giovanni Bosco» di Piano di Riva vicino ad Ariano Polesine, o la «San Gottardo » di Bagnolo di Po, entrambi Comune in provincia di Rovigo, dove sono presenti soltanto le sezioni di scuola materna paritaria della Fism.
«Ma anche nelle grandi città – aggiunge don Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae – le nostre scuole sono spesso sorte e sono ancora presenti nei quartieri periferici o popolari dei capoluoghi». Ora arriva «questo taglio indiscriminato e grande nelle proporzioni, visto il no stro punto di partenza, che è fermo da ben sei anni» ricorda il presidente Fidae. Insomma una decisione che fanno apparire lontane le parole pronunciate dal presidente Napolitano all’apertura dell’anno scolastico, quando, rammenta don Macrì, «ha auspicato che la scuola sia collocata tra le priorità per l’avvenire del Paese, tanto da meritare - sono ancora parole di Napolitano - una speciale considerazione quando si affronta il proble ma della riduzione della spesa pubblica ». Preoccupazione condivisa anche da Vincenzo Silvano, presidente della Fe derazione Opere Educative (Foe), le scuole che fanno riferimento alla Compagnia delle Opere. «Diminuire ulteriormente gli esigui fondi alle scuole paritarie – commenta – è un colpo alle famiglie che già sopportano oneri economici per garantirsi la propria libertà di scelta in campo e ducativo. Tra le scuole nostre associate circa un quarto restano aperte grazie proprio all’impegno delle famiglie che sono subentrati alle Congregazioni religiose nella gestione diretta delle scuole paritarie. Un impegno accettato e sostenuto, ma se ci saranno questi tagli per loro diventerà ancora più difficile». E alle famiglie va il pensiero anche di Luigi Morgano della Fism: «Le nostre scuole con meno fondi si troverebbero davanti al bivio: interrompere il servizio o alzare le rette, con un ulteriore aggravio di spesa». Uno scenario rifiutato pure da don Francesco Macrì della Fidae. Insom­ma ritirare quel taglio ai fondi per metterebbe ai bambini della materna

Fede e Ragione - L'evoluzione dell'universo e della vita, questione sempre aperta.

Da ilsussidiario.net, 30.10.2008 (cliccando il nostro titolo si va alla pagina del sito)

di Rafael Martínez

Tra le questioni scientifiche che l’uomo si è sempre posto, quella più ricorrente è forse la domanda sull’origine. Da dove proviene l’universo? Come esso si è evoluto? Come sorgono tutte le realtà che osserviamo, in particolare la vita e noi stessi? È anche la domanda più radicale, fino al punto che la stessa scienza avverte prima o poi, come le sue risposte, per quanto valide e necessarie, non facciano altro che aprire nuove domande.

Dal 31 ottobre al 4 novembre la Pontificia Accademia delle Scienze celebra la sua Sessione Plenaria biannuale, dal titolo Approcci scientifici sull’evoluzione dell’universo e della vita. L’argomento risulta di particolare attualità. Il 2009 sarà segnato da alcune importanti ricorrenze nella storia della conoscenza del cosmo e della vita: si celebra il quarto centenario della Astronomia nova di Johannes Kepler, con la prima formulazione moderna delle leggi cinematiche del moto planetario, e delle prime scoperte astronomiche di Galileo, realizzate grazie al cannocchiale da lui costruito, che diedero nuovo impulso all’accettazione della nuova visione copernicana del mondo. Ma nel 2009 ricorre anche il secondo centenario della nascita di Charles Darwin, insieme al 150º anniversario della pubblicazione di “L’origine delle specie”. Evoluzione dell’universo ed evoluzione della vita sono ora accomunate nella ricerca di una più profonda comprensione della realtà creata.

Nuovi dati e nuove teorie hanno notevolmente accresciuto le nostre conoscenze nei secoli da allora trascorsi. Risulta quindi sempre più necessario affrontare con uno sguardo interdisciplinare il significato delle nuove conoscenze. Questo è lo scopo dell’incontro, cioè, per dirla con le parole del suo coordinatore, il premio Nobel Werner Arber: «aggiornare le proprie conoscenze di base e trasmetterle alla società umana», consapevoli del ruolo fondamentale che esse hanno nel conformare la vita sociale. «Il sapere scientifico costituisce, insieme alla saggezza tradizionale, alla fede religiosa e ai valori dell’educazione – continua Arber, insieme al presidente dell’Accademia, il prof. Nicola Cabibbo – una parte essenziale delle conoscenze orientative che ci servono a prendere decisioni individuali e sociopolitiche».

Gli argomenti proposti per le cinque sessioni in cui l’incontro è diviso, percorreranno quest’ampio spettro, negli interventi degli accademici e degli esperti invitati. Nella prima sessione, sull’evoluzione dell’universo, interverranno, tra altri, Stephen Hawking, Martin Rees e Vera Rubin. Anche l’evoluzione della vita nell’universo sarà presa in considerazione dagli accademici, insieme a questioni di carattere più astratto, come l’emergenza della complessità e i “grandi numeri” dell'universo.

A partire da sabato l’evoluzione biologica diventerà l’argomento principale. La discussione affronterà alcune delle questioni su cui oggi il dibattito è più accesso, come il ruolo del caso nell’evoluzione. La conoscenza dei meccanismi dell’evoluzione biologica si trova oggi di fronte a molteplici strade, che attribuiscono diverso valore alle variazioni genetiche aleatorie, ai processi selettivi, ai fattori epigenetici e simbiotici, o ai fattori evolutivi dello sviluppo biologico. Una comprensione di insieme dei processi evolutivi e oggi probabilmente una delle principali priorità all’interno della biologia evolutiva.

La terza sessione affronta direttamente il problema dell’evoluzione umana. Vedrà gli interventi di Luigi Cavalli-Sforza, del premio Nobel Christian de Duve, di Francis S. Collins, direttore del Progetto Genoma, Yves Coppens e Fiorenzo Facchini. I Cardinali Martini e Cottier parteciperanno invece nella quarta sessione, sugli aspetti teologici, filosofici e sociali dell’evoluzione. Sarà un momento centrale del confronto, che permetterà considerare i problemi nodali che riguardano scienza e fede: evoluzione e creazione, piano divino ed evento casuale. Di fronte ad una prospettiva che vorrebbe ridurre il complesso fenomeno dell’origine ed evoluzione della vita ad una successione di eventi casuali senza significato, è possibile ritrovare nello stesso panorama evolutivo una realtà piena di significato, che trova appunto in Dio la fonte ultima di realtà e di senso. Sono particolarmente significativi, da questo punto di vista, i titoli di due delle relazioni proposte in questa sessione: Superare la falsa opposizione tra il caso e la creazione (Jean-Michel Maldamé), e L’essere umano: piano di Dio o strana coincidenza? (Ulrich Lüke) puntano il dito verso l’origine di molte delle incomprensioni della possibilità di conciliare scienza e fede.

L’impatto dell’attività umana sarà l’argomento generale dell’ultima sessione, che vedrà interventi su vari argomenti come l’insegnamento dell’evoluzione, Intelligent Design, e “intelligenza digitale”. Come è abituale, la Sessione plenaria prevede anche la presentazione dei nuovi membri e la commemorazione di quelli deceduti dall’ultimo incontro, e una sessione porte chiuse tra gli accademici, oltre che l’udienza con il Santo Padre. Sarà questa sicuramente una nuova occasione di riflettere su quella che appare come una delle principali preoccupazioni di Benedetto XVI: costruire un rapporto veramente armonico tra fede e ragione.

mercoledì 29 ottobre 2008

INDIA - È morto p. Bernard Digal, l’India piange un nuovo martire dell'Orissa


di Nirmala Carvalho
Il religioso era stato assalito la notte del 25 agosto da una folla di fondamentalisti indù che lo ha picchiato e abbandonato nella foresta per una notte intera. Ieri i polmoni hanno collassato ed è entrato in coma. Al suo capezzale mons. Raphael Cheenath.


Mumbai (AsiaNews) – Padre Bernard Digal è morto dopo una lenta agonia durata più di due mesi. Il religioso, picchiato in maniera brutale dai fondamentalisti indù nella notte del 25 agosto, a due mesi di distanza è deceduto questa sera alle 9.25 ora locale per le gravi ferite riportate nell’assalto.

Sabato 25 ottobre p. Digal, febbricitante, è stato ricoverato d’urgenza al St. Thomas Hospital a Chennai, nel Tamil Nadu; i medici lo hanno sottoposto a un delicato intervento chirurgico per rimuovere una macchia di sangue nel cervello, causata dalle percosse subite la notte un cui è stato attaccato. Ieri i polmoni hanno collassato ed è entrato in coma. Nella mattinata il vescovo della diocesi gli ha impartito l’unzione degli infermi; al suo capezzale è accorso anche mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack- Bhubaneshwar. Al religioso è stato applicato un respiratore per tenerlo in vita, ma il suo fisico non ha retto.

Lo scorso 10 settembre avevamo pubblicato un’intervista a padre Bernard Digal, rilasciata da un letto dell’Holy Spirit Hospital di Mumbai dove era stato ricoverato. Nel corso della testimonianza, egli ha raccontato ad AsiaNews la notte dell’assalto e le violenze subite. P. Bernard ha denunciato “senza acredine, ma anche senza dolcezza” la brutalità dell’assalto, in seguito al quale “per una notte intera è rimasto senza conoscenza e seminudo nella foresta, finché non è stato ritrovato dal suo autista”.

“P. Bernard Digal ha ricevuto la corona dei martiri – dice ad AsiaNews mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack- Bhubaneshwar. Egli è morto a causa delle violenze degli estremisti indù. Ora i cristiani di Kandhamal hanno un potente intercessore nei cieli, poiché egli continuerà il suo lavoro dalla casa celeste”.

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Un carcerato racconta la sua esperienza del Cammino di Santiago

“Per me è più di una benedizione”

di Nieves San Martín

ESTELLA, martedì, 28 ottobre 2008 (ZENIT.org).- “Dopo tutto quello che ho passato, questo per me è una benedizione e più di una benedizione, dopo cinque anni e qualcosa senza uscire”.

Ad affermarlo questo martedì a ZENIT è I.H, un giovane 27enne delle Canarie che percorre sei tappe del Cammino di Santiago in compagnia di altri undici compagni del Centro Penitenziario di Nanclares de Oca, a Vitoria (Paesi Baschi, Spagna), su iniziativa della Pastorale Penitenziaria della Diocesi di Vitoria e del sacerdote Txarly Martínez de Bujanda.

Come si fa da sette anni, un gruppo di reclusi sta percorrendo varie tappe del Cammino. Si tratta di un'attività consolidata per il suo successo.

Padre Txarly ha spiegato a ZENIT che nel 2002 lavorava con i giovani a Santiago de Compostela e dal carcere il cappellano gli propose questa attività, che si svolge in genere a ottobre. Nel mese di maggio si propone un altro pellegrinaggio da Nanclares a Santiago, e questo tragitto è stato compiuto anche da donne, passando per Álava.

L'obiettivo del progetto è rispondere al mandato costituzionale di orientare la pena che priva della libertà verso la rieducazione e il reinserimento sociale del recluso.

La scelta dei dodici carcerati della prigione di Nanclares è stata lasciata da padre Txarly ai dirigenti del centro penitenziario, che hanno proposto fino a venti nomi perché la Junta de Tratamiento ne selezionasse dodici.

Incidenti? “Quasi mai – ha affermato il sacerdote –, ma che caso, se qualche volta viene il direttore ci sono piccoli problemi, ma senza importanza, come il fatto di non pranzare, di intrattenersi a fare compere, ma alla fine della tappa sono lì ad aspettarci e hanno avvisato l'hotel che stiamo arrivando!”. Nulla che sia usuale nei gruppi di pellegrini o di turisti.

Naturalmente al sacerdote viene la pelle d'oca quando avviene, ma alla fine tutto si risolve in una risata. E' il rischio della libertà.

I.H. è felice. “Sono molto orgoglioso di venire dalle Canarie e di vedere tutto questo: la natura, tutto... stiamo iniziando, lo consiglio a tutti i giovani, si conosce altra gente...”.

“Ti è servito anche per la tua anima?”. “Sì, molto – riconosce –, dopo tutto quello che ho passato, questo per me è una benedizione e più di una benedizione, dopo cinque anni e qualcosa senza uscire”.

A I.H mancano solo 73 giorni per tornare nelle Canarie e rivedere i figli, i genitori e i nonni.

L'iniziativa cerca di raggiungere il suo obiettivo mettendo a disposizione dei carcerati le risorse necessarie per superare gli aspetti della loro personalità e del loro ambiente sociale e familiare che li hanno portati a contravvenire alle regole, e preparare il ritorno alla vita in libertà.

“Per questo abbiamo bisogno che vivano esperienze positive in quanto a valori, forme di relazione pro-sociale e l'imparare a rispettare le norme che reggono ogni collettività. Crediamo fermamente che questo progetto promuova tutto ciò che è stato descritto e puntiamo sul cambiamento di quegli aspetti negativi che li hanno portati a delinquere”, sottolineano i responsabili della Pastorale Penitenziaria della Diocesi di Vitoria.

Il progetto equipara la tappa del carcere a “iniziare un cammino”, la cui meta è preparare il successivo rientro nella società. Per questo, si è scelto di percorrere alcune tappe del Cammino di Santiago.

I destinatari del progetto sono reclusi in secondo grado di trattamento (regime ordinario). La partecipazione all'attività è volontaria.

Altri obiettivi sono promuovere valori positivi, rafforzare le relazioni interpersonali in un ambiente diverso dal penitenziario, migliorare le capacità sociali, potenziare il rispetto di se stessi (autostima) e del gruppo (coesione), osservazione e conoscenza in modo più approfondito dei problemi specifici dei reclusi, promuovere la conoscenza dell'ambiente culturale e artistico delle zone che si visitano, migliorare le capacità fisiche e potenziare abitudini salutari (miglioramento della salute attraverso lo sport), convivenza tra reclusi e personale.

Dal 27 ottobre al 1° novembre partecipano a questa esperienza, oltre ai dodici reclusi, il cappellano del centro, vari volontari della Pastorale Penitenziaria e membri dell'Équipe di Trattamento. L'associazione Gizabidea collabora all'esperienza con due camion di sostegno per le tappe. In ciascuna delle città del Cammino si realizzano visite a luoghi di rilievo culturale e storico.

Le tappe sono così organizzate: il 27 ottobre da Lorca a Estella (10 km), il 28 da Estella a Los Arcos (21 km), il 29 da Los Arcos a Viana (20 km), il 30 da Viana a Navarrete (23 km), il 31 da Navarrete ad Azofra (21 km), il 1° da Azofra a Santo Domingo (16 km). Il ritorno avverrà poi in autobus.

In totale si tratta di circa 100 chilometri, un dono per chi finora ha avuto la prospettiva di cento passi, avanti e indietro, vedendo sempre gli stessi volti, in un cortile di fronte al muro di una libertà sognata.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

La scure della Gelmini sulle scuole private

Chesterton, Belloc e padre Vincent McNabb erano convinti distributisti, ed uno dei capisaldi del distributismo è proprio la libertà di educazione.

Il ministro Gelmini, nel famoso decreto di cui oggi tutti parlano, ha fatto diverse cose giuste ma una grossa l'ha fatta: sta tagliando anche i fondi (in realtà già scarsissimi) per le scuole paritarie. Pochi se ne erano accorti. E' molto grave.

Permetteteci di dire: mai deleghe in bianco. Eccovi l'articolo lucidissimo come sempre di Giorgio Vittadini su Il Riformista di ieri.

Una certa mitologia ideologica che sta alimentando lo sciopero del 30 e che viene ad arte replicata nelle manifestazioni degli studenti, afferma che i tagli alla scuola pubblica sono fatti per finanziare la scuola privata. Ma non è così. Nel “Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009 e il bilancio pluriennale per il triennio 2009-2011” la voce complessiva riguardo l’istruzione è aumenta di 656milioni di euro: all’istruzione primaria andranno oltre 242milioni di euro in più, all’istruzione secondaria di primo grado 228milioni di euro in più, all’istruzione secondaria di secondo grado 395milioni di euro in più. Invece, il capitolo di bilancio riguardo l’istituzione scolastica non statale passa dai 535milioni e 318mila euro del 2008 ai 401milioni e 924mila euro per le previsioni del 2009, ovvero 133milioni e 393mila euro in meno. Inoltre, la voce “istruzione non statale” prevede per il 2010 una cifra pari a 406milioni e 121mila euro e per il 2011 la cifra di 312milioni e 410mila euro.

C’è da precisare inoltre che la riduzione non riguarda le scuole medie e superiori, ma la scuola materna e la scuola elementare, livelli di scuola che hanno sempre ricevuto fondi statali. Sono scuole gestite da ordini religiosi o cooperative di famiglie, situate nei quartieri periferici e nei paesi a cui molte famiglie “del popolo”, spesso poco abbienti, mandano i figli perché sanno che vengono assicurati nello stesso tempo un’educazione ricca di ideali ed un alta qualità di insegnamento. Accolgono infatti ben 531.258 bambini su 1.652.689 della scuola dell’infanzia e 196.776 su 2.820.150 bambini della scuola primaria. Determinate è il loro contributo al buon livello qualitativo raggiunto dalla scuole materne ed elementari italiane, sancito dalle inchieste internazionali.

Tuttavia, alla faccia della parità giuridica sancita dal ministro Berlinguer, non solo non si mette in programma di garantire l’effettiva libertà delle famiglie di scegliere le scuole paritarie attraverso detrazioni e deduzioni fiscali, ma le si vuole affossare definitivamente attraverso questi tagli di fondi che costringeranno le scuole ad aumentare le rette aggravando ulteriormente la situazione delle famiglie o addirittura a chiudere.

La legge 133/08 impone di ridurre il debito pubblico nazionale senza ricorrere all’aumento della pressione fiscale, rispettando così gli accordi internazionali e quindi i tagli anche per il comparto dell’istruzione sono inevitabili. Tuttavia, ogni ministero può decidere liberamente come effettuare i tagli ed è quindi ancora possibile correggere questa scelta, tanto più che il taglio medio imposto dal Ministero del tesoro a ogni ministero è del 10%, mentre i tagli previsti per la scuola libera sono del 25-30%! Per questo 40 deputati della maggioranza hanno firmato un emendamento che propone di effettuare riduzioni di spesa del Ministero della pubblica istruzione in settori meno strategici. Sono pronti a votarlo anche molti deputati dell’opposizione, consci che si tratta di battaglia bipartisan di tante famiglie per la difesa della “biodiversità” della scuola italiana. Chi, sia nel mondo cattolico che in quello laico, si astiene dal prendere posizione, sia conscio di collaborare all’ulteriore desertificazione della scuola italiana, per il male di tutti.

Giorgio Vittadini

Da Il Riformista, 28 ottobre 2008

martedì 28 ottobre 2008

Vescovo caldeo: Appello per Mosul, svuotata dei cristiani

Pubblichiamo l'appello del Vescovo caldeo cattolico di Erbil, pubblicato da AsiaNews che svolge un'opera insostituibile in questo senso.
Noi Chestertoniani d'Italia vogliamo essere una piccola scatola di sapone di quelle usate in Hyde Park dagli amici di Gilbert come padre Vincent McNabb per dire che ci sono delle cose che non vanno, che non possono essere accettate.
Vogliamo essere un piccolo modo di far sapere quello che patiscono questi nostri amici e fratelli cattolici, e facendolo sapere far cadere su chi li perseguità tutta l'esecrazione possibile e le preghiere possibili perché si convertano, e l'appello a tutti i governi liberi e che non hanno ancora deciso di vendere l'anima a satana perché si muovano insieme al Papa.

Sulla spinta dell’appello di Benedetto XVI, mons. Rabban Al Qas, vescovo di Ammadiya ed Erbil, chiede al premier al Maliki e alle forze americane, di assumersi la responsabilità per le violenze che si abbattono sui cristiani, frutto di un fondamentalismo intollerante che non è mai stato fermato. Una richiesta anche al mondo islamico perché condanni quanto avviene a Mosul. Domani a Erbil incontro dei vescovi caldei e del nunzio vaticano.


Erbil (AsiaNews) – La situazione di Mosul (nord Iraq) continua ad essere incandescente. In poche settimane vi sono stati 14 morti e oltre 10 mila cristiani in fuga. Le autorità si rimbalzano l’un l’altro le responsabilità, mentre sale la carneficina. Mons. Rabban Al Qas, vescovo di Arbil ci ha inviato questo appello che volentieri pubblichiamo. Intanto, lo stesso vescovo informa che da domani e per tre giorni 12 vescovi caldei si incontrano ad Erbil insieme al Nunzio vaticano in Iraq per valutare la situazione.

Mediante l’agenzia AsiaNews voglio invitare tutti gli uomini di buona volontà, coloro che rispettano l’uomo e tutti i credenti in Dio a condannare con forza i crimini che vengono perpetrati contro i cristiani in Iraq, e in particolare quelli che avvengono a Mosul in questi ultimi giorni.

Mi conforta l’appello che il Santo Padre Benedetto XVI ha lanciato ieri all’Angelus. Il Papa è l’unico che non ci dimentica e le sue parole mostrano quanto noi siamo vicini al suo cuore.

Il suo appello di ieri domandava anche un impegno più deciso delle “autorità civili e religiose” a ristabilire la legalità e la convivenza.

Quanto avviene oggi a Mosul è frutto proprio di questa immobilità statale, insieme a una mentalità contorta, fanatica e integrista.

Questa tragedia – che ricorda la situazione dei cristiani nei primi secoli – è cominciata subito dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Migliaia di cristiani e di kurdi musulmani sono stati cacciati, uccisi, rapiti, obbligati ad abbandonare Mosul. Ormai restano meno di un quarto della popolazione cristiana di un tempo.

Le minacce, le sanzioni, le discriminazioni, i riscatti, la propaganda islamica nelle scuole, gli slogan sui muri, hanno spinto perfino i musulmani moderati a non difendere più i loro fratelli cristiani dall’intolleranza. Una volta essi aprivano le loro case ai cristiani; ora per paura del fanatismo e del terrorismo, non osano nemmeno mostrarsi amici o conoscenti dei cristiani.

Ciò che succede in questi giorni è frutto di un lungo silenzio del primo ministro irakeno e del suo governo di Baghdad, incapace di fermare l’ondata di violenze contro i cristiani. Ciò che succede in questi giorni è responsabilità loro, senza dimenticare le responsabilità delle forze americane e dei rappresentanti delle Nazioni Unite. Quello che succede a Mosul avviene sotto i loro occhi: i terroristi uccidono, mettono bombe alle case e alle chiese, cacciano via i cristiani senza che le autorità di Mosul facciano un minimo gesto in difesa di coloro la cui colpa è solo quella di essere discepoli di Gesù Cristo.

Davanti a questo quadro triste e terribile, io rinnovo il mio appello al premier al-Maliki, che dichiara “Al Qaeda responsabile di tutto ciò”. Invece tocca a lui, come autorità, ristabilire la pace senza scaricarsi delle responsabilità verso i cristiani. La costituzione deve riconoscere e assicurare i diritti di tutti, compresi i cristiani. Fino ad ora l’unico asilo sicuro dei cristiani irakeni è solo la zona del Kurdistan.

Il mio appello si rivolge anche al mondo musulmano perché denuncino ciò che succede a Mosul, perché l’amore e il rispetto dell’altro possa rendere tutti gli uomini più felici vivendo nella pace.

Rabban Al Qas

Vescovo di Ammadiya ed Erbil

Kurdistan d Iraq

lunedì 27 ottobre 2008

INDIA - Io, Sr Meena, violentata dagli indù, mentre la polizia stava a guardare


di Meena Barwa

Riportiamo di seguito la dichiarazione che Sr Meena Barwa ha letto ieri all’ Indian Social Institute. La suora vincendo lo stato di choc e il pudore, per la prima volta dopo due mesi dall’accaduto, ha accettato di parlare delle violenze e dello stupro che ha subito ad opera di gruppi di radicali indù lo scorso agosto, accusando la polizia dell’Orissa di connivenza con gli assalitori. Sr Meena lavorava al Centro pastorale Divyajyoti, a K Nuagaon, nel distretto di Kandhamal (Orissa), insieme a p. Thomas Chellan, anch’egli malmenato e umiliato. La dichiarazione pubblica di Sr Meena era necessaria perché la polizia in Orissa sta cercando di coprire il caso. Fra i fondamentalisti indù vi sono anche coloro che dicono che la suora fosse “consenziente” allo stupro.


New Delhi (AsiaNews) – Ecco la dichiarazione completa di Sr Meena Barwa (traduzione dall’inglese di AsiaNews).

Il 24 agosto scorso, verso le 4.30 del pomeriggio, sentendo le urla di una grande folla alle porte del Centro pastorale Divyajyoti, sono corsa fuori, dalla porta di servizio e fuggita nella foresta insieme ad altri. Abbiamo visto la nostra casa distruggersi fra le fiamme. Verso le 8.30 di sera siamo venuti fuori dalla foresta e andati nella casa di un signore indù che ci ha ospitato.

Il 25 agosto, verso 1.30 del pomeriggio, una folla è entrata nella stanza della casa dove stavo, uno di loro mi ha afferrato la faccia e poi trascinandomi per i capelli mi ha portato fuori. Due di loro mi tenevano il collo per tagliarmi la testa con un’ascia. Altri li consigliavano di portarmi fuori in strada; [lì] ho visto p. Chellan portato fuori e picchiato. La folla era composta da 40-40 uomini armati di lathis [bastone con punte di ferro, usato nelle arti marziali – ndr], asce, lance, bastoni, sbarre, falci, ecc… Ci hanno preso entrambi e portati sulla strada principale. Poi ci hanno portato alla casa Janavikas, che era stata bruciata, dicendo che ci avrebbero gettato nelle fiamme.

Giunti alla casa Janavikas, essi mi hanno gettata a terra sulla veranda, sul percorso che porta alla sala da pranzo, pieno di cenere e di vetri rotti. Uno di loro mi ha strappato la camicetta e altri i miei indumenti intimi. P Chellan ha protestato e loro lo hanno picchiato e trascinato lontano. Loro mi hanno tolto il sari e mentre uno mi bloccava il braccio destro e un altro quello sinistro, un terzo mi ha violentato sulla veranda a cui ho accennato. Quando è finito, sono riuscita ad alzarmi, e a mettermi la sottogonna e il sari. Poi un altro giovane mi ha afferrato e mi ha portato in una stanza vicina alle scale. Ha aperto i suoi pantaloni e ha tentato anche lui di stuprarmi, ma poi è stato raggiunto da altri.

Mi sono nascosta sotto le scale. La folla gridava: “Dov’è la suora? Venite, violentiamola, almeno 100 persone dovrebbero stuprarla”. Mi hanno scoperto dietro la scala e mi hanno portato sulla strada. Lì ho visto p. Chellan inginocchiato e la folla che lo picchiava. Loro cercavano una corda per legarci insieme e bruciarci vivi. Qualcuno ha suggerito di portarci in processione nudi. Ci hanno fatto camminare sulla strada fino al mercato di Nuagoan, che era a mezzo chilometro di distanza. Ci hanno legato insieme per le mani e fatto camminare. Io avevo indosso la sottoveste e il sari, perché prima mi avevano spogliato della camicetta e degli indumenti intimi. Hanno allora cercato di denudarmi ancora e siccome io resistevo, hanno cominciato a picchiarmi schiaffeggiandomi sul viso e sul capo, e dandomi diversi colpi di bastone sulla schiena.

Quando abbiamo raggiunto il mercato, nella zona vi erano una diecina di poliziotti. Sono andata lì chiedendo loro di proteggermi e mi sono seduta fra due poliziotti, ma essi non si sono mossi. Uno della folla è arrivato e mi ha trascinato via da lì: volevano rinchiuderci nel recinto [Mandap] del tempio. La folla ha trascinato me e p. Chellan all’edificio di Nuagaon, dicendo che ci avrebbero consegnato al Bdo [Block Development Officer, il responsabile della zona]. Da lì, insieme al Bdo, la folla ci ha portato alla stazione di polizia di Nuagaon, intanto altri poliziotti rimanevano distanti.

La folla ha detto poi che sarebbero tornati dopo aver mangiato e uno di loro che mi aveva attaccato è rimasto nella stazione di polizia, dove poi sono giunti gli altri poliziotti. Essi si sono messi a parlare in modo molto amichevole con l’uomo che mi aveva attaccato, stando lontano da noi. Siamo rimasti nella stazione di polizia fino a che l’ispettore capo di Balliguda, non è giunto con il suo gruppo per portarci a Balliguda. Essi avevano paura di portarci direttamente alla stazione di polizia e ci hanno tenuto per un certo tempo nella jeep. Poi, dal garage, ci hanno portato alla stazione. L’ispettore capo e altri rappresentanti del governo mi hanno preso in privato e chiesto cosa mi era accaduto. Io ho raccontato loor tutto in dettaglio: l’0attacco, lo stupro, l’essere strappata dalla polizia per farmi camminare seminuda nella strada e come i poliziotti non mi hanno aiutata quando ho chiesto loro aiuto piangendo a dirotto. Ho visto che l’ispettore scriveva tutto. Poi mi ha domandato: È interessata a stendere una denuncia? Sa quali possono essere le conseguenze?.

Alle 10 di sera sono stata presa e accompagnata da un poliziotto donna sono stata portata all’ospedale di Balliguda per un check-up medico. Essi avevano paura di tenerci alla stazione di polizia, dicendo che la folla avrebbe potuto attaccarli. Così la polizia ci ha portato nell’ Ib (Inspection Bungalow), dove dei poliziotti del Crp [Central reserve police] erano accampati.

Il 26 agosto, verso le 9 del mattino, siamo stati portati alla stazione di polizia di Balliguda. Mentre scrivevo la mia denuncia, l’ispettore mi diceva: Questo non è il modo di scrivere, lo faccia più breve. Così l’ho riscritta fino a tre volte, riducendola a una pagina e mezzo. L’ho consegnata, ma non mi hanno dato copia.

Alle 4 del pomeriggio, l’ispettore capo della stazione di polizia di Balliguda, insieme ad alcuni rappresentanti del governo, ci hanno messo su un pullman pper Bhubaneshwar, insieme ad altri sparuti passeggeri. La polizia è rimasta fino a Rangamati, dove tutti i passeggeri hanno preso la cena. Dopo di allora non ho più visto un poliziotto. Siamo scesi vicino a Nayagarh e lì, viaggiando su veicoli provati, abbiamo raggiunto Bhubaneshwar il 27 agosto alle 2 di notte.

La polizia di stato non ha fermato i crimini, non mi ha protetto da quelli che mi hanno assalito, erano amici degli assalitori. Essi hanno fatto di tutto perché io non registrassi alcuna denuncia, non mi lamentassi contro la polizia; la polizia non ha stilato tutto il mio racconto mentre lo raccontavo loro in dettaglio e mi hanno abbandonato a metà strada. Sono stata stuprata, ma adesso non voglio essere vittima anche della polizia dell’Orissa. Voglio un’inchiesta su questo.

Dio benedica l’India, Dio benedica tutti voi.

Sr Meena

Benedetto XVI: Cristiani d’Oriente, vittime di intolleranze e crudeli violenze

Benedetto XVI lancia un nuovo appello per le chiese in Iraq e in India, perché sia garantita ai cristiani non privilegi, ma la dignità di poter vivere e collaborare alla vita della loro Patria. Egli chiede alle autorità civili di “non risparmiare alcuno sforzo” per garantire la legalità e alle autorità religiose di fare gesti “espliciti” di amicizia con i cristiani. Gli appuntamenti futuri con l’Africa nel 2009. Il ricordo di un missionario francescano, martire in Cina.


Città del Vaticano (AsiaNews) – L’ultima parola di Benedetto XVI ricordando il Sinodo dei vescovi sulla “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” e dedicata alla situazione di persecuzione delle Chiese in Iraq e in India. Parlando prima della preghiera dell’Angelus, davanti alle decine di migliaia di pellegrini radunati in piazza san Pietro, egli ha detto di far suo un appello lanciato due giorni prima dai Patriarchi delle Chiese orientali, a conclusione del Sinodo, per richiamare la comunità internazionale, i leader religiosi e ogni uomo e donna di buona volontà “sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio”. “Penso – ha aggiunto il pontefice - in questo momento soprattutto all’Iraq e all’India”.

“Sono certo – ha continuato il papa - che le antiche e nobili popolazioni di quelle Nazioni hanno appreso, nel corso di secoli di rispettosa convivenza, ad apprezzare il contributo che le piccole, ma operose e qualificate, minoranze cristiane danno alla crescita della patria comune. Esse non domandano privilegi, ma desiderano solo di poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme con i loro concittadini, come hanno fatto da sempre”.

In Iraq e in India, le violenze sembrano diffondersi anche a causa del silenzio e dell’inazione delle autorità politiche. Per questo il pontefice afferma: “Alle Autorità civili e religiose interessate chiedo di non risparmiare alcuno sforzo affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato. Auspico poi che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti”.

Benedetto XVI ha ricordato ancora una volta i suoi futuri appuntamenti con l’Africa, già citati nella messa di conclusione del Sinodo tenuta poche ore prima nella Basilica di san Pietro: “Nell’ottobre del prossimo anno si svolgerà a Roma la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa. Prima di allora, a Dio piacendo nel mese di marzo, è mia intenzione recarmi in Africa, visitando dapprima il Camerun, dove consegnerò ai Vescovi del Continente l’Instrumentum laboris del Sinodo, e quindi in Angola, in occasione del 500° anniversario di evangelizzazione di quel Paese”. Concludendo egli ha detto: “Affidiamo le sofferenze sopra ricordate, come anche le speranze che tutti portiamo nel cuore, in particolare le prospettive per il Sinodo dell’Africa, all’intercessione di Maria Santissima”.

Dopo la preghiera mariana, Benedetto XVI ha salutato i pellegrini in diverse lingue. Ai saluti in italiano ha ricordato i fedeli di Velletri-Segni, "venuti con il vescovo mons. Vincenzo Apicella in occasione del centenario della nascita del Servo di Dio Padre Ginepro Cocchi, Frate Minore, sacerdote e missionario in Cina, dove morì per la fedeltà a Cristo nel 1939". "L’esempio di Padre Ginepro - ha aggiunto il papa - sia sempre per voi di stimolo ad una coraggiosa testimonianza del Vangelo".

sabato 25 ottobre 2008

Un aforisma al giorno - 79

"La vita è la più bella delle avventure ma solo l'avventuriero lo scopre".



G. K. Chesterton

venerdì 24 ottobre 2008

Qualche piccolo cambiamento...

Abbiamo voluto, dopo due anni di vita del nostro blog, cambiare qualcosina del suo aspetto.
Sempre molto semplice, sempre sfruttando quello che Blogger ci offre, sempre fedeli al motto chestertoniano: "se una cosa vale la pena di farla, vale la pena di farla male" (certo, si potrebbe fare un bel sito con il Flash, con gli ultimi ritrovati della pazzia informatica, con ricchi premi e cotillons, ma... ma la vita è una e ci sono tante cose, tantissime cose da fare! che vale la pena di farl tutte quante come si riesce e poi sarà quel che Dio vorrà!).

Crediamo che i nostri lettori, soci e non soci, apprezzino soprattutto il contenuto del blog e l'essere in contatto, l'essere amici di un grande come Gilbert.

Accettiamo commenti, critiche, e se volete, potete partecipare al sondaggio qui a fianco: vi piace o non vi piace, questo blog, con questi nuovi colori?

Poi: se volete, potete iscrivervi alla sezione "Lettori" del nostro blog (qui a destra), così tutti sapranno che siete gli amici di Chesterton e della Società Chestertoniana Italiana. Iscriversi è facile, basta pigiare qualche bottoncino lì a fianco...

Il Foglio recensisce il San Tommaso d'Aquino per i tipi di Lindau.

Nel numero di ieri 23 Ottobre 2008 del quotidiano Il Foglio trovate la recensione dell'ultima edizione, per i tipi di Lindau, del San Tommaso d'Aquino, una delle opere più belle, dai riflessi più policromi del nostro Gilbert.


Il recensore, paragonando Chesterton e il Doctor Angelicus, afferma: "Molte cose separavano i due uomini: moderno, loquace, espansivamente giullaresco l'uno; medievale, taciturni - il 'bue muto', lo chiamavano - e sobriamente lieto l'altro. Altre al contrario li accomunavano: l'enorme corporatura, il gusto per il cibo e la buona compagnia, la lealtà con gli avversari (l'uno e l'altro impegnati in perpetue battaglie con la lingua e con la penna, fecero entrambi di tutto per conservare con gli avversari una personale amicizia). Ma più di tutto condividevano la profonda certezza che il mondo sia fondamentalmente una cosa buona e comprensibile".


RICORDIAMO A TUTTI CHE I SOCI SCI POSSONO USUFRUIRE DELLA CONVENZIONE ESISTENTE CON LINDAU CHE CONSENTE DI ACQUISTARE IL SAN TOMMASO E IL SAN FRANCESCO CON IL 15 PER CENTO DI SCONTO E LE SPESE DI SPEDIZIONE A CARICO DI LINDAU.

mercoledì 22 ottobre 2008

IRAQ - Vescovo caldeo di Kirkuk: A Mosul si cancellano i cristiani per motivi politici


Il prelato lancia un appello perché tutti difendano le minoranze in Iraq e la minoranza cristiana, bersaglio di molti attentati, soprattutto a Mosul. Per il vescovo i cristiani sono una vittima del gioco politico legato alle prossime elezioni e al progetto di un’enclave cristiana nella piana di Ninive. Appello anche ai cristiani d’occidente perché denuncino ogni violenza e mostrino solidarietà e condivisione.


Kirkuk (AsiaNews) – Dall’inizio di ottobre a Mosul si registra una ennesima ondata di violenze contro cristiani. La città e la comunità dei fedeli ha già pagato un grande contributo di sangue in passato, con la morte di mons. mons. Paulo Farj Rahho, quella di p. Ragheed Gani, e di decine di altri. Mosul, città multietnica, vede la presenza di cristiani delle diverse confessioni, sunniti e sciiti, yaziti, arabi, turcomanni e curdi. Queste uccisioni di tipo confessionale rendono sempre più difficile la convivenza e aumentano le accuse fra il governo curdo, responsabile dell’ordine a Mosul, e il governo centrale. Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha voluto condividere coi lettori di AsiaNews le sue preoccupazioni riguardo agli avvenimenti.



Cosa sta succedendo a Mosul ? Come si può definire questa carneficina continua? In una settimana vi sono stati 12 morti; 1000 famiglie hanno lasciato le loro case verso i villaggi della piana di Ninive; 5 case sono state distrutte con esplosioni. Paura, solitudine e timori dominano nella minoranza cristiana. La memoria di Dora[1] a Bagdad non è dimenticata. Se la situazione continua in questo modo, i cristiani saranno costretti a nuove “fughe di massa”.

Gli attentati di Mosul hanno però un carattere speciale: essi non sembrano essere legati a bande di delinquenti, perché questa volta essi non chiedono alcun riscatto. È possibile che dietro gli assassini vi siano dei fondamentalisti. Ma come spiegare il silenzio e l’immobilità delle autorità locali e centrali quando una macchina con altoparlante gira per le vie del quartiere di Sukkar, gridando e ordinando ai cristiani di andarsene via?

Io penso che dietro tutte queste violenze vi sia un movente politico.

Questa campagna per far fuggire i cristiani potrebbe nascondere vantaggi di carattere politico in prossimità della tornata elettorale del gennaio 2009 e la controversia sull’approvazione della legge per le elezioni provinciali. L’attuale legge cancella la quota riservata per tradizione ai cristiani (e alle altre minoranze). Intimidirli e cacciarli via fa tutt’uno con la negazione della loro rappresentanza. Ma non va esclusa nemmeno l’ipotesi che le violenze contro i fedeli servano a rafforzare l’ipotesi di un’enclave cristiana nella piana di Ninive.

Chiediamo con forza l’intervento del governo per proteggere tutti gli irakeni in difficoltà, ma soprattutto i cristiani, attualmente i più esposti. Questo sarebbe un compito anche per le forze di occupazione.

Chiediamo l’intervento della comunità internazionale per proteggere le minoranze in Iraq, specie in occasione delle prossime elezioni provinciali. E domandiamo con particolare urgenza l’intervento dell’Onu e dell’Unione europea perché solleciti il governo di Baghdad a rispettare le minoranze nelle prossime elezioni.

Il parlamento irakeno ha votato una legge che non riconosce i diritti delle minoranze. Questo porterà alla distruzione definitiva delle minoranze etniche e religiose di questo paese ed accelererà l’esodo dei cristiani.

Chiediamo ai cristiani d’occidente di non essere solo preoccupati delle borse e dell’economia, ma di denunciare ogni forma di violenza e di mostrare verso di noi solidarietà e condivisione.

[1] Dora, quartiere di Baghdad dove negli anni scorsi sono avvenuti uccisioni di cristiani, rapimenti di fedeli e sacerdoti, attentati a chiese. Queste violenze hanno portato all’esodo di centinaia di migliaia di persone. Una maggiore sicurezza è stata riconquistata dopo l’operazione militare “Surge” da parte di militari americani e irakeni.

martedì 21 ottobre 2008

Benedetto XVI: "Nei contesti altamente tecnologizzati dell’odierna società, il paziente rischia di essere in qualche misura 'cosificato'".

Pubblichiamo il testo integrale del di scorso rivolto ieri dal Papa ai partecipanti al 110° Congresso nazionale del la Società Italiana di Chirurgia

Rivolgo a tutti e a ciascuno il mio saluto cordiale, riservando una speciale parola di ringraziamento al professor Gennaro Nuzzo per le parole con cui ha espresso i comuni sentimenti ed ha illustrato i lavori del congresso, che vertono su un tema di fondamentale im- portanza. Al centro del vostro congresso nazionale vi è infatti questa promettente e impegnativa dichiarazione: «Per una chirurgia nel rispetto del malato». A ragione si parla oggi, in un tempo di grande progresso tecnologico, della necessità di umanizzare la medicina, sviluppando quei tratti del comportamento medico che meglio rispondono alla dignità della persona malata a cui si presta servizio. La specifica missione che qualifica la vostra professione medica e chirugica è costituita dal perseguimento di tre obiettivi: guarire la persona malata o almeno cercare di incidere in maniera efficace sull’evoluzione della malattia; alleviare i sintomi dolorosi che la accompagnano, soprattutto quando è in fase avanzata; prendersi cura della persona malata in tutte le sue umane aspettative.
Nel passato spesso ci si accontentava di alleviare la sofferenza della persona malata, non potendo arrestare il decorso del male e ancor meno guarirlo. Nel secolo scorso gli sviluppi della scienza e della tecnica chirurgica hanno consentito di intervenire con crescente successo nella vicenda del malato. Così la guarigione, che precedentemente in molti casi era solo una possibilità marginale, oggi è una prospettiva normalmente realizzabile, al punto da richiamare su di sé l’attenzione quasi esclusiva della medicina contemporanea. Un nuovo rischio, però, nasce da questa impo stazione: quello di abbandonare il paziente nel momento in cui si avverte l’impossibilità di ottenere risultati ap­prezzabili. Resta vero, invece, che, se anche la guarigione non è più prospettabile, si può ancora fare molto per il malato: se ne può alleviare la sofferenza, soprattutto lo si può ac­compagnare nel suo cammino, migliorandone in quanto possibile la qualità di vita. Non è cosa da sottovalutare, perché ogni singolo paziente, anche quello inguaribile, porta con sé un valore incondizionato, una dignità da onorare, che costituisce il fondamento ineludibile di ogni agire medico-paziente. Il rispetto della dignità umana, infatti, esige il rispetto incondizionato di ogni singolo essere umano, nato o non nato, sano o malato, in qualunque condizione esso si trovi.
In questa prospettiva, acquista rilevanza primaria la relazione di mutua fiducia che si instaura tra medico e paziente. Grazie a tale rapporto di fiducia il medico, ascoltando il paziente, può ricostruire la sua storia clinica e capire come egli vive la sua malattia. È ancora nel contesto di questa relazione che, sulla base della stima reciproca e della condivisione degli obiettivi realistici da perseguire, può essere definito il piano terapeutico: un piano che può portare ad arditi in terventi salvavita oppure alla decisio ne di accontentarsi dei mezzi ordinari che la medicina offre. Quanto il medico comunica al paziente diretta mente o indirettamente, in modo verbale o non verbale, sviluppa un notevole influsso su di lui: può motivarlo, sostenerlo, mobilitarne e persino potenziarne le risorse fisiche e mentali, o, al contrario, può indebolirne e frustrarne gli sforzi e, in questo modo, ri­durre la stessa efficacia dei tratta menti praticati. Ciò a cui si deve mirare è una vera alleanza terapeutica col paziente, facendo leva su quella specifica razionalità clinica che con­sente al medico di scorgere le moda lità di comunicazione più adeguate al singolo paziente. Tale strategia co municativa mirerà soprattutto a sostenere, pur nel rispetto della verità dei fatti, la speranza, elemento essenziale del contesto terapeutico. È bene non dimenticare mai che sono proprio queste qualità umane che, oltre alla competenza professionale in senso stretto, il paziente apprezza nel medico. Egli vuole essere guardato con benevolenza, non solo esaminato; vuole essere ascoltato, non solo sottoposto a diagnosi sofisticate; vuole percepire con sicurezza di essere nella mente e nel cuore del medico che lo cura.
Anche l’insistenza con cui oggi si pone in risalto l’autonomia individuale del paziente deve essere orientata a promuovere un approccio al malato che giustamente lo consideri non antagonista, ma collaboratore attivo e responsabile del trattamento terapeutico. Bisogna guardare con sospetto qualsiasi tentativo di intromissione dall’esterno in questo deli­cato rapporto medico-paziente. Da una parte, è innegabile che si debba rispettare l’autodeterminazione del senza dimenticare però che l’esaltazione individualistica dell’au­tonomia finisce per portare ad una lettura non realistica, e certamente impoverita, della realtà umana. Dall’altra, la responsabilità professionale del medico deve portarlo a propor­re un trattamento che miri al vero bene del paziente, nella consapevolezza che la sua specifica competenza lo mette in grado in genere di valutare la situazione meglio che non il paziente stesso. La malattia, d’altro canto, si manifesta all’interno di una precisa storia umana e si proietta sul futuro del paziente e del suo ambiente familiare. Nei contesti altamente tecnologizzati dell’odierna società, il paziente rischia di essere in qualche misura 'cosificato'. Egli si ritrova infatti dominato da regole e pratiche che sono spesso completamente estranee al suo modo di essere. In nome delle esigenze della scienza, della tecnica e dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria, il suo abituale stile di vita ri­sulta stravolto. È invece molto importante non estromettere dalla relazione terapeutica il contesto esistenziale del paziente, in particolare la sua famiglia. Per questo occorre pro­muovere il senso di responsabilità dei familiari nei confronti del loro congiunto: è un elemento importante per evitare l’ulteriore alienazione che questi, quasi inevitabilmente, subi­sce se affidato ad una medicina altamente tecnologizzata, ma priva di una sufficiente vibrazione umana.
Su di voi, dunque, cari chirurghi, grava in misura rilevante la responsabilità di offrire una chirurgia veramente rispettosa della persona del malato. È un compito in sé affascinante, ma anche molto impegnativo. Il Papa, proprio per la sua missione di Pastore, vi è vicino e vi sostiene con la sua preghiera. Con questi sentimen ti, augurandovi ogni migliore successo nel vostro lavoro, volentieri imparto a voi ed ai vostri cari l’apostolica benedizione.

Benedetto XVI

Un aforisma al giorno - 78

"Per una rivoluzione morale servono un più pungente dispiacere e un più pungente piacere: il primo per vedere il mondo come il castello dell'orco da smantellare e il secondo per ricostruirlo dalle macerie come una casa dove tornare la sera".

G. K. Chesterton

lunedì 20 ottobre 2008

INDIA - I cristiani dell’Orissa si appellano all’Onu come “cittadini senza Stato”



di Nirmala Carvalho

Il governo dell’Orissa chiude persino i campi profughi, migliaia non sanno dove rifugiarsi. Appello all’Onu perché riconosca ai cristiani indiani lo status di profughi, li protegga e invii cibo e ripari che l’India nega.

New Delhi (AsiaNews) – Il governo dell’Orissa chiude i campi profughi e caccia migliaia di cristiani, senza riparo né cibo. Mentre continuano le violenze, viene denunciato alle Nazioni Unite il genocidio in atto e chiesto un immediato intervento.

Padre Manoj Digal del Centro arcidiocesano per i servizi sociali denuncia ad AsiaNews che “uno dei tre campi profughi di Baliguda è stato chiuso il 15 ottobre e 900 persone sono state mandate via. E’ assurdo, molta gente non sa dove andare, è priva di qualsiasi difesa. Il governo non ha dato loro nemmeno tende e appena 10 chilogrammi di riso per famiglia. Hanno perso tutto. Se tornano al loro villaggio, possono solo riconvertirsi all’induismo. Molti hanno così dovuto lasciare l’Orissa per andare in altri Stati”. “Il governo non garantisce alcuna sicurezza ai cristiani, nonostante rischino la vita. Ora ci sono anche gruppi di donne estremiste che minacciano le donne cristiane. Non c’è alcun rispetto dei diritti fondamentali. Molte di queste famiglie avevano un dignitoso tenore di vita, ora debbono andare tra gente sconosciuta privi di tutto”.

Sajan K. George, presidente del Consiglio globale dei cristiani indiani, ha denunciato alle Nazioni Unite la decisione del governo dell’Orissa di chiudere i campi profughi nel distretto di Kandhamal. All’Onu Sajan ha scritto che “il 3 settembre il New York Times ha riportato che 1.400 case e 80 chiese sono state distrutte o danneggiate. Ma i danni attuali nella sola Orissa sono oltre il doppio. In centinaia sono stati assassinati solo per la loro fede e c’è una sistematica e diffusa violazione di ogni diritto: stupri, violenze atroci anche da parte di poliziotti, incendi di chiese e proprietà dei cristiani. I profughi sono decine di migliaia, vivono nella foresta o nei campi senza cibo né medicine, molti si ammalano e muoiono. I cristiani hanno quasi perso fiducia che il governo voglia proteggere i cittadini, specie quella minoranza del 2,5% di cristiani”.

“Gli Stati dove questo accade – prosegue – sono governati dal Partito Bharatiya Janata [nazionalista indù] e dai suoi alleati, come in Orissa. Nel 2009 ci saranno le elezioni generali, il governo centrale è riluttante a prendere iniziative. Sono mesi che è iniziato il massacro dei cristiani in Orissa e abbiamo bussato a ogni porta, invano. Le aggressioni e il genocidio proseguono, in Orissa e in almeno altri 8 Stati indiani. E sarebbe stato molto peggio se i media e gli attivisti per i diritti non avessero denunciato la brutalità degli estremisti indù, favorita dall’inerzia del governo. Tutto mostra che il massacro peggiorerà. Abbiamo paura che il governo non faccia nulla per impedirlo, per migliaia di cristiani l’unica speranza sembra fuggire in un altro Stato”. “Il governo ha persino impedito ai gruppi cristiani di operare nella zona per portare aiuto”.

“Per questo – conclude – chiediamo che i profughi dell’Orissa siano posti sotto la protezione dell’Onu come rifugiati. Ora sono come gente senza Stato. In Orissa non c’è Stato di diritto, per loro, nessuno li protegge”. “Hanno bisogno di cibo, riparo, medicine”. “Senza un aiuto immediato in decine di migliaia moriranno per le violenze, gli stenti, le malattie, compresi vecchi, donne, bambini, sacerdoti”. “Ci appelliamo all’Onu perché protegga le loro vite e impedisca discriminazioni fondate su ragioni di razza, religione o casta. Perché chieda al governo indiano di adempiere alle sue responsabilità verso i propri cittadini”.

Intanto la violenza si diffonde nell’intera nazione. Il 14 ottobre due chiese sono state assalite a Erode, nel Tamil Nadu: ignoti hanno lanciato pietre, nella notte, rompendo vetri e arredi.

Nel disastro, non mancano germi di speranza. Suor M. Suma, superiora regionale delle Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, è fuggita dalla Casa di Sukananda, distretto di Kandhamal, bruciata il 30 settembre da estremisti indù. Ad Asianews dice che ha avuto il permesso di stare stanotte e per due giorni nel campo profughi di Raikia, dove spera “di condividere con loro l’amore di Madre Teresa e la gioia per l’amore di Dio”.

venerdì 17 ottobre 2008

Chesterton in altre parole - 19

"Chesterton intervistò Mussolini e trovò che Mussolini stava intervistando lui. Gli parlò del distributismo e di alcune idee sociali. Mussolini conosceva almeno alcuni dei libri di Chesterton e disse a Cyril Clemens che aveva particolarmente gradito 'L'Uomo che fu Giovedì'. Promise alla fine dell'intervista che sarebbe andato a pensare a ciò che Chesterton gli aveva ben detto e sarebbe stato meglio per il mondo se avesse mantenuto quella promessa. Perché ciò che era stato detto era uno schizzo delle possibili alternative alla crescita della tirannia dei governi".



Maisie Ward, G. K. Chesterton

Stiamo tornando allo stato servile.

"Ebbene, noi europei deriviamo da una concezione puramente servile della produzione e dell'organizzazione sociale. Il passato remoto dell'Europa è un passato servile. Durante i secoli di crescita, diffusione e consolidamento della Chiesa, l'Europa si venne gradualmente liberando e allontanando da questa concezione basilare e antichissima, dalla medesima istituzione della schiavitù cui sta ritornando la nostra società industriale e capitalista. Noi stiamo ricreando la figura dello schiavo".



Hilaire Belloc, Lo Stato servile, LiberiLibri Macerata, pag. 19.

Un aforisma al giorno - 77

"Colui che non scalerà la montagna di Cristo sprofonderà nell'abisso di Budda".



Gilbert Keith Chesterton

Chesterton in altre parole - 18

"Chesterton spiega cos'è il cattolico, Guareschi spiega cosa fa il cattolico".



Alessandro Gnocchi, Convegno con padre Ian Boyd su Chesterton, Giugno 2008.

giovedì 16 ottobre 2008

Papa Benedetto su fede e ragione.

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Congresso Internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense nel X Anniversario dell’Enciclica "Fides et ratio" e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito (i neretti sono i nostri):

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Gentili Signore, Illustri Signori!

Sono lieto di incontrarvi in occasione del Congresso opportunamente promosso nel decimo anniversario dell’Enciclica Fides et ratio. Ringrazio innanzitutto Mons. Rino Fisichella per le cordiali parole che mi ha rivolto introducendo l’odierno incontro. Mi rallegro che le giornate di studio del vostro Congresso vedano la fattiva collaborazione tra l'Università Lateranense, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Conferenza Mondiale delle Istituzioni Universitarie Cattoliche di Filosofia. Una simile collaborazione è sempre auspicabile, soprattutto quando si è chiamati a dare ragione della propria fede dinanzi alle sempre più complesse sfide che coinvolgono i credenti nel mondo contemporaneo.

A dieci anni di distanza, uno sguardo attento all’Enciclica Fides et ratio permette di coglierne con ammirazione la perdurante attualità: si rivela in essa la lungimirante profondità dell’indimenticabile mio Predecessore. L’Enciclica, in effetti, si caratterizza per la sua grande apertura nei confronti della ragione, soprattutto in un periodo in cui ne viene teorizzata la debolezza. Giovanni Paolo II sottolinea invece l’importanza di coniugare fede e ragione nella loro reciproca relazione, pur nel rispetto della sfera di autonomia propria di ciascuna. Con questo magistero, la Chiesa si è fatta interprete di un'esigenza emergente nell'attuale contesto culturale. Ha voluto difendere la forza della ragione e la sua capacità di raggiungere la verità, presentando ancora una volta la fede come una peculiare forma di conoscenza, grazie alla quale ci si apre alla verità della Rivelazione (cfr Fides et ratio, 13). Si legge nell’Enciclica che bisogna avere fiducia nelle capacità della ragione umana e non prefiggersi mete troppo modeste: "È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione" (n. 56). Lo scorrere del tempo, del resto, manifesta quali traguardi la ragione, mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere. Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno recato allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dell’uomo e al progresso delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quanto è sostenuta dall'amore per la verità. Ha scritto Agostino: "Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente" (De diversis quaestionibus 35,2).

Non possiamo nasconderci, tuttavia, che si è verificato uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla. Questo cambiamento non è stato indolore: l'evolversi dei concetti ha intaccato il rapporto tra la fides e la ratio con la conseguenza di portare l'una e l'altra a seguire strade diverse. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l'antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura. La ricerca scientifica ha certamente il suo valore positivo. La scoperta e l'incremento delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e di quelle applicate sono frutto della ragione ed esprimono l'intelligenza con la quale l'uomo riesce a penetrare nelle profondità del creato. La fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all'uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l'umanità. Come ricordava l'ignoto autore della Lettera a Diogneto: "Non l'albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera" (XII, 2.4).

Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. E’ questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d'altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all'uomo.

La lezione di sant’Agostino è sempre carica di significato anche nell'attuale contesto: "A che cosa perviene - si domanda il santo Vescovo di Ippona - chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione... Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente" (De vera religione, 39,72). Come dire: da qualsiasi parte avvenga la ricerca della verità, questa permane come dato che viene offerto e che può essere riconosciuto già presente nella natura. L'intelligibilità della creazione, infatti, non è frutto dello sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di scoprire la verità in essa presente. "Il ragionamento non crea queste verità - continua nella sua riflessione sant'Agostino - ma le scopre. Esse perciò sussistono in sé prima ancora che siano scoperte e una volta scoperte ci rinnovano" (Ibid., 39,73). La ragione, insomma, deve compiere in pieno il suo percorso, forte della sua autonomia e della sua ricca tradizione di pensiero.

La ragione, peraltro, sente e scopre che, oltre a ciò che ha già raggiunto e conquistato, esiste una verità che non potrà mai scoprire partendo da se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito. La verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole così di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero stesso. La verità rivelata, nella "pienezza dei tempi" (Gal 4,4), ha assunto il volto di una persona, Gesù di Nazareth, che porta la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso di ogni uomo. La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. E' intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune.

In questi giorni, si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Come non vedere la provvidenziale coincidenza di questo momento con il vostro Congresso. La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per cogliere nell'uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di verità.

Mentre auguro a ciascuno di avvertire sempre in sé questa passione per la verità, e di fare quanto è in suo potere per soddisfarne le richieste, desidero assicurarvi che seguo con apprezzamento e simpatia il vostro impegno, accompagnando la vostra ricerca anche con la mia preghiera. A conferma di questi sentimenti imparto volentieri a voi qui presenti ed ai vostri cari l’Apostolica Benedizione.

ANNIVERSARIO/ La sorpresa del Papa polacco

Un solo giornale al mondo previde l’elezione di Karol Wojtyla: il bollettino dell’università di Harvard. Nel 1976, due anni prima del conclave, il cardinale di Cracovia aveva tenuto una conferenza nel prestigioso ateneo e il Crimson pubblicò una sua foto con la dicitura: “Un giorno sarà papa”. Anche il settimanale Time, ad onore del vero, inserì il nome di Wojtyla nella lista dei papabili, ma affrettandosi a spiegare che si trattava di una “possibilità remota”.
Il curialissimo Tg1 aveva preparato una lunga serie di biografie di cardinali, per essere in grado di trasmettere quella giusta subito dopo la fumata bianca. Fra le oltre trenta cassette non c’era quella di Wojtyla. Ma il vaticanista Vittorio Citterich, due giorni prima del conclave, incontrò un sacerdote di Forlì, Francesco Ricci, direttore della rivista Cseo (voce della “Chiesa del silenzio”) e questi gli consigliò vivamente di aggiungere in archivio la biografia del porporato polacco. Cosa che il giornalista fece, e di cui ringraziò eternamente il prete romagnolo.
Insomma, oggi i giovanissimi (diciamo pure gli under 30) stentano ad immaginarlo. Ma l’elezione del papa polacco fu davvero una cosa dell’altro mondo. Si fa presto adesso (dopo la doppietta Wojtyla-Ratzinger) a dire papa straniero. Ci siamo già abituati, sembra normale. Ma allora, quel 16 ottobre di trent’anni fa, fu una rivoluzione. Quattro secoli e mezzo di papi solo italiani. L’ultimo straniero, un olandese, Adriano VI, era stato eletto nel 1522 e fra l’altro governò la Chiesa per appena un anno.
Ma ovviamente non fu solo il fatto di non essere italiano, la novità. Un papa che veniva dalla cortina di ferro, da quella parte del mondo che gli accordi fra i vincitori della guerra, nel 1946, avevano assegnato alla “sfera di influenza” dell’Unione Sovietica. Spartizione considerata da tutti, allora, immodificabile. Una scelta temeraria, spericolata, sul piano politico, quella compiuta dai 111 cardinali segregati nella Cappella Sistina. Pare siano stati i cardinali di lingua tedesca (Austria e Germania) i più convinti promotori della candidatura Wojtyla. Fra loro c’era il neo cardinale di Monaco, tal Joseph Ratzinger. Curiosamente uno dei pochissimi cardinali superstiti (per l’esattezza due, lui e l’americano Baum) che nel 2005 parteciperanno anche al prossimo conclave, per eleggere il successore di Giovanni Paolo II.
Come era diverso il mondo quando il ‘guerriero di Dio’ irruppe nella scena planetaria. E come era diversa la Chiesa. Parlare di Cristo, senza aggiungere subito dopo mille precisazioni (dialogo, mediazione, ecumenismo) sembrava sconveniente, retrò. E lui, il nuovo papa, parlava eccome di Cristo, “senza paura”. Prendendosi sberle dai giornaloni, all’inizio. Ne parlava sempre con quella voce da uomo, uomo vero, non da prete (altra, e non secondaria novità!). Ma proprio perché innamorato non di una Idea bensì di una Persona si apriva a tutti, aveva come orizzonte il mondo intero. Mentre oggi forse si corre il rischio opposto, di fare dei valori cristiani una ideologia, una bandiera che chiude anziché… aprire, anzi spalancare le porte a Cristo.
Tutto è stato detto di questo papa, tutto è stato mostrato. Pochi fedeli forse sapranno citare i titoli delle sue 14 encicliche. Tutti però – fedeli e infedeli - si ricorderanno per aver visto in tv qualche suo gesto, in cui passava la sua umanità. Una carezza o un gioco. Il tono della voce che si alza all’improvviso per ricordare a quei presidenti “giovani… più giovani di me” che la guerra è sempre una sconfitta dell’umanità. La mano tremante, i momenti di preghiera in cui tutto il resto sembrava scomparire, la sofferenza che lo addolcisce (non come accade a noi): il pastorale con la croce, impugnato come una lancia quando era giovane, diventa appoggio della sua vecchiaia. Il ricordo più bello degli ultimi giorni me lo ha affidato un cardinale di curia che lo andò a trovare nel letto dell’agonia, nel palazzo apostolico. Un cardinale che non sempre aveva condiviso i suoi orientamenti dottrinali, e per questo era esitante, timoroso e imbarazzato nell’ultimo saluto. “Il Papa apre per un istante gli occhi, mi riconosce, mi fa cenno di avvicinarmi al letto, un sorriso buono, di padre, e mi benedice…” Piangeva questo anziano e navigato porporato, quando lo raccontava.

(Lucio Brunelli)


Luisa Vassallo e La Cucina di Don Camillo

All'interno delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore Giovannino Guareschi, da oggi, nelle librerie, è possibile trovare un gustosissimo ricettario dal titolo: "La cucina di don Camillo" di Luisa Vassallo (edizioni Ancora - Milano).

Guareschi, a cento anni dalla sua nascita e a quaranta dalla morte è più vivo e presente che mai nel cuore di milioni di lettori e spettatori.

Con una periodicità pressoché stagionale, le televisioni pubbliche e private ripropongono da anni i film ispirati ai racconti di Giovannino Guareschi. Il favore presso il pubblico, o -se si preferisce- l'audience, è sempre di grado elevato, e ciò ha consentito da una parte il perpetuarsi della popolarità delle "maschere" di Don Camillo e Peppone a più generazioni, ma non sempre ha reso pienamente merito al loro creatore, allo scrittore Guareschi, autore italiano tra i più letti e conosciuti anche fuori dal nostro Paese.

Con "La cucina di don Camillo" l’imperiese Luisa Vassallo ha ritratto un “profilo gastronomico” dell’opera di Guareschi riscoprendo il "gusto" che egli eveva per le cose semplici e piccole, e facendo emergere tutta la grandezza di questo autore, ricordato spesso semplicemente come un umorista, e che è stato invece un grande scrittore, nella cui opere si dipanano due grandi saghe del novecento italiano: quella di don Camillo e Peppone, ovvero quella realtà, quel microcosmo di Mondo Piccolo, in cui si riflettono i profondi drammi civili e politici del secolo.

Il libro, intervallato da alcuni passaggi introduttivi, è diviso in due grandi sezioni: "la cucina di Giovannino Guareschi" e "la cucina di don Camillo e Peppone" e raccoglie in più di 200 pagine le gustosissime ricette citate dallo scrittore nel corso dei suoi racconti.

Frizzantino come una bottiglia di Lambrusco, appetitoso come un bel piatto di culatello, questo ricettario svela i segreti della buona cucina ma, soprattutto, ricorda che ... la vita è "buona" e val la pena gustarla!

mercoledì 15 ottobre 2008

Il diritto dei genitori è precedente al diritto dello Stato.

"Il diritto dei genitori sul figlio è precedente al diritto dello Stato. Dove lo Stato obbliga i genitori a mandare il loro figlio in una istituzione che questi deve frequentare per molte ore al giorno e dalla quale la sua mente non può che essere formata nel periodo più critico del suo sviluppo, il genitore ha un diritto di richiedere allo Stato che quell’istituzione sia di un tipo che egli approva. Nel caso particolare del genitore cattolico che vive sotto l’autorità di uno stato anticattolico come l’Inghilterra, i membri del corpo cattolico hanno un pieno diritto politico di richiedere che l’intera spesa dovuta per l’educazione obbligatoria dei propri figli sia sostenuta dallo Stato ma che sia in mani cattoliche - soggette naturalmente alla condizione che quel denaro imposto per un particolare scopo debba essere speso per l’educazione".

Hilaire Belloc, Essays of a Catholic

Voglia di concretezza




Santa Teresina del Bambin Gesù, tra l'altro molto amata da Chesterton, diceva che quando andò a Roma col babbo in pellegrinaggio aveva una voglia particolare di toccare tutto ciò che le diceva del cristianesimo, dei santi, dei martiri, eccetera.

Conosciamo molti chestertoniani che amano vedere e toccare tutto quello che racconta Gilbert. (ha suscitato molto stupore e piacere, al Chesterton Day, la visione del brevissimo filmato che ritrae Gilbert in una favolosa tourneè americana, anche in Fabio Canessa, che era uno dei relatori e ci ha ringraziato molto per questo). Il paragone forse è un po' ardito, però questa voglia di concretezza (bellissima) ci spinge a mettere la foto della targa affissa a Top Meadow, la casa di Beaconsfield in cui Gilbert e sua moglie Frances vissero insieme dal 1922 al 1936 (Frances vi rimase sino alla morte, due anni dopo Gilbert), una piccola foto della casa e una foto della vetrata della Chiesa Cattolica di Santa Teresina del Bambin Gesù a Beaconsfield (la parrocchia di Gilbert) raffigurante San Francesco d'Assisi di cui si vedono i piedi stigmatizzati, e la dedica o meglio la richiesta del suffragio per Gilbert e Frances (che molto contribuirono all'edificazione della chiesa).

Speriamo di avervi fatto cosa gradita.

Chesterton in altre parole - 17

Leggete questo passo di Hanna Arendt su Chesterton, Péguy e Bernanos (stimolati da un nostro socio lo abbiamo ritrovato...).
L'incipit che abbiamo omesso solo per brevità riguarda la possibilità di una rinascita cristiana in Francia e i cosiddetti "cattolici senza fede".
A parte il giudizio non lusinghiero su Belloc (sul quale non è l'unica che indugia, e sul quale andrebbe fatta maggiore luce), dice molte cose interessanti.
Chi vuole, può interagire.

"Ma proprio al fianco di questi fascisti dilettanti spuntò un movimento di rinascita cattolico ben diverso, i cui principali rappresentanti furono Péguy e Bernanos in Francia e Chesterton in Inghilterra. Anch'essi cercarono di sfuggire al mondo moderno e, pertanto, di quando in quando incapparono in alcune infelici alleanze con i «cattolici senza fede», alleanze in cui erano ovviamente destinati a fare la parte dei gonzi. Ne sono prova le relazioni di Jacques Maritain con l'Action Française, o la strana amicizia tra G.K. Chesterton e Hilaire Belloc. Infatti, ciò che questi uomini odiavano nel mondo moderno non era la democrazia, ma la sua mancanza. Essi sapevano che cosa si nascondeva dietro le parvenze di democrazie, che sarebbe meglio definire plutocrazie, e dietro gli ornamenti di una repubblica che era piuttosto una macchina politica. Ciò a cui aspiravano era la libertà per il popolo e la ragione per le menti. In loro vi era un odio profondo per la società borghese, che sapevano essere essenzialmente antidemocratica e fondamentalmente corrotta. Ciò contro cui si battevano senza requie era l'insidiosa invasione della morale e dei valori borghesi in tutti gli stili di vita e in tutte le classi sociali. In effetti combattevano contro qualcosa di molto sinistro di cui raramente i socialisti - il cui partito politico, secondo Péguy, «era composto unicamente da intellettuali borghesi» - si rendevano pienamente conto, mi riferisco all'influenza onnipervasiva della mentalità borghese nel mondo moderno.
E' un fenomeno degno di nota, e qualcosa che dovrebbe far riflettere i nostri progressisti, che in termini di mera polemica tali cattolici convertiti o neocattolici si sono rivelati i veri vincitori. Non vi sono polemiche più devastanti, divertenti o meglio scritte contro quell'insieme di superstizioni moderne che vanno dalla scienza cristiana alla ginnastica come mezzo di salvezza, dal proibizionismo a Krishnamurti, di quelle contenute nei saggi di Chesterton. Fu Péguy a scoprire e definire la differenza essenziale tra la povertà - che è sempre stata una virtù per i repubblicani romani così come per i cristiani medioevali - e la miseria, che è la piaga moderna riservata a coloro che rifiutano la corsa all'arricchimento e l'umiliazione del successo. E, infine, fu Bernanos a scrivere la denuncia più appassionata del fascismo - Les grands cimetières sous la lune - un cavaliere senza macchia e senza paura, sgravato da ogni ammirazione per la "grandezza storica" e non toccato da alcun desiderio segreto per la necessità del male".

Hanna Arendt, in Archivio Arendt, 1. 1930-1948, a cura di Simona Forti, Feltrinelli, Milano. Originariamente pubblicato in The Nation, 161/12, 22 settembre 1945