giovedì 13 dicembre 2007

Chi tira la giacchetta a Chesterton? - 2

Riceviamo sul tema del titolo, e volentieri giriamo a tutti quanti.
Il primo contributo è di Roberto Prisco, chestertonianissimo e ideatore dei Gruppi Chestertoniani Veronesi (una cosa fantastica).
Il secondo è di Paolo Pegoraro, anche lui appassionato di Chesterton e buon segnalatore di novità editoriali, lo potremmo chiamare anche Occhio-di-Falco...
Li ringrazio molto, sono pregnanti e interessanti tutti e due, e aiutano, in diverso modo.
Naturalmente i contributi sono ancora aperti...

Caro Marco,
vorrei allargare il discorso e riprenderlo da dove l'avevamo lasciato con le tre cause identificate per l'eclissi di GKC e che hai richiamato sul blog. Una prima considerazione è che le altre due cause coincidono con la tua affermazione che il silenzio era dovuto al fatto che GKC era un vero cattolico. Infatti un vero cattolico non è né di destra né di sinistra, e se riesce ad esprimere questa sua qualità con modi sinceri e con scritti audaci evidenzia questa sua caratteristica.. La contrapposizione destra-sinistra ha la sua origine dall'annuncio del Regno di Dio già e non ancora. La sinistra esprime il già e quindi se il Regno è già qui allora è possibile costruire la società perfetta con quello che segue. La destra esprime il non ancora e quindi riconosce l'imperfezione della realtà sociale. Il vero cattolico conosce il già ed il non ancora come compresenti e quindi non può stare né da una parte né dall'altra. Questo intendevo parlando di GKC né di destra né di sinistra. dall'altra parte il vero cattolico non pensa che la Chiesa sia stata fondata con il Vaticano 2, ma quasi 2000 anni fa, e quindi non può essere ben accetto ai cultori dello spirito del concilio, esponenti di quel post-concilio che rifiuta la lettura precisa dei documenti a favore di una interpretazione evolutiva fatta alla luce dello spirito del concilio di cui sono i sacerdoti. Quindi, se si considera dal punto di vista del soggetto GKC, l'interpretazione corretta è la tua se invece guardiamo dall'altro punto di vista, cioè da quello degli editori ecco che l'interpretazione più corretta è quella degli altri due che evidenziano sotto quali aspetti particolari la sua cattolicità reca fastidio.
Non era di questo che ti volevo parlare, ma, come diceva quel personaggio di Guareschi, volevo parlarti di quando ero cameriere a Mendoza.
Infatti, con l'estinguersi dei diritti d'autore ecco che vengono fatti dei tentativi di diffusione.
Il punto fondamentale mi sembra essere che noi Società e Gruppi non siamo i custodi del verbo di GKC, ma soltanto dei lettori appassionati. Ora se si presentano delle interpretazioni diverse da quelle che diamo noi, ben vengano, ci costringeranno ad essere più critici ed agguerriti. Ma non scandalizziamoci, eravamo dispiaciuti per il silenzio, godiamo ora se si fa del rumore, anzi cerchiamo di aumentarlo ancora. Data poi la doppia valenza del nostro autore contrario sia al capitalismo privato sia a quello di Stato la strumentalizzazione è possibile, basta staccare qualche scritto dal complesso delle opere.
Più della recensione che non ho letto mi ha comunque meravigliato che dove nell'Utopia degli Usurai è citato (come concetto) lo Stato Servile non si vede il riferimento al testo di Belloc.

Roberto Prisco

ed ecco il secondo contributo:


L'impressione è che bisogna distinguere tra le opere editate e la propaganda stampa: le prefazioni di
Utopia e lo stesso Ghezzi sono abbastanza calzanti, gli articoli che ci scrivono altri... è un altro discorso; l'articolo su Repubblica mi è sfuggito, e Giorello...
La prefazione di Ghezzi (è la stessa su entrambi: integrale su
Osteria, parziale su Giovedì) è di taglio molto personale, un ricordo d'infanzia quasi (il padre gli fece conoscere GKC). Dici che ha insistito lui per la ripubblicazione di questi due con la seguente motivazione: «per la fragranza "politica" con cui in essi si stagliano due grandi maschere e figure retoriche dell'oggi in cui finisce o finì la storia (il terrorismo e il suo complotto; lo "scontro di civiltà")». Di per sé non è un'affermazione strumentale, anche se è certamente parziale.

Paolo Pegoraro

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