martedì 6 novembre 2007

Caso Englaro - Imbarazzo palpabile dei giudici di Cassazione

Da 32, il bollettino del Movimento per la Vita.

L’imbarazzo dei giudici della Corte di Cassazione che hanno deciso sul caso Englaro traspare dalla stessa lunghezza delle motivazioni della sentenza in cui è più volte ripetuta l’affermazione del diritto alla vita come diritto che spetta in misura uguale ad ogni essere umano, anche se debole, malato, incapace di intendere e volere o prossimo alla morte.
La conclusione è contraddittoria in quanto sembra accettare la distinzione tra il diritto alla vita, la cui sussistenza è oggettiva e non dipende dalle opinioni del singolo e la dignità umana, su cui potrebbe incidere in qualche misura il giudizio del singolo.
Ciononostante dalla sentenza emergono due elementi che meritano di essere sottolineati:
1. anche in presenza di una certa volontà di non essere curato, se lo stato del malato incosciente presenta una margine anche minimo di possibile guarigione, la sua volontà non conta nulla. Dunque non esiste il diritto di morire e neppure la facoltà di rifiutare le cure può essere intesa come capace di imporre agli altri un obbligo assoluto.
2. La sentenza mostra la inutilità di una legge sul testamento biologico. Già ora, infatti nulla impedisce di formulare per scritto la volontà di essere curato in un modo o nell’altro o di non essere affatto curato tant’è vero che la Cassazione chiede una indagine su tale volontà della Englaro
E’ dimostrato così il carattere ideologico del testamento biologico volto ad aprire una breccia in favore dell’eutanasia. Il vero problema non è la manifestazione di desiderio del malato ma la efficacia di tale desiderio che non può trasformare il medico in un semplice esecutore, che non dovrebbe impegnare la sua scienza e la sua coscienza

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